25 Giugno 2016
DeA donne e altri

Brexit e Roma

di Claudio Vedovati

Gli inglesi lasciano l’Europa ma io penso ai greci che stanno facendo sacrifici immensi e ingiusti per rimanervi. Per il resto mi sento come se fosse scoppiata una guerra. Uso il “come se” per tenere aperta la speranza. Il neo liberismo ha distrutto le nostre società, impoverito tutti e tolto strumenti di trasformazione positiva proprio a chi ha meno. Iniziò guarda caso in Gran Bretagna con Margaret Thatcher che disse “la società non esiste”, ma poi è diventata neoliberista anche la sinistra e con essa tutta l’Europa.

Cos’è ora che ci salva?

Da tempo ho deciso di lasciare al suo destino la sinistra liberista, in Italia il PD: non è più, come si dice, la soluzione ma parte del problema. Una lunga storia è finita in miseria, le grandi tradizioni politiche che l’hanno prodotta sono venute meno e quel che rimane nei partiti è poco più che uno strumento di potere per gli opportunisti dell’ultima ora. Non voglio più sostenere questo desiderio di potere e voglio invece sostenere altre vite e altri desideri.

La mia esistenza materiale, le mie condizioni di vita, le mie relazioni, i luoghi in cui vivo e lavoro sono tutti profondamente segnati dall’esito di questa storia e in particolare dal sostegno dato dalla sinistra alle politiche neoliberiste. Questa sinistra ha fatto proprie le tesi sostenute dalla destra americana negli anni ’70. Si disse allora che la crescita della partecipazione dal basso era un eccesso di democrazia che metteva in crisi la governabilità e che era necessario semplificare la democrazia dall’alto e rendere autonoma la politica dalla società (Samuel P.Huntington, nel 1975, proprio dopo il golpe cileno).

Tutto questo ha alimentato il dissolversi dei legami sociali, quelli che producono vera politica, cioè cambiamento, e quell’immenso concentrarsi della ricchezza in poche mani che caratterizza oggi le nostre vite. Nel suo piccolo, molto piccolo, se ne vede il riflesso nelle proposte di riforma costituzionale ed elettorale del governo, semplicemente un modo per consentire al ceto politico vecchio e nuovo di rimuovere le ragioni della propria crisi, diventare una oligarchia che si nomina da sola e vivere di riflesso rappresentando gli interessi delle élite economiche. Ma come vediamo oggi con la Brexit, queste sono scelte scellerate: i nuovi espropriati o coloro che semplicemente si ritengono tali perdono lo sguardo del futuro e agiscono di conseguenza.
In questo scenario le elezioni comunali italiane sembrano piccola cosa, ma non lo sono. In quella campagna elettorale c’era già tutto. Virginia Raggi ha detto di volersi battersi per preservare il bene pubblico “contro chi, come la destra e il Pd, ha annunciato di voler privatizzare pezzi della città”, difendere le fasce più deboli, avviare politiche per l’ambiente, garantire il diritto all’abitare, affrontare la questione dell’immigrazione. Roberto Giachetti ha creduto di avvantaggiarsi parlando di Olimpiadi, di 170 mila posti di lavoro, di grandi opere.

Le parole di Raggi sono importanti soprattutto perché vengono da un movimento che è totalmente immerso nelle contraddizioni del nostro tempo. Nella sua breve storia il M5S ha alimentato la contrapposizione tra “noi” e “loro”, nell’illusione che non ci sia un nesso tra la degenerazione della politica e la crisi culturale di un’intera società di cui tutti facciamo parte. Ha fatto spesso uso di un linguaggio violento, soffiando sul risentimento. Ha esibito l’onestà come strumento di purificazione che consente di presentare le proprie idee come indiscutibili. Ha riproposto la vecchia idea del sapere come tecnica e della politica ridotta a competenza (“la scomposizione neoliberista del lavoro fordista nelle ‘competenze’ postfordiste” scrisse tempo fa Ida Dominijanni). Ha confuso la cultura della partecipazione e gli strumenti della democrazia diretta con il bastare a se stessi, ha parlato di bene comune e agito dinamiche da setta e, infine, ha riproposto una idea elettoralistica e tutto sommato povera della politica, mirata a “vincere” nelle istituzioni, senza vedere quanta politica c’è già nella vita quotidiana del paese. I 5 stelle sono anch’essi espressione della crisi della democrazia rappresentativa quando essa perde la capacità di rappresentazione delle cose, che significa anche che i singoli, slegati dalle relazioni, pensano di salvarsi da soli o contro qualcuno, soprattutto chi ha meno, chi è colpito dalla crisi, chi proprio nelle relazioni dovrebbe trovare la propria forza. […]

(www.donnealtri.it, 25 giugno 2016)

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