28 Maggio 2020

Il silenzio degli innocenti

di Antonio Loffredo


Gli uomini parlano tanto, hanno sempre avuto voce in capitolo, riempiono vuoti, detestano i silenzi… quel silenzio e quel vuoto necessari invece per ascoltare e guardare dentro di sé e farci capire da dove nasce e dove si annida ancora oggi la violenza contro le donne, la misoginia e l’incapacità di riconoscere autorità femminile. È da tempo che spingevo mio marito a pensarci e parlarci. Mi sono emozionata quando uno di questi giorni di confinamento – di silenzio – mi ha fatto leggere le prime parole sulla sua esperienza al riguardo. Parole che vorremmo servissero per iniziare a capirci tra donne e uomini, premessa fondamentale per la negoziazione di un nuovo e vero patto sessuale (Lola Santos Fernández)


Quando Lola, mia moglie, mi ha chiesto se avevo voglia di trasformare in parole scritte i miei pensieri sulla violenza maschile contro le donne era appena scoppiata la crisi per il Coronavirus e, quindi, mi sono detto che non era il momento giusto. L’alibi, dovete concedermelo, è di quelli buoni perché in questo periodo, tranne qualche voce che ci ha allertato sul rischio di aumento delle violenze sulle donne mentre sussiste questa convivenza obbligata per l’intera giornata, tutti gli altri sono (siamo) concentrati su una sola cosa: il virus, come se tutto il resto fosse scomparso e, forse, per la paura che tutto il resto possa davvero scomparire.

Tuttavia, con il passare dei giorni, l’anomalia della quarantena sta diventando normalità (anormale) e la tentazione autoassolutoria è stata la prima a risvegliarsi: ovvero, la voglia di gridare a tutti (soprattutto alle donne) che io con questa violenza non c’entro, che non mi appartiene perché mai ho esercitato un atto di violenza su un altro essere umano e sento che mai potrei farlo su una donna. Io ho amato profondamente mia madre e amo allo stesso (diverso) modo mia moglie e le mie due meravigliose figlie e il pensiero che possano subire (o possano avere subito) violenze per il solo fatto di essere nate donne mi fa rabbrividire, mi riempie di rabbia. E di violenza.

Insomma, in quanto diverso dal mostro non voglio essere con lui confuso, perché credo di essere un uomo pacifico e cortese e che quella violenza maschile mi è estranea. Ma non è vero.

Io, nonostante le premesse, un po’ di quella violenza legata al mio essere nato maschio, e che tanta repulsione mi creava da bambino, me la porto dentro. È da un po’ che mi interrogo sulle cause e le ricerco nella mia famiglia di origine, meravigliosa nei miei ricordi che svaniscono sempre più in fretta, nella straordinaria città dalla quale provengo (Napoli), nelle esperienze della mia vita felice e, anche se a fatica, pian piano sono riuscito a trovare qualche traccia di violenza, che ho voluto nascondere soprattutto a me stesso.

Eppure, nonostante sia nato e cresciuto in una famiglia di origini popolari in cui i miei genitori erano stati gli unici (nelle loro famiglie di origine) ad essere andati oltre le scuole medie, la mia infanzia non ha assomigliato per niente a quella (un po’ stereotipata) dell’Amica geniale, libri e serie che peraltro amo moltissimo e che hanno coinvolto e commosso Lola e me fin dalla prima pagina. Io ho avuto la sorte di non avere esperienza diretta di questo tipo di violenze, anche se ne ho percepito gli echi nella mia esistenza, nella triste storia di una zia, la cui sofferenza non poteva essere soltanto denunciata all’autorità giudiziaria ma doveva anche essere vendicata dai maschi della famiglia, per assicurarsi che quelle violenze non si sarebbero ripetute, anche perché lo Stato italiano ha abbandonato metà dei suoi cittadini all’autogoverno. Ma tutte queste cose le ho sapute da mamma quando ero adolescente e le ho capite meglio da adulto. Poi ci ha pensato il mio istinto di autotutela e la mia capacità di rimozione del negativo per non sporcare la memoria di un’infanzia felice a fare il resto. E il lavoro per riportare a galla il rimosso sta comportando una grande fatica e non poco dolore.

