25 Novembre 2019
Huffington Post

“Dal Codice rosso una scossa”. Viaggio nelle Procure d’Italia per un primo bilancio della legge

di Luciana Matarese


“Una scossa”, “la spinta ad aprire i cassetti per tirare fuori le denunce accumulate”, “una riforma di cui magistratura e forze di polizia avevano urgente necessità”. L’impressione che arriva dalle parole dei magistrati di alcune delle principali Procure della Repubblica d’Italia, è che le voci nel bilancio dei primi mesi – quattro il 9 dicembre – dall’entrata in vigore, il 9 agosto scorso, del Codice rosso siano più positive che negative. […]

Il fattore tempo. Voluta dall’ex ministra per la Pubblica amministrazione, Giulia Bongiorno, e chiamata così perché apre alla violenza sulle donne una corsia preferenziale con indagini più veloci per contrastarla, il Codice rosso, legge a costo zero e quindi senza stanziamento di risorse punta innanzitutto sul fattore tempo, disponendo l’obbligo per la polizia giudiziaria di comunicare al magistrato, il pubblico ministero di turno, le notizie di reato relative a maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori e lesioni aggravate avvenute tra conviventi o in famiglia. E la vittima dovrà essere sentita dal pm entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato. E segna una stretta, con pene più severe, su violenza sessuale e stalking, introducendo inoltre i reati di revenge porn e sfregi al viso e lo stop ai matrimoni forzati.

Come per le mafie”. Per la magistrata Paola Di Nicola, attualmente all’ufficio Gip del Tribunale di Roma, da anni impegnata nella lotta agli stereotipi che ancora gravano sulle donne e rappresentano il presupposto di tanta parte delle violenze che esse quotidianamente subiscono, “questa norma ha avuto il merito di far emergere la sottovalutazione del fenomeno. E come si è fatto per le mafie, secondo Di Nicola, bisogna attrezzarsi, “perché – spiega “la giudice” (per citare anche il titolo del suo libro) la violenza contro le donne va affrontata con le stesse competenze e i medesimi mezzi, economici, organizzativi e di formazione degli operatori di tutta la filiera, così come avviene nella lotta contro la criminalità organizzata”. Fermo restando che non si può delegare solo alla magistratura. Quanto al Codice rosso, per la giudice il mancato stanziamento di risorse per la formazione degli operatori e l’assenza di una parte “relativa alla reale tutela delle donne nel periodo successivo alla denuncia, rappresentano limiti notevoli della norma”.

Uno spunto in più. Anche il Procuratore della Repubblica di Tivoli, Francesco Menditto, da anni in prima linea nel contrasto alla violenza sulle donne, individua nell’assenza di “strutture idonee che consentano di accompagnare la donna alla denuncia e dopo la denuncia”, di “un’adeguata formazione della polizia giudiziaria” e “di un numero adeguato di personale della polizia giudiziaria” e della sua Procura, “alcuni nodi della legge che impediscono una reale tutela delle vittime”. […]

Bollettino di guerra. I numeri, già. Secondo l’ultimo rapporto dell’Eures, le vittime di femminicidio nel 2018 sono state 142 . Nel 74% dei casi i carnefici sono italiani, nell’82% hanno le chiavi di casa delle loro vittime. “Questi numeri vanno moltiplicati per 10 visto che, secondo le stime, denuncia una donna su dieci – fa notare Menditto. Il Codice rosso rappresenta un input importante, ma serve un cambiamento culturale, che deve riguardare tutti. Magistratura e forze dell’ordine devono cominciare a credere alle donne che in tanti casi non denunciano perché non si fidano di magistrati e polizia giudiziaria”. […]

Milano: aumentano le denunce. Qualche giorno fa, in una conferenza stampa, la procuratrice aggiunta Maria Letizia Mannella, capo del pool “Fasce deboli” – la sezione specializzata che si che si occupa dei reati di violenza su donne, bambini e persone fragili – del tribunale di Milano, ha lanciato l’allarme sull’aumento delle violenze. “Dall’introduzione del Codice rosso, da agosto a oggi, ci sono stati 167 episodi, tra cui quattro violenze di gruppo – ha detto Mannella – Negli ultimi due mesi, in particolare, sono in crescita le violenze che avvengono sui mezzi pubblici, ma il dato positivo è che aumentano le denunce”.

Giudizio positivo sulla nuova legge anche quello di Fabio Roia, presidente della sezione “Misure di prevenzione” del Tribunale di Milano, componente tecnico del tavolo permanente contro la violenza di genere della Regione Lombardia e autore dei libro “Crimini contro le donne”. La nuova legge ha accelerato l’attività di indagine, “anche se il tema vero su cui si gioca la tempestività dell’intervento – fa notare Roia, è la capacità di tutti noi operatori di saper leggere, fermo restando che tutte le situazioni vanno considerate e approfondite, i casi da codice rosso, da codice giallo, da codice verde, stabilendo delle priorità”. Una delle obiezioni sollevate dai centri antiviolenza alla nuova legge riguarda il rischio di rivittimizzare, come si usa dire, la donna collegato all’obbligo per il pm di ascoltare la vittima entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato. “Il Procuratore di Milano, con una direttiva intelligente – spiega Roia – ha stabilito che la donna vittima verrà sentita solo se sussiste l’esigenza effettiva”.

