24 Febbraio 2014
Corriere della Sera

Addio a Carla Accardi, la signora dell’astrattismo

di Panza Pierluigi

 

«Ci interessa la forma del limone, non il limone». In questa dichiarazione d’intenti del Gruppo Forma 1 – fondato nel 1947 con Attardi, Consagra, Dorazio, Guerrini, Perilli, Turcato e il futuro marito Sanfilippo – sta gran parte della poetica di Carla Accardi, l’artista siciliana scomparsa ieri all’ospedale Santo Spirito di Roma. Avrebbe compiuto 90 anni a ottobre. Cosa significa ci interessa la forma e non l’oggetto? Vuol dire che l’arte doveva essere Purovisibilismo e concentrarsi sulle potenzialità del rapporto tra forma e percezione, senza rappresentare la realtà. Forme, linee e colori erano sufficienti per esprimere i sentimenti, come tematizzato nel 1908 da Wilhelm Worringer (Astrazione ed empatia) e sintetizzato da Wassily Kandinskij in un celebre aforisma: «Il contatto dell’angolo acuto di un triangolo con un cerchio non ha un effetto minore di quello del dito di Adamo in Michelangelo». Nata a Trapani nel 1924, figlia di un ingegnere e di una proprietaria di saline, la Accardi fu pioniera del femminismo insieme alla scrittrice Carla Lonzi (la teorica della «differenza sessuale») e divenne la signora dell’astrattismo. Compiuti gli studi a Palermo e a Firenze – dove «andavo a copiare Beato Angelico» ricorderà ironicamente – si trasferì a Roma, dove iniziò a frequentare l’Osteria dei pittori, fonte d’ispirazione anche per il Barone rampante di Calvino. Esordì con la prima personale nel 1950 alla Galleria Numero di Firenze, poi espose alla Libreria Salto di Milano (dove era nato il Movimento arte concreta) opere cubiste-astratte, specie bicromie. A Roma (dove poi prese studio in via del Babuino) frequentò Consagra, che nella seconda metà negli anni Cinquanta era ospite di Renato Guttuso, paladino del Realismo e oppositore dell’Astrattismo. «Quando si formò il gruppo Forma 1 Guttuso si arrabbiò – ricordò la Accardi – e disegnò uno scarabocchio. Lui era comunista, ma a quel tempo anch’io ero iscritta al Pci. Lui sosteneva il figurativo perché lo voleva il partito». Dalla sinistra gli artisti astratti furono osteggiati: nel 1952 era uscito su «Rinascita» un articolo che sconfessava l’astrattismo (l’arte doveva essere «rispecchiamento della realtà») e Antonello Trombadori li prendeva di mira. Intanto, fuori dal coro, la Accardi incominciò ad affrontare problematiche di riduzione cromatica documentate dalla personale del 1955 alla Galleria San Marco di Roma, anno in cui partecipò, invitata da Michel Tapié, alla rassegna «Individualità d’oggi»: fu il suo periodo dell’automatismo segnico. Nel 1961 reintrodusse il colore nelle composizioni, aderì al Gruppo continuità e incominciò ad allestire personali a New York e Londra. Dal 1964 fu presente alle Biennali e iniziò cicli di opere che investigavano i rapporti con l’ambiente (Tenda e Triplice tenda). Realizzò anche Rotoli, opere trasparenti e grandi lenzuoli (realizzerà a Milano anche una copertura per un cantiere di restauro) con schemi geometrici ripetuti quasi ossessivamente. Fece opere a 360 gradi e lavorò con Burri e Rotella al Municipio a Gibellina. Nel 1999 venne pubblicato il catalogo ragionato delle sue opere (Charta, con testi di Germano Celant), che evidenziò anche rapporti con l’Informale e l’Arte Povera. Nel 2004 una grande mostra al Macro di Roma, a cura di Danilo Eccher, fu dedicata ai suoi anni Settanta, alle opere in sicofoil (un materiale industriale). Nel 2007 tenne una mostra nel museo progettato da Frank Gehry a Herford, intitolata Carla Accardi incontra Lucio Fontana. Commentandola, Achille Bonito Oliva rinveniva alcuni tratti definitivi della poetica dell’Accardi: un’adesione «affrancata dai condizionamenti» all’astrattismo con aperture in varie direzioni, tenendo fermo nella pittura il dato bidimensionale dello spazio, «lo sbarramento di ogni profondità prospettica» e un uso non materico del colore.


(Corriere della Sera, 24 febbraio 2014)

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