19 Aprile 2018
Micromega

Prostituzione, note su un dibattito che non trova sintesi

di Maria Concetta Tringali

 

La panoramica presentata in questo articolo è di indubbio rilievo. Perché sia però utile a una riflessione costruttiva e informata, riteniamo di dover effettuare delle precisazioni. In primo luogo, la stessa configurazione della “questione” appare confusa: da un lato “bisogna comprendere (…) se sia reato reclutare e favorire la prostituzione volontariamente e consapevolmente esercitata”, dall’altro “se la legge Merlin confligga o meno con la libertà di autodeterminazione sessuale”. La questione in realtà è solo una, e riguarda la configurazione dell’attività di prostituzione propria, che vive anche di una dimensione economica da ricondurre, come ricorda Silvia Niccolai [1], nell’alveo dell’art. 41 della Costituzione, il quale riconosce una libertà d’iniziativa economica ben lungi dall’essere assoluta, in quanto “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.

Segue poi un’analisi di due modelli europei assunti come poli dell’attuale dibattito, ma il confronto con quelli può essere positivo solo se si ha ben presente il proprio punto di partenza, che non sembra invece tanto chiaro ai promotori dei vari disegni di legge italiani citati. Vorremmo ricordare perciò alcuni punti fondamentali della legge Merlin, che ad oggi regola questa realtà: l’abolizione della regolamentazione della prostituzione (prima parte del titolo della legge) si traduce nel bando di “case, quartieri e qualsiasi altro luogo chiuso” (art. 1, l. 75/1958) e nell’impedimento di qualsiasi forma di “schedatura” della donna che si prostituisce (sotto forma di registrazione o di controllo sanitario coattivo). La lotta allo sfruttamento della prostituzione altrui (seconda parte del titolo) si configura come reato di reclutamento, agevolazione e induzione alla prostituzione. Sono già previste infine politiche di assistenza alle prostitute che vogliano cambiare vita. L’obiettivo è chiaro: contrastare qualunque forma eterogestita di prostituzione altrui e riconoscere, che non vuol dire favorire, uno spazio a quella autogestita, propria. L’unica critica ragionevole che si potrebbe muovere alla legge riguarda l’ipotesi ivi prevista all’art. 3, n. 3), che si è tradotta in un ostacolo pratico all’esercizio della prostituzione, altrimenti ritenuta lecita dalla legge (diversamente da quella giurisprudenza che l’hai poi configurata come contratto ad oggetto illecito, privando così le prostitute di tutela). Si può sostenere l’esigenza di un intervento che ponga rimedio a questo punto, ma non a costo di spazzare via una legge che riconosce e protegge la dignità della donna e che non chiude laddove ancora non si sono trovati gli strumenti per il ripensamento di un rapporto tra i sessi tuttora intriso della visione della donna come oggetto sessuale.

  1. La legge Merlin, eredità femminile da riconoscere, Silvia Niccolai, Libreria delle donne, 10 marzo 2018, saggio illuminante su più di un punto della riflessione sul tema.

(Chiara Calori della redazione del sito della Libreria delle donne)

 

 

Se la prostituzione è fenomeno antico, tutt’altro che sopito è il dibattito attorno al tema, che spacca il paese e divide persino le femministe. L’Istat nel rendere noto, a ottobre scorso, il report dell’indagine condotta sul sommerso per gli anni 2012-2015, rileva che i servizi di prostituzione realizzano un valore aggiunto pari a 3,6 miliardi di euro – ossia poco meno del 25% dell’insieme delle attività illegali – e consumi per circa 4 miliardi di euro [1]. Il dato è confermato dall’Ufficio Studi della CGIA [2].

Il Codacons ci consegna un aumento dei clienti, che hanno raggiunto quota tre milioni, così come delle prostitute, passate da 70.000 a circa 90.000. Nemmeno la crisi economica ha intaccato il fatturato [sic! ma un fatturato non esiste per definizione! NdR] della prostituzione che risulta cresciuto del 25,8% (passando dai 2,86 miliardi di euro del 2007 ai 3,9 miliardi di euro annui del 2016) [3].

Si converrà che il fenomeno presenta molteplici piani di lettura. Intanto quello giuridico, dove la questione non sembra trovare pace.

È del 7 marzo scorso la decisione con cui il Tribunale di Catania solleva questione di legittimità costituzionale della legge Merlin citando un precedente datato 6 febbraio. In quella occasione era stata la Terza Sezione penale della Corte di Appello di Bari a ritenere di dover sottoporre al vaglio della Consulta l’art. 3 di quella legge [4]. In premessa i giudici di Bari sono quasi portatori di un’urgenza di chiarezza: «Il fenomeno sociale della prostituzione professionale delle escort costituisce la novità che richiede un nuovo vaglio di costituzionalità della legge Merlin». Quello che bisogna comprendere in diritto è se sia reato reclutare e favorire la prostituzione, volontariamente e consapevolmente esercitata. All’origine di questa decisione sta la vicenda processuale che coinvolge Berlusconi, per via delle «cene eleganti» consumate tra il 2008 e il 2009 alle quali parteciparono una trentina di donne, contattate e accompagnate presso gli appartamenti dell’allora Presidente del Consiglio da quel Gianpaolo Tarantini considerato il re delle protesi sanitarie (già condannato dal giudice di prime cure a sette anni e dieci mesi, per reclutamento e favoreggiamento della prostituzione).

