9 Novembre 2014
Una perla nascosta, 28, n. 2

Redentoristi e Redentoriste. Convergenze e diversità

di P. Sabatino Majorano

Riportiamo la sintesi trascritta dell’intervento che il P. Sabatino Majorano ha tenuto, il 2 aprile 2014, al Seminario di studi sulla Spiritualità crostarosiana, organizzato presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Foggia.


Continuando l’approfondimento della spiritualità di madre Celeste Crostarosa, progettato per questo seminario, la nostra riflessione si ferma questa sera oggi sul rapporto tra Redentoristi e Redentoriste. I passi che propongo sono tre. Mi è sembrato infatti opportuno richiamare sinteticamente come questo rapporto si è sviluppato, cogliere poi i punti di contatto e le diversità più significative, per infine chiederci cosa tutto questo può significare per noi oggi.

Consentitemi però una breve premessa. Il tema che affrontiamo questa sera è importante non solo per chi studia la spiritualità meridionale, ma anche a livello culturale. Nella proposta morale e spirituale di sant’Alfonso e di madre Celeste infatti sono presenti la luminosità, il calore, la positività del nostro Sud. Nell’Ottocento, tramite l’opera dei Redentoristi e delle Redentoriste, questa proposta si è diffusa nell’intera Europa e poi in tutto il mondo. Gli storici francesi, ad esempio, parlano di “liguorizzazione” della morale e della pietà popolare, che segna la vittoria sul rigorismo etico-spirituale di matrice giansenista. In un momento in cui sembra quasi un obbligo culturale l’adeguamento alla prassi tecnico-economica del Nord, è ancora più importante sviluppare e proporre le ricchezze umane e di incontro del Sud mediterraneo. Alfonso, con la sua benignità pastorale che fa incontrare in maniera feconda la libertà e la legge, la persona e la comunità, la tradizione e la costante ricerca, è una pagina importante di questo nostro Sud.

È con questo respiro culturale più ampio, che guarda l’Europa e il mondo intero, senza però accantonare la propria identità e le appartenenze, che vorrei invitarvi a rileggere il rapporto tra Redentoristi e Redentoriste.

 

  1. Uno sguardo alla storia

 

Il tempo a disposizione non mi permette di ricostruire dettagliatamente i fatti. È necessario però richiamare almeno gli elementi più significativi.

Il primo dato da sottolineare è che, a differenza di altri istituti, nella realtà redentorista la comunità femminile nasce prima di quella maschile. Risale infatti al 1725 la prima stesura delle Regole da parte della Crostarosa per la sua comunità, anche se poi verranno poste in atto solo nel 1731. I Redentoristi invece nascono più tardi, nel 1732, e nascono proprio dall’incontro dell’istanza missionaria di Alfonso di porsi totalmente al servizio degli abbandonati (essere cioè “chiesa in uscita”, per usare il linguaggio di Papa Francesco) con la visione di “comunità memoria” di madre Celeste.

All’inizio abbiamo Redentoriste e Redentoristi, anche se nei primi anni, fino cioè all’approvazione pontificia nel 1749, non si chiamano così, ma Monache del SS. Salvatore e Preti missionari del SS. Salvatore. Il cambio di nome è dovuto alla necessità di non confondersi con altre realtà religiose già esistenti.

Nel 1733 la Crostarosa venne accantonata dal cammino che la comunità redentorista primitiva stava facendo. Fu costretta a lasciare Scala, passò a Piedimonte, poi a Pareti, per stabilirsi infine a Foggia, dando vita al Conservatorio del SS. Salvatore secondo il proprio progetto. Frattanto a Scala la comunità redentorista femminile continuava il suo percorso. Nel 1749 la S. Sede approvava le regole dei Redentoristi e, qualche anno più tardi, anche quelle delle Redentoriste. Non si trattava però del testo scritto da Madre Celeste, ma di quello riscritto da mons. Falcoia. L’Ordine delle Redentoriste si svilupperà partendo da Scala, passando a Sant’Agata dei Goti (la diocesi di S. Alfonso), poi a Vienna, in Belgio, nel mondo intero.

Mentre l’Ordine delle Redentoriste si sviluppava, il monastero di Foggia rimase ai margini. Aveva infatti ottenuto l’approvazione del Re di Napoli e si configurava come un monastero regio, con una propria regola, che originariamente fu quella della Crostarosa, ma poi fu rimodellata dal Cappellano Maggiore in vista dell’approvazione.

Durante l’Ottocento e gran parte del Novecento, la Crostarosa e il suo messaggio spirituale si trovarono “confinati” a Foggia e quasi dimenticati non solo dai Redentoristi, ma anche dalle stesse Redentoriste, che considerarono S. Alfonso come loro fondatore. Di tutto questo è emblematico il fatto che, quando tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, si tentarono i primi passi per la canonizzazione di Madre Celeste, ne furono protagonisti il monastero di Foggia e il canonico Pietro Crostarosa, non l’Ordine o la Congregazione redentorista, come invece è poi accaduto.