Roma: c’è chi dice no. “L’indicazione di questo termine, così come è formulata, è sbagliata e non idonea a centrare lo scopo che il legislatore intendeva raggiungere”. Per Maria Monteleone, coordinatrice del gruppo specializzato antiviolenza – “la dicitura “Fasce deboli” non mi piace”, dice risoluta – della Procura di Roma, l’obbligo inserito nella nuova legge di ascoltare la persona offesa – “anche se è stata già sentita poco tempo prima”, sottolinea lei – entro tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato proprio non va. “Questa disposizione del Codice rosso, per me positivo nella parte inerente le modifiche al codice penale e a quello di procedura penale – spiega la magistrata – ha richiesto impegno di personale, magistrati e strutture già ampiamente carenti. Non è consentito valutare se è necessario, utile per le indagini e per tutelare la vittima riascoltare quest’ultima e infatti molte donne, magari già ascoltate poco tempo prima in sede di denuncia, di fronte alla richiesta di ripresentarsi declinano l’invito”. […]

Il “fantasma” che pesa sulle denunce. Dall’ultimo report della Polizia di Stato emerge, unico elemento incoraggiante, che il numero delle denunce è in aumento. Un dato “da problematizzare”, dice Lella Palladino presidente di D.i.Re, la più grande associazione nazionale impegnata, con le 80 organizzazioni che ne fanno parte e gestiscono oltre 200 strutture tra centri antiviolenza e case rifugio, nella prevenzione e nel contrasto della violenza contro le donne. Sempre più donne che denunciano, oggi visto vengono sottoposte a valutazione della genitorialità in maniera parallela ai loro partner e il fantasma del timore che vengano loro sottratti i figli spinge tante vittime di violenza a non uscire allo scoperto”. Sul Codice rosso, prima dell’approvazione della legge, dai centri antiviolenza si erano levate molte obiezioni tradotte in emendamenti, tutti respinti. “Quindi le perplessità restano – aggiunge Palladino – le donne vivono le stesse difficoltà di prima. Specie dopo la denuncia, per intraprendere il percorso di recupero dell’autonomia che, senza supporti e strutture adeguati, può rivelarsi un nuovo calvario. La rete di protezione continua a mancare. Chiediamo interventi di sistema, non provvedimenti tampone”. Insomma, più che di nuove norme “c’è bisogno di un cambiamento culturale radicale, che investa la società tutta, e di misure che affrontino la violenza come un fenomeno culturale e strutturale, che non può essere contrastato se non si assicurano ai centri antiviolenza risorse certe e adeguate”. Proprio per raccogliere fondi per le donne in uscita dalle case rifugio D.i.Re ha lanciato un progetto e la campagna #alidiautonomia per finanziarlo attraverso il numero solidale 45593, attivo fino al primo dicembre.

“Più che su altre norme, puntiamo su quelle che già ci sono – se applicata, la Convenzione di Istanbul da sola potrebbe garantire miglioramenti effettivi – Purtroppo la logica con cui questo Paese risponde alla violenza di genere è ancora tutta securitaria e giuridica. Si continua a non credere alle donne, di loro si continua a parlare per stereotipi. Serve un cambiamento culturale.

Punti di forza e punti di debolezza, le modifiche in cantiere. Dello stesso avviso la senatrice del Pd, Valeria Valente, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio. “Nelle audizioni abbiamo toccato con mano punti di forza e punti di debolezza del Codice rosso, ma la vera scommessa di questa legge era la formazione degli operatori, una delle condizioni principali per tutelare le vittime di violenza, e su questo terreno il Codice rosso, non stanziando risorse, non ha dato una mano. Per questo, per aumentare il fondo del piano antiviolenza, abbiamo presentato un emendamento specifico”. Valente ha depositato agli inizi di novembre anche un disegno di legge a sua prima firma, e sottoscritto da altri parlamentari, per proporre modifiche al Codice rosso in modo da intervenire in maniera ancora più determinata, con provvedimenti specifici, sull’autore della violenza. “E sto studiando altri possibili cambiamenti che renderebbero ancora più efficace la legge, che sì ha dato una scossa, ma può e deve essere migliorata. Nella consapevolezza che la violenza sulle donne non è un’emergenza, ma una questione prima di tutto culturale. E la pena non è un deterrente”.


(Huffington Post, 25 novembre 2019)

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