6 Dicembre 2018
Linkiesta

I soldi contro la violenza alle donne? Vanno a cantanti, rugbisti e calciatori

di Lidia Baratta

 

Mentre i centri antiviolenza arrancano, associazioni e onlus si sono buttate nella difesa delle donne vittime di violenza. Basta guardare gli 11,7 milioni distribuiti dal Dipartimento Pari opportunità tra società sportive, comuni, enti religiosi e agenzie di comunicazione.

 

La Giornata contro la violenza sulle donne arriva puntuale anche quest’anno il 25 novembre. Le iniziative e gli eventi di sensibilizzazione si moltiplicano. E si citano i dati: le donne uccise nel 2017 sono state 123, nel 2018 da inizio anno i femminicidi sono stati 32. Ma mentre i centri antiviolenza vivono ancora di volontarie che lavorano gratis, con i pochi spiccioli che arrivano sempre tardi e a singhiozzo, il pinkwashing di tanta politica, gli slogan della lotta alla violenza di genere e i milioni a disposizione per prevenirla hanno fatto miracolosamente moltiplicare le iniziative in “rosa”. Anche chi prima si occupava di tutt’altro, si è buttato nella difesa delle donne. E i fondi hanno cominciato a cadere a pioggia.

Basta guardare i 121 beneficiari dell’ultimo bando del Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio, con cui sono stati distribuiti 11,735 milioni, divisi tra progetti di inserimento lavorativo, comunicazione, educazione e trattamento degli uomini maltrattanti. Così, ad esempio, ben 175mila euro sono andati alla Nazionale Cantanti e alla Associazione italiana calciatori. La stessa cifra – per fare un paragone – destinata a Dire, Donne in rete contro la violenza, la rete dei centri antiviolenza italiani. La nazionale degli attori ha incassato invece 125mila euro. Ma non sono gli unici sportivi dell’elenco, anzi. La Robursport Volley di Pesaro ha portato a casa 115mila euro; l’associazione sportiva dilettantistica Sphera di Cadoneghe, Padova, 42mila euro; il San Lorenzo Rebels Rugby Club di Roma 124.750.

Dopo il terzo tempo, arriva poi il lungo elenco degli enti religiosi. Alla Comunità Papa Giovanni XXIII è stato concesso un finanziamento di oltre 106mila euro, alla Congregazione delle suore di San Giovanni Battista di Roma 125mila euro. Stessa cifra alla Piccola casa della divina provvidenza di Torino, al Centro per la Famiglia di Roma (della Congregazione dei Missionari oblati di Maria Immacolata), alla Fondazione Famiglia di Maria di Napoli e l’elenco è ancora lungo. In totale, se si contano tutti gli enti religiosi coinvolti, incluse le Acli, sono quasi 1,2 milioni di euro. A cui vanno aggiunti 175mila euro per l’Unione delle comunità ebraiche italiane.

Non mancano neppure le agenzie di comunicazione e produzione video. La Strategica Community di Carlo Robiglio, presidente della Piccola industria di Confindustria, che già aveva sottoscritto un protocollo di intesa con il ministero dell’Istruzione, per la lotta alla violenza di genere si è aggiudicata 140mila euro. Mentre alla Fondazione Cinema per Roma, che organizza il festival della Capitale, vanno 100mila euro. Per restare nell’alveo della cultura, anche la Treccani si porta a casa 175mila euro per la realizzazione di un film sulla donna attraverso la storia delle religioni.

Ben 175mila euro sono andati alla Nazionale Cantanti e alla Associazione italiana calciatori. La nazionale degli attori ha incassato invece 125mila euro. Gli enti religiosi si accaparrano quasi 1,2 milioni. Lo stesso scuole e università.