Da questi rapidi accenni, appare chiaro che la realtà foggiana è restata per un lungo periodo una realtà a sé, con pochi rapporti con il resto dell’Ordine. L’Ordine si è sviluppato sulla base della Regola, riscritta dal Falcoia, considerando Sant’Alfonso come suo fondatore. Ancora negli anni Settanta-Ottanta, quando ho cominciato a interessarmi di questi problemi, andando in qualche monastero mi sentivo dire dalle Redentoriste: Non conosciamo la Crostarosa; il nostro fondatore è Sant’Alfonso.

Per rimettere la Crostarosa nel circuito dei Redentoristi e delle Redentoriste, si è dovuto aspettare il Concilio Vaticano II, che nel decreto Perfectae caritatis ha chiesto a tutti gli istituti religiosi di ritornare alle proprie origini e di attualizzare l’intento dei fondatori e delle fondatrici alla luce dei segni dei tempi presenti nella nostra società. I molteplici studi di quegli anni hanno permesso di ricostruire in maniera più adeguata la storia delle origini. E le Redentoriste e i Redentoristi hanno cominciato a riscoprire la Crostarosa e il suo messaggio spirituale.

Tra i protagonisti di questa riscoperta, permettetemi ricordare almeno il P. Domenico Capone, il primo che con un paziente lavoro ha cercato di analizzare e far conoscere i manoscritti della Crostarosa. Si tratta di un lavoro ancora da completare, nonostante i significativi passi compiuti, come i volumi dell’edizione critica contenuti nella collana Testi e Studi Crostarosiani.

La riscoperta della Crostarosa perciò è una novità all’interno dello stesso filone della spiritualità redentorista, che precedentemente si è sviluppata in chiave maschile. Le Redentoriste si nutrivano di questo sviluppo, ma non ne erano protagoniste. Ne è esempio la figura del P. Passerat, uno dei maggiori diffusori della congregazione nel Nord Europa, anche se con una visione spirituale più “monastica” e meno “unitaria” di quella di sant’Alfonso. Il P. Passerat si è impegnato tanto per la diffusione anche delle Redentoriste, ma accentuando ancora di più la visione claustrale di “separazione dal mondo”.

Sintetizzando e semplificando al massimo, si può dire che nella storia redentorista abbiamo una partenza femminile, uno sviluppo maschile e, in questi ultimi decenni, un recupero femminile.

Guardando poi lo stato attuale della spiritualità redentorista, credo si possa affermare che la Crostarosa è oggi riconosciuta come uno dei punti di riferimento. Ci sono però ancora delle resistenze (forse più di sapore maschilista!) di coloro che temono di mettere in ombra la figura di sant’Alfonso. Occorre aggiungere che dove la Congregazione è più viva e dove sono più numerose le vocazioni, si registra oggi un interesse maggiore per Madre Celeste; cosa che non avviene in quelle parti in cui i capelli sono prevalentemente bianchi!

 

  1. I punti di incontro e le diversità

 

Mi soffermo su alcuni punti che riguardano la proposta spirituale in rapporto con la visione di comunità religiosa. Nel farlo, non dimentico che la regola crostarosiana nella sua integralità non è stata mai vissuta: qui a Foggia si viveva la rielaborazione del Cappellano Maggiore; nel resto dell’Ordine la rielaborazione di mons. Falcoia. In entrambe il dato carismatico specifico di Madre Celeste restava come ricoperto dalla sottolineatura della concezione sette-ottocentesca della vita religiosa.

Valorizzando i testi originari, sia di madre Celeste sia di sant’Alfonso, troviamo subito un primo dato chiaramente condiviso: la forte impronta cristocentrica di tutta la spiritualità. Si tratta di un cristocentrismo che sottolinea moltissimo l’umanità di Cristo, ponendosi in continuità con il pensiero di Teresa d’Avila. Anche a livello di devozione, entrambi pongono l’accento sul mistero dell’incarnazione (e quindi il Natale) e quello della croce redentrice.

Ci sono però anche accentuazioni diverse. Per Madre Celeste, l’umanità del Cristo è il cristallo luminosissimo che irradia la verità di amore di Dio; per sant’Alfonso è soprattutto la chenosi misericordiosa di Dio per affrancarci dalla nostra debolezza e dalla nostra povertà. Si tratta di accentuazioni da non contrapporre, ma da mantenere in dialogo fecondo.

