20 Luglio 2018

Parlare bene e farsi ascoltare

di Cristiana Fischer

Devo mescolare il tema di parlare bene di -alcuni- uomini (serata del 7 luglio ’18 in libreria) con quello delle donne che si fanno ascoltare, VD3 “alla luce di un credito politico crescente”, tenendo conto della battuta che subito affiorerebbe: perché parlano bene degli uomini?

Devo mescolare i due temi del parlare bene e del farsi ascoltare per affrontare le due questioni che pone Lilli Rampello nel suo contributo “C’è autorità della parola femminile sul corpo delle donne. E sul resto?” che sono: 1 che proposta politica possiamo fare in una comunità democratica giunta a essere a rischio? 2. la realtà politica a noi nota è diventata una potente costruzione retorica, efficace, machista e manipolata.

Ebbene io ne parlerei anche male, degli uomini, tranne che di alcuni e per alcuni aspetti. Per esempio di un figlio, di un marito, di un cognato, di alcuni amici, direi che il positivo -per me- prevale sui ben noti lati negativi, non li elencherò. Si tratta di uomini che mi riconoscono libertà e autorità amicale e materna (che riassumerei nell’equilibrio di dare a ciascuno il suo, il comunismo materno di cui sentii da Lia molti anni fa), in vicinanza con quanto scrive Massimo Lizzi “considerare la donna, non solo come l’altra, ma come l’una, e l’uomo come la sua variazione”. Uomini che mi consentono di frequentarli con piacere in reciproco riconoscimento, senza “il passo di fuga del maschio”, perché il materno è sostanzialmente accogliente.

A sinistra invece avevo frequentato ultimamente uomini che non attribuiscono alcun valore alla modalità di autorità amicale e materna in cui mi riconosco, perché il materno lo vedono solo come servizio e quindi automortificazione, e del legame amicale con una donna non sanno proprio che farsene, amici sono tra loro, una donna può essere una *compagna*, una discepola, una pari competitiva. Stavo in un posto, per dire, in cui si svillaneggiò il #metoo, che avrebbe schierato i maschi in un necessario separatismo per paura delle menadi sostenitrici e sostenute dal neoliberismo, e che non riconosceva alcun significato politico nella pratica del partire da sé, quindi me ne andai.

Abbiamo ancora molto da pensare e studiare per capire questa realtà nuova scrive Lilli, e mi pare di capire che vuole soprattutto poter interloquire, criticare, avere cioè la forza di produrre cambiamenti.

Cambiamenti però non solo dirompenti ma anche costruttivi, e come altro impostarli se non ancorandoci ancora di più al nesso autorità libertà che ha coperto ormai una intera generazione di donne, rese capaci di un discorso più ampio e più radicale? Fin che il discorso avrà corso e potrà servire…

(www.libreriadelledonne.it, 20 luglio 2018)

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