14 Luglio 2018
#VD3

Alla luce di un credito politico crescente – Lia Cigarini

 

Introduzione alla Redazione allargata di Via Dogana 3, 8 luglio 2018, Alla luce di un credito politico crescente 

 

di Lia Cigarini

Mi è stato dato un compito impossibile perché questo incontro ha come tema centrale la domanda: che cosa possiamo fare noi in Italia nella situazione che si è creata dopo le elezioni politiche? Io mi limiterò a sollevare dei problemi. Siamo tutte impegnate a interpretare la realtà che cambia. E sapere come aprirci ad essa.

Faccio un’ulteriore premessa per me importante: sono disposta a perdere ogni coerenza teorica per restare coinvolta nella realtà che cambia.

Abbiamo sempre sottolineato la asimmetria dei due sessi, asimmetrica la loro storia e la loro politica rispetto alle nostre. Infatti, nella situazione attuale: da una parte ci sono le femministe e molte altre donne contente e coinvolte nella grande esplosione del #metoo partita dagli USA e sparsa nel mondo anche in paesi patriarcali; dall’altra, immiserimento della politica classica maschile. Per quello che riguarda quest’ultima, invito a non stare all’immediatezza dei problemi, come governo, Europa, Trump, ecc. perché su questi il pensiero critico maschile ha già detto tanto. Penso invece che sia utile cercare di andare al cuore dei fatti politici nei quali abbiamo già a portata di mano grandi intuizioni del femminismo.

Non starò a parlare in dettaglio del #metoo se non per alcuni punti che mi servono come premessa per quanto dirò poi.

I punti sono: 1. le donne hanno parlato e sono state credute; 2. ciò significa che l’autorità femminile è entrata in gioco e in circolo; 3. l’inviolabilità del corpo femminile si sta affermando come principio di civiltà; 4. oggi, non c’è solo, come già si manifestava, un credito nei confronti delle donne genericamente intese bensì un credito verso il femminismo; preparato da cinquant’anni di lavoro politico delle donne e manifestato in questi ultimi anni da tantissime dichiarazioni di donne che si sono qualificate come tali, femministe.

Aggiungo come fatto positivo che il governo italiano non ha messo le donne nel suo programma o più precisamente contratto. Per me è un passo avanti. E’ finita così la commedia delle quote. Infatti, attraverso donne in parlamento o al governo non c’è stato un tema, una proposta del femminismo che abbia inciso nella politica comunemente intesa.

Finite le premesse, osservo che la situazione politica attuale è difficilissima perché l’ordine simbolico-politico che ci domina procede oscillando: una parte tende alla destra securitaria, l’altra al neo-liberismo spregiudicato, cioè quello dei “progressisti”, sostenitori dei falsi diritti e del falso progresso.

E’ difficile perché la sinistra è sparita a causa che non è più riuscita a fare il suo mestiere, cioè criticare il capitalismo. Naturalmente la deriva della sinistra, o centro-sinistra che sia, è iniziata da tempo.

Ma noi, per dire le qui presenti, di fronte alla sconfitta della sinistra e alla crisi generale della politica dominata dall’economia, come reagiamo, che cosa diciamo, come ci facciamo avanti? Non si può continuare ad affidarsi alla logica dei partiti, che vuol dire prendere il potere con le elezioni e andare al governo o stare all’opposizione, oppure gingillarsi con dei commenti alle mosse degli uni e degli altri.

Sappiamo che la politica delle donne non è né di sinistra né di destra, perché tutte le donne sono in prima battuta interessate alla libera affermazione di sé, mentre in seconda battuta c’è la scelta elettorale o l’adesione ad un partito che sono comandate dalla collocazione sociale e culturale. Credo che sul punto siamo tutte d’accordo e abbiamo detto che la nostra politica è un altrimenti.

E’ ben vero, tuttavia, che le femministe degli anni Settanta venivano per lo più da quella parte (la sinistra). Anche recentemente ho sentito ragazze che esordivano dicendo: io mi riconosco nella sinistra.  Sappiamo poi che tante votano a sinistra, con adesione non superficiale a questa scelta. (Passate le elezioni, anche la passione è passata).