Lo stesso accade per la maniera in cui viene approfondito il Redentore. Per Madre Celeste, il Cristo è redentore in quanto ci ridona lo Spirito e così ci riporta nella comunione con il Padre, persa a causa del peccato. Si tratta di una visione della redenzione chiaramente trinitaria, nella quale il cristocentrismo acquista un evidente respiro pneumatologico.

Sant’Alfonso sottolinea invece la dimensione di misericordia: copiosa apud eum redemptio, come si legge nello stemma della sua congregazione. Il Redentore è Dio che non si lascia bloccare dal nostro rifiuto, anche più estremo, quello della croce del Cristo, ma se ne fa carico, rivelandosi come amore che vuole solo la nostra felicità.

Ne deriva che nella Crostarosa predomina lo stupore ammirato: il Padre per mezzo del Cristo ci dona lo Spirito, riportandoci nella comunione con lui e nella partecipazione alla sua pienezza. In altre parole, è più sottolineata la dimensione contemplativa e di accoglienza nei riguardi del donarsi di Dio. In sant’Alfonso invece predomina la dimensione missionaria: occorre continuare nella storia la chenosi misericordiosa del Cristo per permettere a tutti di incontralo, soprattutto a chi è più bisognoso o ai margini della società e della stessa chiesa.

Tutto questo porta sia Madre Celeste che Sant’Alfonso a una visione antropologica carica di fiducia: fiducia nella persona e nella sua coscienza. La Crostarosa la evidenzia mettendo alla base della sua comunità il donarsi reciproco. Sant’Alfonso fonda tutta la proposta morale nella convinzione che Dio ha voluto prima l’uomo libero e poi la legge morale come aiuto e sostegno di questa libertà.

Occorre però non dimenticare che nella difesa della dignità della coscienza, soprattutto nei momenti difficili delle origini redentoriste, tra Celeste e Alfonso emergono sfumature diverse e anche tensioni. La Crostarosa infatti dice: Io devo essere coerente con la mia coscienza, quindi devo proporre la novità e non accettare compromessi; sant’Alfonso aggiunge: Occorre anche creare le condizioni perché la nuova comunità possa nascere, anche a costo di accantonare per adesso qualcosa della sua novità. La Crostarosa sottolinea la dignità della coscienza come coerenza con quello che lo Spirito le suggerisce; sant’Alfonso non nega questo dato ma aggiunge che, per attuarlo, è indispensabile fare i conti con le possibilità concrete. Entrambi sono una testimonianza forte della dignità della coscienza; la prima però sottolinea il suo ascolto e la proposta franca, il secondo la fatica dell’attuazione nella complessità delle situazioni.

Altro punto di convergenza tra Alfonso e Celeste è la maniera in cui progettano la loro comunità. Nella visione dominante nel Settecento, la comunità religiosa è prima di tutto per coloro che la compongono: per metterli al sicuro dai pericoli del mondo, per permettere loro un cammino più sicuro nella sequela del Cristo, per assicurare più facilmente i mezzi per la perfezione personale. Celeste e Alfonso invece sostengono che la comunità è per gli altri, per la Chiesa: la prima struttura la sua comunità come viva memoria dell’amore di Dio in Cristo per tutti gli uomini; il secondo come continuata missione tra e per gli abbandonati. Nella loro visione viene superato ogni dualismo: la “viva memoria” e la “continua missione” fondono in unità la vita spirituale, la dinamica fraterna e l’irradiamento apostolico.

Questa visione unitaria della vita religiosa, radicata nella “viva memoria”, determina in Madre Celeste la struttura e lo stesso ordinamento giornaliero della sua comunità: tutto deve tendere a “ricordare” l’amore del Cristo. Basta pensare al colore rosso sangue dell’abito delle suore, scelto appunto per far memoria dell’amore del Cristo fino al dono della sua vita. Oppure al numero delle regole fondamentali: sono nove per “ricordare” i nove mesi della gestazione di Cristo nel grembo di Maria: la vita spirituale è far rinascere Cristo in noi.

Analoga l’unitarietà della visione alfonsiana, radicata però nell’essere missione tra e per gli abbandonati. I Redentoristi dovranno pregare con il popolo, perché la loro comunità è scuola di preghiera per il popolo. Forme, orari, linguaggio, in cui i Redentoristi vivranno la personale esperienza di Dio, saranno popolari, capaci cioè di essere condivisi anche dai più umili. La spiritualità redentorista è essenzialmente missionaria: mette costantemente in esodo verso coloro che più hanno bisogno di incontrare l’amore di Dio in Cristo.

