24 Marzo 2016

Cara Pina Mandolfo

di Francesca Zambelli

 

Non mi interessa girare intorno al film Fuocoammare: penso a una rappresentazione parziale della realtà e ne accetto la parzialità, penso che scrittori poeti registi – a qualunque sesso appartengano – non rappresentano tutto: non lo vogliono fare e io aggiungo: è meglio che non presumano di doverlo fare. Ognuno/a taglia la realtà col proprio sguardo per rappresentarne un pezzo, per dirne una parte.
È così anche per il tuo documentario: lo sguardo soggettivo corrisponde a te, alla tua sensibilità e a nessun’altra. Ma non c’è ‘tutta’ neppure Pina Mandolfo: non c’è per esempio lo sguardo che nel tuo intervento scritto posi sullo “stereotipato e servile quotidiano” delle donne che Rosi ha filmato, non ti piace l’anziana signora “che accudisce”, non c’è lo sguardo di sufficienza per “il buon isolano che accoglie e cura”…
Nel tuo intervento c’è invece l’allarme pedagogico suscitato dal piccoletto che si costruisce una fionda e mima l’uso di una mitragliatrice. Tra parentesi: dai 3 anni in poi una folla di piccoli chiede a Gesù Bambino spade carriarmati Ferrari in miniatura ecc. e sono in genere maschietti. Temo che Rosi, come te e come me, lo sappia ma il programma educativo non era nelle intenzioni del regista.
È sbagliato? Che film vogliamo vedere quando andiamo a vedere un film e chi lo dovrebbe girare per noi?
Quelle donne, quel medico, quel bambino esistono davvero, sono pezzi di realtà: è lo sguardo su quei pezzi di realtà che ci divide ed è per questo che ho amato il film di Rosi.
Ciao, Francesca Zambelli

 

(www.libreriadelledonne.it, 24 marzo 2016)

 

 

 

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