9 Febbraio 2017
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Cambio di civiltà

di Franca Fortunato

L’incontro delle Città Vicine del 28 e 29 gennaio 2017 alla Mag di Verona

Cambio di civiltà è il tema affrontato dalle Città Vicine nell’incontro tenuto alla Casa Comune Mag di Verona il 28 e 29 gennaio 2017, che ha visto la presenza di oltre cinquanta donne e qualche uomo, provenienti da molte città. Al centro del dibattito la questione di come rilanciare le sfide che il “cambio di civiltà” in atto ci pone, pone alla politica, al sapere, alle pratiche e alle esperienze delle donne che hanno contribuito e contribuiscono a tale cambiamento, che va visto, riconosciuto, nominato e fatto conoscere. Un cambiamento presente anche nel libro pubblicato dalla Mag L’Europa delle Città Vicine, a cura di Loredana Aldegheri, Mirella Clausi e Anna Di Salvo, che raccoglie i contenuti del convegno tenuto a Roma lo scorso 21 febbraio 2016 alla Casa Internazionale delle donne. Anna Di Salvo, di Catania, lo ha presentato in apertura dell’incontro, definendolo «lo specchio delle Città Vicine» che si sono date come sfida politica quella di mettere insieme pensiero, pratiche, città, questioni come l’emigrazione, la militarizzazione, l’economia, il modello capitalistico, l’Europa come spazio comune. E ha ricordato Maria Luisa Gizzio e Rosetta Stella, alle quali è dedicato il libro, due care amiche che ci hanno lasciate e che hanno partecipato con tanta passione e con i loro pensieri al convegno.

«La sfida, la scommessa in questo presente – ha detto Anna – è che la nostra politica venga conosciuta il più possibile e riesca anche a rivitalizzare situazioni statiche, oltre che fecondare e incentivare luoghi di donne e di uomini per certi aspetti vicini al nostro sentire, con i quali dialogare, intrecciare rapporti, percependo al contempo il valore simbolico che viene a crearsi quando nello spazio libero dello scambio avvengono avvicinamenti che arricchiscono la politica di altri apporti e nuovi gesti condivisi». La presentazione del libro e la realizzazione entro l’anno di un Almanacco delle Città Vicine, di cui ha parlato Franca Fortunato di Catanzaro, vanno nella direzione indicata da Anna. Per questo si accoglie l’invito che giunge da Roma da Francesca Koch della Casa Internazionale delle Donne, di prendere parte ad alcuni incontri con realtà, soprattutto di donne, che hanno preso a cuore la “questione dell’Europa” oggi, nei suoi vari aspetti e criticità, per scambiare e approfondire analisi e pratiche in merito. Incontri che potrebbero portare a condividere visioni, istanze e posizioni da esporre in occasione delle celebrazioni per i 60 anni trascorsi dalla firma del Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea avvenuta proprio a Roma.

Maria Concetta Sala, di Palermo, ha parlato di cambio di civiltà come “lavori in corso”, di cui c’è necessità di cogliere il senso per «tradurli in parole e pratiche creative, che necessitano un affinamento dell’arte di tradurre, trasferire, trasporre i pensieri, per dire la realtà, il cambiamento, senza cadere nella de-realizzazione cioè nell’alterazione della realtà attraverso l’immaginazione». Leggere il cambiamento fuori dalla de-realizzazione è una pratica che le Città Vicine hanno portato avanti sin dalla loro nascita – come ha ricordato Mirella Clausi di Catania – e che Laura Minguzzi ha indicato come la necessità che l’ha portata a creare con altre a Milano il LabMi.La città del primum vivere perché «volevo capire il quartiere dove vivo, capire se come io lo vedevo era giusto o falso». Il problema – ha detto Katia Ricci di Foggia – non è solo vedere il cambiamento e dirne il senso, ma è anche diffonderlo, farlo conoscere attraverso la stampa, come ha sempre fatto Franca Fortunato sul Quotidiano del Sud (un tempo Quotidiano della Calabria), stando attenta – come lei stessa ha detto – a non scambiare il rinnovamento reale da quello da lei desiderato. Un cambiamento che, concluse alcune esperienze come quelle delle sindache calabresi, Franca oggi vuole verificare, tornando nei luoghi e dalle donne e uomini che l’hanno creato, vissuto e riconosciuto.

