3 Maggio 2013
il manifesto

Condizioni impossibili hanno fermato Bersani

di A. Fabozzi

Intervista a Lorenza Carlassare

«Se mi chiede di trovare un filo rosso nelle vicende politiche degli ultimi giorni mi viene da rispondere: il disprezzo per i cittadini». A Lorenza Carlassare non è piaciuto il modo in cui il parlamento è uscito dallo stallo post elettorale – il governo Letta – e ancora meno piace la piega che sta prendendo il dibattito sulle riforme costituzionali. Riforme che ancora una volta vengono proposte in maniera strumentale, stavolta per puntellare un governo fragile. E non solo: «Secondo me – dice l’illustre costituzionalista – l’obiettivo principale è ancora quello di rimandare la modifica della legge elettorale. Si propongono percorsi che il minimo che si possa dire sono lunghi e complicati e intanto si cancella dall’orizzonte l’unica riforma che invece si potrebbe fare velocemente. Che è tanto più urgente vista la pessima prova della legge Calderoli e visto che siamo in presenza di un governo insicuro, che può andare in crisi in qualsiasi momento. Evidentemente – aggiunge Carlassare – gli estimatori di questa legge elettorale si tengono nascosti ma sono ancora la maggioranza».

 

Professoressa, come giudica la Convenzione costituente, tratteggiata dai «saggi» del Quirinale e proposta ufficialmente dal presidente del Consiglio Letta?

 

Mi pare un’assurdità. Semplicemente non si può fare. È una proposta illecita: la procedura di revisione costituzionale, l’articolo 138, prevede modifiche limitate e omogenee. Non è una porta attraverso la quale si può far passare la redazione di una diversa Costituzione, come mi pare si voglia fare. La procedura non può essere saltata. E la Costituzione non può essere modificata nei principi fondamentali e nella struttura di base, la forma di stato. Né possono essere cancellati i diritti e le limitazioni al potere, il principio democratico e l’appartenenza continua della sovranità al popolo (non solo in occasione delle elezioni). I rapporti fra gli organi costituzionali sono stati disegnati conformemente al principio della divisione dei poteri: se concentriamo tutto il potere in un solo organo, primo ministro o presidente della Repubblica che sia, si cambia la forma di stato non solo quella di governo. E poi l’idea che un piccolo gruppo prenda in mano i destini del paese mi fa paura, è un ulteriore segnale dello spirito autoritario che si sta affermando.

 

Cosa pensa delle alternative in campo, premierato forte e semipresidenzialismo?

 

Si tratta della riproposizione di contenuti non voluti dal corpo elettorale. Quella Costituzione di tipo autoritario, col rafforzamento dei poteri del primo ministro in modo tale da renderlo capace di superare qualsiasi ostacolo, era già stata proposta da Berlusconi e dalla Lega ed era stata respinta dagli elettori. Tornare lì adesso è un primo schiaffo ai cittadini che nel 2006 hanno bocciato quella riforma con il referendum. Un secondo schiaffo è immaginare di approvare di nuovo queste modifiche con una maggioranza tale da impedire un altro referendum confermativo, come è accaduto da poco con l’articolo 81. Sono riforme oltretutto inutili, che si spiegano solo con l’eterna pulsione a non attuare la parte sociale della Costituzione. Così ogni volta che, magari per caso, si profila la possibilità sviluppare i principi sociali della Costituzione con un governo che non sia espressione della pura conservazione, succede qualcosa che lo impedisce.

 

Sta parlando del fallimento, tra marzo e aprile, del tentativo di Bersani?

 

I risultati delle elezioni di febbraio sono stati come sospesi per due mesi. Eppure una cosa era apparsa chiara da subito, lo ha scritto Gianni Ferrara: senza il centrosinistra non sarebbe potuto nascere nessun governo. Il presidente della Repubblica – in un regime non (ancora) presidenziale – ha scelto però di porre al leader della coalizione che, di poco, era risultata vincente una condizione quasi impossibile: la garanzia di una fiducia certa. In politica non si può mai essere sicuri di avere i numeri fino al momento della prova, e del resto abbiamo già avuto nella storia repubblicana governi sfiduciati all’indomani della nomina. Questa volta, al limite, avremmo sostituito un governo dimissionario lontanissimo da qualsiasi gradimento del parlamento (di quello vecchio e di quello nuovo), parlo del governo Monti, con un governo Bersani, dimissionario anch’esso e in carica solo per gli affari correnti, ma almeno rappresentativo della coalizione più votata dagli elettori.

 

Invece abbiamo avuto il governo Letta, che ha messo insieme gli avversari delle elezioni.

 

Questo è il terzo segno di evidente disprezzo degli elettori. Chi ha votato per Berlusconi mai avrebbe voluto l’alleanza con Bersani, e viceversa. È stata fatta invece l’unione degli opposti, degli incompatibili. Una soluzione che mi pare condannata alla paralisi, come si vede dai primi ricatti. Un governo di coalizione si può fare con un sistema elettorale proporzionale, come in passato, quando comunque ad unirsi erano le forze più vicine e non quelle assolutamente contrastanti. Il Pd e il Pdl, o almeno i loro elettori, sono due mondi opposti. Paragonare il loro esecutivo al «connubio» tra Cavour e Rattazzi – espressione entrambi di un gruppo ristretto di elettori della stessa classe sociale – mi pare un insulto alla storia.

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