22 Settembre 2015
#VD3

Accoglienza? (pensieri dopo l’incontro VD3 del 13/9/2015)

di Unachec’è

Una che c’era (così si è firmata) ha risposto al mio invito: siamo per l’accoglienza? vogliamo aiutare quelle e quelli che chiedono di entrare in Italia e in Europa? Allora, cerchiamo di capire anche i sentimenti e gli argomenti degli altri, i “respingenti”.

Aggiungo quello che ho pensato tra me: ci chiamiamo femministe perché, tra noi, abbiamo un solo valore assoluto: che a questo mondo ci sia libertà femminile, tutto il resto siamo disposte a discuterlo. (Luisa Mur.)

 

Vado dritta al punto. È un punto dolente ma lo devo tirar fuori. Io non mi sento più accolta. Mi capita ogni giorno quando prendo il tram che prendo da una vita e non sento più neppure una parola comprensibile. (Non parlo dei turisti di Expo ovviamente, quelli li distinguo.) Sì, afferro qualcosa dello spagnolo dei sudamericani, ma per il resto è una cacofonia orientale, araba, slava e chissà che altro. Il brusio che fa da sfondo ai miei movimenti è diventato una barriera quasi solida. Il suono meraviglioso delle altre lingue che ho sempre cercato con passione e curiosità in giro per il mondo, qui subisce una specie di mutazione. Credo di aver capito cosa succede: mi respinge perché cancella i miei suoni.

E poi gli odori. Nella mia strada, nel mio palazzo, nell’ascensore, sul pianerottolo, quel sentore forte che non so che cosa sia. Ma quell’odoraccio che immagino di intrugli fritti di pesce e chissà che altro, che ti afferra anche alla mattina presto, ti cambia la giornata. Perché non mi dà scelta. È violento e mi costringe a tenere chiusi i vetri di casa mia, mi rovina il piacere di uscire e rientrare. È come per le lingue: si sovrappone e cancella le mie curiosità culinarie, la mia disponibilità a mangiare di tutto.

E poi naturalmente i negozi che cambiano faccia alle strade. Non uno, non qualcuno, ma proprio tutti. E i visi e i gesti. Son cose dette e ridette, anche se non fa piacere sentirle.

E allora, che ne è dell’accoglienza se adesso io mi sento respinta nei miei luoghi domestici, familiari. Quelli di cui tutte e tutti abbiamo bisogno. Se mi si tagliano le radici, vengo privata anche della mia capacità di crescere, incontrare, cercare.

Adesso che il mondo mi ha invaso, dove trovo più la voglia e il piacere di cercare il mondo?

A questo punto qualcuno mi risponderà che non devo farmi catturare dalle paure. Che questa è la scommessa epocale del multietnico. L’idea del multietnico mi è sempre piaciuta. Ma: non vorrei che fossero solo dolori e perdite che si incontrano.

Se qualcuna o qualcuno ha le idee più chiare delle mie mi risponda per favore.

 

(Via Dogana 3, 22 settembre 2015)

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