20 Aprile 2018

Donne e pretesti

di Luisa Muraro

 

“Siamo stufe delle belle parole e della politica vuota” hanno scritto quelle di Wans parlando della rivista Artforum. Wans è l’acronimo di We are not surprised (“non siamo sorprese”). Di che cosa? Provate a immaginare.

Incurante di questi umori femminili originati dal Metoo, il direttore della Stampa ha scritto un enfatico elogio delle donne per proporre di mettere una qualche donna a capo del governo prossimo futuro. Alberto Leiss, che da anni frequenta il femminismo, sul manifesto del 14 aprile riferisce e sottoscrive l’editoriale, ma senza entusiasmo tant’è che, prima del punto finale, si ferma a chiedersi: questo inneggiare al valore femminile “non sarà una vecchia via di fuga?”

Vecchia e sempre nuova, mi viene da commentare, ma la parola giusta forse è un’altra: vacua. Nel suo famoso elogio dell’amore, la prima immagine squalificante che usa l’apostolo Paolo, è proprio questa: la vacuità.

La vacuità è il rischio che corrono gli uomini quando decidono di parlare bene delle donne. Sono sinceri ma sono ignoranti e il movente profondo potrebbe essere sempre lo stesso (la vecchia storia che dice Leiss), cioè i sensi di colpa. Con l’aggiunta, ai nostri giorni, di un certo opportunismo.

Motivi per sentirsi in colpa non mancano agli uomini, specialmente a quelli che comandano sugli altri. Motivi grandi come case. Nel 1992 le Edizioni Dehoniane di Roma hanno pubblicato un libro, Misoginia, a cura di Andrea Milano, che lo dice: dal passato remoto il male della misoginia è arrivato al passato prossimo (i famosi Codici della rivoluzione borghese…) e dal presente si dirige impunito verso il futuro, aiutato dalla Rete, mai interrogato come si deve.

Ma i sensi di colpa non servono: sono funghi effimeri e spesso velenosi. Così ho avuto l’idea di fare come i confessori di una volta con i penitenti senza immaginazione, e come fanno oggi gli esaminatori con gli studenti senza idee: dargli una traccia. Chi sente l’impulso di parlare bene delle donne, lo ascolti e si chieda: che cosa ho da dire, io, precisamente? sono informato? dove vado a parare? sono di quelli che saltano le notizie del femminismo e si dicono: ormai è finito? sesso a parte, quante e quali donne conosco personalmente per nome e cognome? sesso a parte, che interesse provo per loro? sono pronto a dare un seguito pratico alle mie parole? o voglio solo fare colpo? a chi e che cosa penso veramente quando cerco la cosa giusta da dire o da fare? che cosa so io per certo della società femminile? vado dietro ai soliti luoghi comuni? o, peggio, mi compiaccio di comodi rovesciamenti dei luoghi comuni? L’elenco potrebbe continuare e non si dica che è troppo lungo. D’altra parte, non è obbligatorio parlare bene delle donne: dopo tanto parlarne male, la sola cosa vietata è parlare a vanvera. Lo stesso vale per la politica, come dicono le americane: stufe di belle parole e di politica vuota. Che, tradotto per gli italiani, vuol dire: non fate delle donne il pretesto per i vostri vizi di sempre.


(www.libreriadelledonne.it, 20 aprile 2018)

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