6 Marzo 2020
RollingStone

L’amica geniale: bilancio di una serie che ha cambiato la tv italiana (e ha raccontato tutti noi)

di Alice Cucchetti


Il pubblico generalista si è sintonizzato su Rai 1 ogni lunedì a guardare una produzione HBO che non ci ha chiesto di parteggiare per nessuno. Non è solo la storia di Lila e Lenù: è un’amicizia che ci riguarda tutti


Avete presente gli Archie Comics, i fumetti cui si ispira la serie Riverdale? In Italia sono meno noti, ma negli Stati Uniti sono famosi come i Peanuts, al punto che i nomi dei suoi due personaggi femminili principali, Betty e Veronica, servono immediatamente a identificare un preciso tipo di donna. Betty è bionda, fa la cheerleader, è la brava ragazza della porta accanto, un sogno a stelle e strisce anni ’50 di innocente perfezione. Veronica è bruna, sensuale, ha il fascino “esotico” di chi viene dalla grande città, è ricca, incostante, un po’ viziata e snob. In mezzo c’è il protagonista, Archie (lui i capelli ce li ha rossi): le due amiche nei fumetti se lo contendono continuamente, e lui è trascinato, di volta in volta, verso la rassicurante perfezione dell’America’s sweetheart e l’avventuroso fascino della femme fatale.

Ecco, Lenù e Lila non sono Betty e Veronica. Certo, la prima è bionda, la seconda è mora. La prima è timida, accomodante, poco loquace, più brava di quanto sembri a capire quello che gli altri vogliono da lei, e ad aderire al modello sociale che chi le sta attorno, di volta in volta, le richiede. La seconda è irruente, irascibile, consapevole della propria sensualità e di come usarla, testarda, impavida, decisa a piegare il mondo alla propria volontà, spesso incapace di tacere anche quando le converrebbe. Ma: il centro dell’Amica geniale non è un uomo (di qualsivoglia colore di capelli) che le due devono contendersi. No, nemmeno l’infido Nino Sarratore (grazie al cielo). Il centro dell’Amica geniale è qualcosa di più sfuggente, complesso, ambizioso, imprendibile, al punto che in pochi in tv – e in Italia, prima d’ora, nessuno – aveva avuto l’ambizione di provare a farne narrazione: la relazione tra due donne, quello che lega Lila e Lenù. La loro amicizia.

La seconda stagione dell’Amica geniale, conclusasi ieri sera, ha superato perfino la (già notevole) prima. Come le sue protagoniste, è maturata e ha acquisito confidenza col linguaggio e col pubblico. Il regista Saverio Costanzo ha avuto modo di lasciar filtrare, tra le riprese “piane” da fiction in costume, il proprio stile quasi psycho-horror (già dimostrato nei film La solitudine dei numeri primi e Hungry Hearts), per rappresentare la disperata claustrofobia in cui è intrappolata Lila (il profilo di Stefano dietro il vetro smerigliato o l’allungarsi distorto dei corridoi di casa Carracci non ce li dimenticheremo facilmente). I due episodi centrali, diretti dall’Alice Rohrwacher di Lazzaro felice e Le meraviglie, sono stati una parentesi d’inaspettata libertà, con il loro racconto dei fulgidi colori dell’estate e dell’adolescenza e uno snodo cruciale nella vita delle due protagoniste di efficace e struggente delicatezza. L’espediente che fin dall’inizio è stato il più contestato, la voce narrante di Alba Rohrwacher, è diventato un po’ meno invadente, è rimasto solo in quei momenti in cui le parole di Elena Ferrante erano necessarie a sciogliere i nodi più complessi della visione. Per il resto, conoscendo noi ormai così bene Lila, Lenù, il rione, essendo scivolati di nuovo con tale facilità tra la cadenza del dialetto e le bellissime note musicali di Max Richter, abbiamo sempre meno bisogno di didascalie. E il pubblico ha risposto, mantenendo alti gli ascolti, ben oltre i 6 milioni di telespettatori a serata, e questa è una vittoria che attendevamo come l’aria: che il pubblico generalista si sedesse ogni lunedì a guardare su Rai 1 una serie HBO, una serie con i sottotitoli, una serie il cui punto di vista è esclusivamente femminile e che ripercorre la storia d’Italia, il dopoguerra e, in questa stagione, gli anni ’60 del Boom, attraverso gli occhi di chi, quasi sempre, è stato in seconda fila, difficilmente protagonista, al massimo oggetto di desiderio [….]

Lenù e Lila non sono Betty e Veronica: non sono “tipi” di donne opposti l’una all’altra, modelli alternativi a cui scegliere di aderire, o da preferire. Sono, prima di tutto, personaggi complessi, molto più spessi di uno stereotipo bidimensionale, così veri che ci sembra di poterli toccare, o incontrare per strada. Sono un cumulo di contraddizioni, come chiunque di noi, e ogni loro scelta, ogni loro errore, ha una storia, un senso che dipende dal loro passato […]

E poi, più di tutto, L’amica geniale è la storia della loro amicizia. Pensateci, l’amicizia in tv e al cinema non è qualcosa che vediamo così spesso: in genere è una presenza, data per scontata, qualcosa che c’è e basta, oppure di punto in bianco non c’è più. Ma un’amicizia come quella tra Lila e Lenù è qualcosa di vivo, multiforme e, ancora una volta, complesso. È uno specchio in cui si riflettono l’un l’altra, è allo stesso tempo competizione e reciproca stima e desiderio di protezione, è il vero motivo per cui Lenù si laurea con 110 e lode e Lila continua a cercarsi nei libri invece di cedere al conformismo. Sta tutto nel titolo: Lila e Lenù sono l’amica geniale l’una dell’altra (Lenù riconosce Lila come tale fin da piccola; Lila dice a Lenù: «Tu sei la mia amica geniale, devi diventare più brava di tutti, maschi e femmine»), e in quel corrersi incontro sorridenti nel prefinale dell’ultimo episodio di questa seconda stagione, in quel riconoscersi e ritrovarsi, c’è tutto il senso di questa smisurata storia. E c’è il nostro fare il tifo, non per l’una o per l’altra, ma per loro.


(RollingStone, 3 marzo 2020)

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