29 Aprile 2020

“Le donne separano merito e potere; gli uomini misurano il merito con il potere”. E l’autorità?

di Paola Mammani


Le donne del MeToo che hanno saputo darsi reciproca autorità, dicendo tutte assieme “io lo testimonio” “sì, anch’io”, hanno determinato un ineguagliabile smottamento in alcune delle più potenti strutture di potere maschile. Sono state credute e altri luoghi del potere più tradizionale, per esempio i tribunali, hanno riconosciuto la loro parola come autorevole.

Sempre meno donne pensano che il più alto obiettivo per le loro simili sia occupare posti di potere fino a raggiungere gli uomini, come fa Emma Bonino sul Corriere del 21 aprile, e sempre di più pensano invece che sia importante acquistare autorità per arrivare a quello che alcune hanno definito cambio di civiltà e qualcun’altra ha azzardato: rivoluzione.

A me pare che durante questa pandemia l’autorità delle donne sia grandemente accresciuta. Giovane donna, la dottoressa che ha diagnosticato il primo paziente di Codogno, donne le ricercatrici che per prime in Italia hanno isolato il virus, donne le tante scienziate che ci hanno tenute informate. Le infermiere sono il 78% della categoria, le mediche negli ospedali sono la maggioranza. E Paola Severino, ex ministra della giustizia e avvocata, ancora dalle pagine del Corriere, quello del 24 aprile, aggiunge che il 53% della magistratura è donna e si interroga, come Bonino qualche giorno prima, su come sia possibile che a tanta capacità femminile corrisponda una così grande assenza di donne nei luoghi in cui si prendono le decisioni. Salta agli occhi, a lei come a Bonino e a tutte noi, la miseria di una classe politica che a fronte di tali meriti femminili, visibili sulla scena pubblica, nomina pletore di comitati e task force composte del tutto o quasi da uomini.

Bonino adotta un armamentario politico a metà tra la rivendicazione e l’attacco. Quindi sì – conclude – bisogna combattere di più per prendersi i posti di comando.

Severino analizza il comportamento degli uomini: […] ogni volta che per la mia esperienza universitaria un uomo mi chiede qualche nome di donne capaci, e io ne dico una, sento sempre la frase: ah, è vero, non ci avevo pensato. Perché non ci pensano? È questo il problema. Così lei abbozza questa politica per le donne: [] il nostro primo problema è di creare più occasioni per il riconoscimento del merito femminile e ridurre così il gap tra merito e potere. Credo anche che le donne che ce l’hanno fatta… dovrebbero aiutare le altre donne a mostrarlo (sottinteso il loro merito).

Fin dall’inizio Paola Severino sembra alla ricerca di una chiave di lettura più vicina alla sensibilità e al desiderio femminile. Ipotizza che abbiamo anche noi la nostra parte di responsabilità. Le donne separano merito e potere; gli uomini misurano il merito con il potere. E più sotto: Troppo spesso ci accontentiamo di essere brave. Gli uomini invece si accontentano solo con il potere, e si nominano l’un l’altro.

Chissà che la nostra ex ministra della giustizia, prima donna della Repubblica a ricoprire quel ruolo, non sospetti, in fondo, che le donne non si accontentano con il potere, che non stia lì il loro piacere, il loro desiderio. Che una volta provata, sperimentata nelle sue tante facce, faticose ed esaltanti, una donna, forse, non si accontenta di niente di meno che dell’autorità.

Ricordo una bellissima foto sulla copertina di Via Dogana, la rivista della Libreria, del giugno 2005 in cui si vede una studiosa dell’islam che impartisce una lezione, seduta in posizione elevata, un poco al di sotto la ascoltano il re del Marocco, dignitari, autorità religiose e politiche, e mi chiedo se la tensione tra i due termini, autorità e potere, non possa anche sistemarsi così, se le donne lo preferiranno. Insomma, se non sia più semplice, o gradito alle donne, dare indicazioni, suggerire traiettorie che poi la classe politica, i comitati, le task force si impegneranno a realizzare.


(www.libreriadelledonne.it, 29 aprile 2020)

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