Guardare la realtà senza farci prendere dall’immaginazione per Simonetta Patané di Roma significa tenere insieme il lavoro sui fatti con il lavoro del pensiero come ha visto fare alla Mag, dove il cambiamento c’è, è palpabile, nel riconoscimento di autorità a Loredana Aldegheri e nell’attività di 40 anni – come ha detto anche Ada Maria Rossano di Bergamo – in cui la Mag ha creato non solo occupazione ma nuova civiltà. Tale riconoscimento verso la Mag per Luciana Talozzi di Choggia è un livello alto di civiltà politica, che ha un significato simbolico. Per Sandra Bonfiglioli di Milano il cambiamento nella nostra esperienza esiste qua e là ed è profondo, ma la questione è che non lo nominiamo. Il mondo l’abbiamo già cambiato con le nostre azioni quotidiane e invisibili, ma c’è bisogno di trovare le parole cioè tradurre, trascrivere, traslocare per dire questo cambiamento profondo che durerà a lungo ma che già oggi è in una dimensione costituente. È una questione di consapevolezza, di entrare nella nostra maestà. Per Bianca Bottero di Milano il cambio di civiltà, inscritto nel nostro sistema sociale, ci interroga sul «successo di una tecnologia esuberante che consente lavori sovrapposti, una pluralità di azioni che hanno sempre caratterizzato le donne». Per Adriana Sbrogiò di Spinea il cambio di civiltà si misura su come uomini e donne si comportano e si relazionano tra loro perché è la relazione che ci fa vivere bene. E questo cambiamento è già avvenuto. Paola Piva e Miria Pericolosi hanno posto la questione della presenza delle donne nelle istituzioni e la necessità a Verona di creare un coordinamento tra i vari luoghi di donne.

La nostra carta vincente per Maria Castiglione di Milano sta nell’attenzione al processo, al metodo, indipendentemente dall’obiettivo. Il processo, il come, più che l’obiettivo, è una pratica da sempre presente nelle Città Vicine – come hanno ricordato Mirella Clausi e Franca Fortunato – ma a noi che facciamo economia – ha osservato Loredana Aldegheri – interessa sì il processo, ma anche l’esito. Il problema allora è tenere insieme l’uno e l’altro. Ed è quello che la Città Felice fa a Catania, come Anna e Mirella hanno detto parlando del loro lavoro sulla città e delle loro relazioni con donne e uomini di altri luoghi. Da qualche tempo stanno interloquendo con le loro pratiche e lettura della realtà con gruppi e compagini siciliane e non, che intendono fare dell’inquietante evento del G7 a Taormina, fissato per fine maggio, un’occasione per approfondire analisi, acquisire dati e far conoscere la realtà in su quello che il G7, nella sua espressione e consistenza geo-politica, rappresenta per il mondo intero in termini di economia, lavoro, migrazioni, militarizzazione, disastri ambientali, oppressione di popoli. A tal proposito ha preso avvio l’ipotesi che le Città Vicine intervengano con iniziative e presenza attiva, per “esserci” in questa fitta rete di eventi e di scambi, soprattutto nei momenti centrali della discussione che avverrà a inizio di maggio, nella stessa Taormina, dove è prevista l’organizzazione di convegni e iniziative a carattere internazionale.

A volte il cambiamento sembra perduto, come a scuola dove per Anna Maria Piussi di Verona «sta succedendo qualcosa che va in una direzione che mai mi sarei aspettata né io né altre. Un’ondata antidiscriminazione, contro gli stereotipi, le varie differenze che tendono a cancellare la differenza che considero fondante che è la differenza sessuale. Tutto questo è paradossale, pensando alla ricchezza di quello che è stato prodotto in altri anni con la Pedagogia della differenza prima e dell’Autoriforma dopo». Un’Autoriforma di cui, per Katia Ricci, sembra non sia rimasto niente nella cosiddetta Buona Scuola ma che basta una scintilla, un’invenzione creativa perché venga conosciuta e riconosciuta, come è accaduto a Foggia dove Antonietta Lelario ha proposto alle ragazze e ai ragazzi di un liceo la presentazione del libro di Vita Cosentino Scuola. Sembra ieri, è già domani (Moretti & Vitali) e ne ha fatto una specie di sceneggiatura, suscitando il loro protagonismo e il loro interesse.

A volte, interviene Antonella Cunico di Vicenza riferendosi al movimento di dieci anni fa del NoDalMolin, il cambiamento sembra perduto perché «c’è una sproporzione tra ciò che speravamo un giorno e quello che oggi è la città», dove però una mobilitazione c’è ancora, anche se non è come una volta. Le ragazze dei Centri sociali «hanno cominciato a utilizzare il linguaggio sessuato con cui ci esprimevamo noi al tempo della nostra mobilitazione e sono loro che tengono alto l’interesse per la nostra sfortunata città. Quello che non siamo riuscite a realizzare noi forse fiorirà altrove».