Questo percorso però ha trovato un ostacolo (quasi) insormontabile in un’assenza, una mancanza insuperabile: la parola. Non sono mai riuscito a parlare di queste esperienze e di questo vissuto maschile con altri uomini, intrappolati come siamo in una “fase afasica”, come diceva una notte il telecronista di una partita di calcio che ho sognato (saranno gli effetti di un’altra mancanza: il mio amato Napoli). Questa sì è un’esperienza tutta maschile: difficilmente una donna potrà, da un lato, sognare una partita di calcio e, dall’altro, capire il muro di gomma contro il quale un uomo rimbalza ogniqualvolta prova ad affrontare questo tema, se non in circoli quasi segreti e “inaccessibili” all’uomo comune. Spinto dalle parole e dall’amore per mia moglie, ci ho provato con i miei amici più stretti, uomini comuni come me, pur immaginando le probabili reazioni, che si sono prontamente verificate: la maggior parte delle volte sono stato ignorato, qualche volta anche deriso. Con il tempo ho intuito le dolorose ragioni che hanno portato persone a cui voglio bene (e che credo me ne vogliano) a trattarmi in quel modo: il conflitto con le donne è indicibile, innominabile tra uomini di qualsiasi latitudine (a meno che non si tratti di lamentarsi delle vessazioni quotidiane subite dai maschi da parte delle donne in casa e fuori).

Eppure, la condanna della violenza sulle donne è entrata nello scenario pubblico in modo talmente prorompente (Me too…) da non ammettere posizioni opache; allo stesso tempo, però, raramente si prova ad affrontarne le origini più profonde perché pure gli uomini “buoni” continuano a trattare questo fenomeno come un problema delle donne e non come uno nostro. E, in effetti, soprattutto per questi maschi è davvero impossibile. accettare di avere qualcosa (fosse anche molto poco) in comune con quelli che possono arrivare a picchiare o a uccidere una donna. Ciononostante, mi sto convincendo che i mostri possiamo essere uno, nessuno e centomila; in qualche modo ne siamo complici proprio a causa di quel “silenzio degli innocenti”, che sembra voler dire che la questione non ci riguarda. «Anche se voi vi credete assolti siete lo stesso coinvolti», cantava De André.

Tuttavia, sento che le origini della violenza sono inconfessabili soprattutto perché ce ne vergogniamo, perché il denominatore comune è la nostra debolezza: noi uomini siamo apparsi a noi stessi in tutta la nostra nudità, davvero come il sesso debole quando la morte del patriarcato ci ha lasciato privi di un luogo nella società e ha fatto a pezzi la nostra identità maschile. Probabilmente, quella violenza cieca è una vendetta nei confronti di chi ha ucciso chi eravamo, un moderno delitto d’onore collettivo.

Gli uomini più coraggiosi stanno provando da soli (o in piccole e segrete congregazioni) a ricostruirsi al di fuori di quel comodo ma strettissimo (almeno per alcuni) abito che ci era stato cucito addosso dalla società patriarcale. Infatti, portare un corpo da uomo non ha sempre conseguenze positive, almeno per chi, come me, ci tiene a seguire i tempi naturali che mi ha dettato la vita quando ho voluto stare vicino a mio padre che si era ammalato, a mia moglie quando ha partorito o alle mie figlie durante la loro crescita. La società patriarcale ha messo da parte il legame degli uomini con la vita reale, quella dei corpi che nascono, crescono, si ammalano e muoiono, perché trae linfa da quel vincolo culturale, apparentemente inscindibile, esistente tra maschile e potere, la cui perdita è forse altra causa della nostra violenza.

Gli uomini più mansueti sono capaci di affrontare questa perdita senza violenza (e magari con un po’ di rassegnazione nei confronti di una trasformazione dell’altra metà del mondo, trasformazione inarrestabile) ma molti, moltissimi altri non trovano altra risposta. Il problema che ci accomuna tutti (tranne rarissime eccezioni) è però il silenzio, che alimenta e costituisce ormai una concausa di quella violenza. Parlare non è solamente utile, è necessario, non più rinviabile. Approfittiamo di questo silenzio eloquente per prendere la parola e per ripensare noi stessi, prima di provare a ripensare un mondo diverso


(www.libreriadelledonne.it, 28 maggio 2020)

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