Celeste e Alfonso s’incontrano anche nel sottolineare la dimensione mariana della vita cristiana. Madre Celeste nelle sue Meditazioni non si stanca di approfondire il mistero materno di Maria. Soprattutto, come ho già ricordato, rende mariano e materno tutto il cammino spirituale con le nove regole. In sant’Alfonso Maria è soprattutto la mater misericordiae: colei che è pronta ad accoglierci e a sostenersi, anche quando si siamo allontanati e rischiamo di dimenticare che Dio è sempre pronto a offrici il suo perdono. Nelle premessa alle Glorie di Maria, Alfonso non esita ad affermare: Lascio agli altri di parlare degli altri grandi privilegi di Maria, quello che a me interessa è mettere il risalto la sua grande misericordia.

          Un ultimo elemento mi sembra doveroso ricordare per meglio comprendere l’incontro tra Celeste e Alfonso: la tensione popolare che li anima. Entrambi, pur provenendo dalla nobiltà, si convertono al popolo. Questa “conversione” è più accentuata in Alfonso, con la sua scelta radicale di incarnarsi nel mondo degli abbandonati, di quelli cioè che sono emarginati e dimenticati dalla società e dalla stessa Chiesa. La Crostarosa invece vive questa tensione aprendo la sua comunità alle ragazze che non hanno un reddito sufficiente per essere ammesse in un monastero e sottolineando la funzione educativa della sua fondazione. Inoltre porta la pietà popolare nel cuore della mistica: nelle ultime pagine dei Trattenimenti e dei Gradi di orazione troviamo la celebrazione delle feste dei santi.

 

  1. Alcune prospettive per l’oggi

 

Proiettando questa ricchezza sul nostro contesto, mi sembra giusto suggerire tre piste di ulteriore studio.

Innanzitutto il metodo. Per comprendere il rapporto, che intercorre tra Celeste e Alfonso, tra Redentoristi e Redentoriste, è indispensabile collocarlo nel momento storico in cui si è sviluppato e cogliere innanzitutto gli elementi comuni a entrambi, per poi approfondire la specificità propria di ognuno. Le mie riflessioni si sono mosse in questa prospettiva, richiamando prima il convenire carismatico e poi gli sviluppi particolari sia di Alfonso che di Celeste. Procedere in questa maniera è riconoscere che nella loro vita ha operato lo Spirito, che articola l’unità mediante doni diversi.

La complessità e le tensioni, presenti nella vicenda storica delle Redentoriste e dei Redentoristi, possono essere uno stimolo per affrontare con fiducia le difficoltà e i conflitti che ancora oggi sperimentiamo per una piena valorizzazione delle donne nella Chiesa. I problemi non devono meravigliarci, tanto meno scoraggiarci. Sono problemi che vengono da lontano. È urgente rimboccarci le maniche e lavorare serenamente, passo dopo passo, sapendo che il nuovo non si improvvisa, ma si costruisce rispettando la gradualità dei processi storici. Importante è che non venga a mancare il ricercare e il camminare insieme con sincera amicizia evangelica. È l’amicizia che ritroviamo in Alfonso e Celeste nel momento del discernimento del progetto di Dio. Anche se poi per la complessità delle situazioni viene quasi oscurata, essa però resta sincera, come testimoniano i passi di Alfonso per incontrare Celeste e la maniera in cui questa parla di lui nella sua Autobiografia. «Il conflitto, ha scritto Papa Francesco, non può essere ignorato o dissimulato. Dev’essere accettato. Ma se rimaniamo intrappolati in esso, perdiamo la prospettiva, gli orizzonti si limitano e la realtà stessa resta frammentata. Quando ci fermiamo nella congiuntura conflittuale, perdiamo il senso dell’unità profonda della realtà» (Evangelii gaudium, n. 226). Non dobbiamo mai perdere il coraggio di ritornare a ciò che ci unifica se vogliamo superare le difficoltà che possono dividerci o contrapporci.

Mi auguro infine che quanto state facendo in questo seminario di studi possa continuare contribuendo a una migliore e più diffusa conoscenza di Madre Celeste e della sua spiritualità. Confesso che nel mio insegnamento della teologia morale mi rifaccio spesso alle sue grandi intuizioni, a volte senza nemmeno nominarla: trovo sempre accoglienza e apertura.

Sono convinto che, per una struttura formativa come il nostro Istituto Superiore di Scienze Religiose, sviluppare l’approfondimento della Crostarosa può essere un servizio non solo alla Chiesa ma anche alla città di Foggia: Madre Celeste è un patrimonio della sua storia, non solo religiosa ma anche culturale. Occorre valorizzarlo ulteriormente. È questo l’augurio che vi faccio con tutto il cuore.


ARTICOLI DI VIA DOGANA SU CELESTE CROSTAROSA:

http://www.libreriadelledonne.it/pubblicazioni/vd-110-le-amiche-di-celeste-crostarosa/

http://www.libreriadelledonne.it/pubblicazioni/vd-108-imparare-politica-dalla-mistica/

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