L’elenco è popolato poi da centinaia di migliaia di euro dati a piccoli comuni e province: Minturno, Vercelli, Viterbo, Roccamontepiano, Raiano, Limone Piemonte, Taviano, Grosseto, Trieste, Roccagorga, Bedizzole, Campobasso e pure il piccolo centro salentino di Scorrano, che si aggiudica poco più di 50mila euro. Fino al capitolo scuole e università, che a conti fatti si accaparrano oltre 1 milione. I soldi, in questo caso, dovrebbero arrivare dal ministero dell’Istruzione che – giustamente – come prevedeva la Buona Scuola si impegna a educare alla non violenza i ragazzi di oggi per evitare futuri omicidi domani. Il Miur però non ha ancora stanziato un euro. Scuole e atenei presentano i progetti, e i fondi partono dal Dipartimento Pari opportunità. Nell’elenco ci sono il liceo Socrate, il Giulio Cesare e il Vittoria Colonna di Roma, il Salvemini di Bari, il Perticari di Senigallia, il Da Vinci di Reggio Calabria, il Dettori di Cagliari, un istituto comprensivo triestino e uno di Palermo, un tecnico di Sezze e uno di Sersale (Catanzaro). Ma compaiono anche molte università: Tuscia, Bicocca di Milano, Pisa.

Ai progetti presentati, c’è da dire, non è stato concesso mai oltre il 70% dell’importo richiesto. Alla maggior parte solo la metà. Per cui molto spesso si tratta di iniziative ferme, che avranno bisogno di altri sponsor per essere messe in piedi. L’elenco, in ogni caso, è stato aggiornato lo scorso 3 ottobre, con l’aggiunta di altri due beneficiari: l’associazione “Fare per bene” con un progetto centrato sulle scuole, e l’Istituto Agrario Emilio Sereni. A ciascuno sono andati poco più di 60mila euro.

C’è stata una sorta di esplosione di centri antiviolenza realizzati e gestiti da chi fino a poco tempo prima si occupava di altro. Così una volta intascati i soldi, tempo uno o due anni e si chiude.

Tutti progetti grandi o piccoli, che si realizzeranno o no, qualcuno più utile qualche altro meno utile. Con il paradosso però che mentre distribuiamo a pioggia fondi per la comunicazione, le lezioni emozionali e i corsi di difesa personale, alle donne vittime di violenza e a chi lavora per la loro incolumità alla fine arriva poco o nulla.

Nonostante esista un Piano nazionale con tanto di finanziamenti, nei centri antiviolenza i problemi sono sempre gli stessi. Ci sono regioni come Calabria e Marche che non hanno neanche una casa rifugio. E i fondi latitano: solo il 13% arriva dal Dipartimento per le pari opportunità, oltre la metà dagli enti locali, e per il resto bisogna barcamenarsi con progetti e iniziative, competendo con migliaia di onlus e associazioni che si sono scoperte “sensibili” alla lotta alla violenza di genere. Come denuncia da tempo Dire, c’è stata addirittura una sorta di esplosione di centri antiviolenza realizzati e gestiti da chi fino a poco tempo prima si occupava di altro. Così una volta intascati i soldi (il 33% di quanto destinato nel Piano antiviolenza deve essere realizzato per la realizzazione di nuovi centri), tempo uno o due anni e si chiude. Tutti soldi sottratti a chi davvero lavora sul campo da tempo.

Con il paradosso in più che, anche se i fondi per i centri antiviolenza ci sono e continuano ad aumentare, nella maggior parte dei casi restano bloccati nelle maglie della burocrazia. Degli 85,7 milioni stanziati per il periodo 2015-2017, come ha denunciato ActionAid, ne sono arrivati ancora solo 30,8 (il 35,9%). Con le Regioni che hanno liquidato solo un quarto delle risorse trasferite. Fatto sta che mentre si sta cercando di capire che fine abbiano fatto i soldi del passato, il piano 2017-2020 per i centri antiviolenza è ancora solo un pezzo di carta. Niente di più. Eppure dal 2018 è previsto che i fondi passino da 10 a 30 milioni l’anno. Per il momento solo immaginari, ovviamente.

 

(www.linkiesta.it, 22 novembre 2018)

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