C’è da dire che fino a quando c’è stato il Partito comunista di Berlinguer e forse fino al cambiamento del nome, esistevano le commissioni femminili, l’UDI, ecc. E’ stata possibile un’interlocuzione vivace con le donne che vi appartenevano. Il Sottosopra verde Più Donne che uomini è stato diffuso e discusso dalle donne del PCI. Siamo state chiamate in molte città a presentarlo (e quelle donne hanno aperto un conflitto con gli uomini sulla base di quel documento). Di seguito c’è stata l’opzione per il pensiero della differenza da parte della Commissione femminile diretta da Livia Turco,  e infine la Carta delle donne,

Insomma, c’era una sponda perché c’era ancora una politica che stava in piedi e che ha esonerato molte dall’esporsi sulla scena pubblica. Sappiamo, infatti, quanto sia difficile per le donne esporsi, combattere nei luoghi di lavoro e della politica classica.  Ora, da anni sinistra zero, interlocuzione zero.

A questo punto, che cosa facciamo? Per esemplificare, ma non è solo un esempio, si affaccia la questione più urgente, quella dove, a mio parere, abbiamo più cose da dire per spostare il punto di vista dominante. Cioè quella dell’emigrazione. Per prima cosa, rispondo, si tratta di dire la verità cioè che il problema non sparirà, l’Africa continuerà a premere per trasferirsi in Europa.

Poi, non limitarsi a pronunciare la parola accoglienza che palesemente ha messo paura; ascoltare invece le obiezioni di Simplicius, cioè la tipica persona che votava a sinistra e ora vota Lega. Certo, lui ha paura di perdere i vantaggi ma i vantaggi se li è guadagnati con il suo lavoro e le sue lotte. Quindi, per prima cosa, bisogna non farlo sentire in colpa con il solo risultato che, se c’è paura, si aggiunge la rabbia. E, nella scena pubblica, non parlargli moralisticamente. Ma farlo parlare e ascoltarlo. Attraverso la pratica dell’autocoscienza e dell’inconscio sappiamo affrontare i sentimenti e le emozioni. La paura: chi ci sta dentro non sa che cosa sia possibile fare e come agire in modo diverso.

In sostanza, non per risolvere ma per riassumere il punto: in questi anni abbiamo fatto una politica per impedire il danno patriarcale e abbiamo vinto (anche se la violenza non sparirà mai del tutto). Con il #metoo è stata raggiunta una svolta epocale, vorrei altre svolte epocali nel lavoro e nella politica.

D’altra parte in questi anni abbiamo parlato e agito in un orizzonte di cambio di civiltà cioè in vista di una società dove i rapporti di forza tendano a modificarsi in rapporti più liberi. Quindi, anche se è molto problematico, considero indispensabile l’aprirci alle questioni e ai conflitti che scuotono l’Italia oggi, e farlo con tutto il nostro sapere politico. Qui però si pone a mio parere una grande questione sempre dibattuta nel femminismo, cioè la relazione con gli uomini che si oppongono all’attuale miseria della politica.

Il #metoo ha avuto la forza di spaccare il fronte maschile. In conseguenza delle denunce, moltissimi uomini hanno cominciato a non volere più la sottile complicità con i propri simili violenti e non li hanno più scusati. Anche in Italia, inoltre, come io stessa e Marina Santini abbiamo già sottolineato, c’è un credito verso il femminismo, come un’attesa che le donne si facciano avanti sulla scena pubblica. Quindi pongo qui una domanda: ritenete possibile un’interlocuzione serrata o un’alleanza, chiamatela come volete, con gli uomini critici della condizione attuale della politica? Oppure no. Se sì, in quali termini iniziamo a ragionarci? Se no, in quale modo andiamo avanti con i temi discussi oggi?

Un altro esempio, questo di pratica politica. Il movimento Non una di meno ha pubblicato un documento intitolato Abbiamo un piano. Parecchie lo hanno letto e alcune lo hanno criticato per la scrittura burocratica e per il lungo elenco di rivendicazioni. Tuttavia sono femministe e siamo state d’accordo per tenere dei rapporti. Ci voleva di più.

Ecco io oggi farei diversamente: una puntuale esegesi del testo mettendo in luce i punti con cui sono d’accordo, vale a dire il partire da sé e la pratica di relazione. E arriverei a dire che la lunga sfilza di rivendicazioni rimanda ad un tentativo di affrontare e volere una svolta nel lavoro e nella politica. Aggiungerei la mia scelta dei punti chiave, dove intervenire. In questo modo farei di quelle femministe le mie interlocutrici. In fondo questa è stata la nostra pratica di parola: trovare interlocutrici.

 

(Via Dogana 3, 14 luglio 2018)

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