Il vero cambio di civiltà per Giusi Milazzo di Catania è l’emigrazione che ci mette a confronto con cambiamenti profondi e richiede pratiche di accoglienza come quella di Riace in Calabria, dove un borgo medievale è stato riportato a vita dalla presenza dei e delle migranti. Dopo aver partecipato al Riaceinfestival del 2016, organizzato dal sindaco Domenico Lucano dietro iniziativa di Chiara Sasso, le Città Vicine – come ha anticipato Anna Di Salvo – ci andranno anche quest’anno per presentare il loro libro sull’Europa così come andranno a discuterlo a Lampedusa molto presente nel libro stesso. A Pordenone Lorena Fornasir è in prima linea nell’incontro con i rifugiati, a contatto con «corpi stanchi, debilitati, torturati che abitano un non luogo, il parcheggio sotterraneo del Bronx, dove non siamo all’interno della civiltà, eppure paradossalmente lì c’ è la vita, il futuro, la speranza e una grande creatività». La creatività nei luoghi della sofferenza è un dato che Anna Paola Moretti ha scoperto anche nelle sue ricerche sulle deportate sopravvissute ai lager, «donne che avevano pensiero perché il corpo è pensante anche nelle situazioni estreme, dove le donne in relazione tra loro riuscivano a scambiarsi gesti di umanità come il farsi regali e fare una torta di compleanno con il pane messo da parte». La cura dei corpi dei rifugiati, fatto solo da donne, ha bisogno di essere riconosciuta e nominata come gesto politico e non come pura assistenza, perché crea civiltà, anche nel Bronx, dove Lorena su questo ha visto rompersi rapporti affettivi storici con donne. Sollecitata da Clara Jourdan di Milano sul perché non c’è stato conflitto ma rottura cioè mancanza di politica, Lorena ha spiegato: «Nel conflitto c’è relazione ma in una situazione come la nostra non è possibile il conflitto, questo viene rimosso, eluso e c’è la scissione che è un attacco al pensiero, lì non si può integrare il corpo con la mente. Quando la vera scena è la scena della tortura, lì si impatta con un’emotività che ti scardina dentro ed è una cosa molto difficile da reggere, da sopportare, diventa difficilissimo anche parlarne». Per Gian Andrea Franchi, anche lui coinvolto in questa esperienza con i rifugiati a Pordenone, vedere la città dai bassifondi è stato vedere la verità della città e questo «ha modificato il mio modo di vedere la città». Molte culture, per Daria Ferrari, sono scomparse ed è fiorita quella speculativa che sfrutta tutti e tutte. «Io e mio marito – ha detto – siamo di origini jugoslave e abbiamo vissuto in prima persona cosa vuol dire culture diverse, in pace e in guerra. Io so che se si perde una, dopo c’è la guerra».

Nel lavoro di cura il tempo del pensiero è essenziale, così come prendersi l’agio della pausa – di cui ha parlato Maria Concetta Sala – per riflettere e non restare incasellati nella pura assistenza, è quanto ha ribadito Maria Antonietta Bergamasco di Verona. Chi si impegna nel sociale rischia di cadere nell’attivismo se – come ha ricordato Chiara Zamboni –, non si interroga su quello che sta facendo.

Un’altra questione sollevata da Annamaria Piussi, riferendosi sempre a quanto sta accadendo nella scuola, riguarda la genealogia femminile: «Occorre un pensiero sulla genealogia perché altrimenti ho l’impressione che si debba sempre ricominciare da zero. Questo mi sembra il cuore di una nuova civiltà, una civiltà diversa che non deve essere civiltà futura ma al presente». La genealogia femminile per Anna Di Salvo è da tenere sempre presente, altrimenti non riusciamo a sentirci autorizzate dal pensiero delle donne in quello che facciamo. Cosa che – secondo Anna – non sta avvenendo nel movimento Nonunadimeno dove «c’è un grande fermento, anche interessante, ma dove non si tiene gran conto delle relazioni, della trasmissione dei saperi, delle pratiche delle donne del presente, del passato e del passato recente». Le genealogie ci portano alle origini della civiltà della Dea Madre, a cui Pina Massarelli di Foggia è tornata con la sua arte di ceramista perché «se vogliamo ritrovare una nuova civiltà dobbiamo scoprire che cosa era il culto della Dea Madre». Bisogna tornare alla civiltà matriarcale, è questa la questione per Antonio D’Andrea, non cambiare la civiltà patriarcale perché questa non è una civiltà. Tornare sì al mito e alle genealogie, secondo Chiara Zamboni, ma occorre un salto nel presente da parte di chi vive nel presente, altrimenti è solo una ripetizione, e della ripetizione non ce ne facciamo niente. «La genealogia e il mito – ha detto Chiara – hanno bisogno di invenzioni, di parole nuove per dire quello che sta avvenendo oggi. Se ci facciamo affascinare dal passato diventa un godimento fine a se stesso».

(www.libreriadelledonne.it, 9 febbraio 2017)

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