La domanda di fondo è se la legge Merlin confligga o meno con la libertà di autodeterminazione sessuale. Va ricordato che in argomento c’è già una presa di posizione della Corte Costituzionale del 1987 che ritiene la sessualità «uno degli essenziali modi di espressione della persona umana» con la conseguenza che «il diritto di disporne liberamente è senza dubbio un diritto soggettivo assoluto» tutelato dall’articolo 2 [5]. [Lo è certamente a fronte di un episodio di violenza carnale in tempi di guerra, quale è il caso su cui si è pronunciata la Corte. Altro piano è il diritto di disporre economicamente del proprio corpo, che non è assoluto, cfr art. 41 Costituzione. NdR]

E se i profili giuridici della questione sono tutt’altro che delineati e il confine del penalmente rilevante rimane così sfocato, spostando la riflessione sul piano del dibattito politico il risultato non cambia. In Italia la regolamentazione della prostituzione ha sollevato sin dalla sua istituzione vivo dissenso in molte personalità impegnate nella causa dell’emancipazione femminile. Si eccepiva che la dignità della donna rimanesse mortificata già a causa della sua registrazione come prostituta nelle liste della polizia. Allo stesso modo, non si accettava l’idea di consentire una prostituzione di Stato intesa quale male minore, teso a evitare abusi più gravi che sarebbero derivati da istinti altrimenti repressi. Anche la tutela della salute pubblica risultava, poi, argomento debole poiché spesso sconfessato dai fatti in quanto, se è vero che le donne venivano sottoposte a controlli periodici, non altrettanto accadeva con i clienti. Già Anna Maria Mozzoni, pioniera del femminismo, intorno al 1877 – in occasione del Congresso di Ginevra che aveva come obiettivo l’abolizione delle norme sulla prostituzione – riconosceva quale causa della “indegna schiavitù” l’inopportuna condizione lavorativa e sociale che relegava le donne in una posizione di subordinazione e di arretratezza.

 

Modelli a confronto

L’Europa dei giorni nostri oscilla tra due modelli a confronto, quelli di Germania e Svezia.

La proposta di risoluzione del Parlamento europeo elaborata dalla Commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, a firma della relatrice Mary Honeyball, e approvata nel gennaio 2014, definisce la prostituzione «una forma di violenza contro le donne e una violazione della dignità umana e della parità di genere» [6]. L’atto fa di più e invita gli Stati dell’UE ad adottare il “modello nordico”. E analizza la situazione della Svezia che ha modificato la sua legge in materia di prostituzione nel 1999, vietando al cliente l’acquisto di sesso. Conclude che il numero di persone che si prostituiscono risulta essere un decimo rispetto a quello della vicina Danimarca, paese nel quale acquistare sesso è invece legale. «Raccomandando di considerare colpevole l’acquirente, ossia l’uomo che compra servizi sessuali, anziché la prostituta, il presente testo costituisce un altro passo sul cammino che porta alla totale parità di genere nell’Unione europea» [7].

Sull’argine opposto c’è l’esperienza tedesca che in quindici anni si è sedimentata sulla legalizzazione e sulla depenalizzazione del favoreggiamento e che però dal 2003 ha fatto registrare un netto incremento – almeno del 30% – delle vittime di tratta. Case chiuse come aziende, dove le donne continuano ad essere schiave [8]. «Contrariamente alla Svezia, 15 anni fa, la Germania scelse di legalizzare la prostituzione senza alcuna regolamentazione finendo per creare l’inferno in terra». Così si è espressa Ingeborg Kraus, psicoterapeuta, alla Conferenza sul mercato del sesso organizzata da TALITA il 2 ottobre 2017 [9] «La Germania è diventata il bordello d’Europa – ha continuato l’attivista, esperta in psicologia clinica e psicologia del trauma – ma non sacrificando le sue donne. Oggi approssimativamente il 90% delle prostitute viene infatti dall’estero, principalmente dei paesi europei più poveri, come Bulgaria e Romania». Ma la questione di fondo è – e rimane – una questione di principio. «Quando pensiamo alla legalizzazione della prostituzione dobbiamo porre a noi stessi, innanzitutto, una domanda chiave: la vagina può essere usata come uno strumento di lavoro? Dal punto di vista medico non è possibile (…). Non è un gioco, signori e signore! Al World Congress of Women’s Mental Health, tenutosi a Dublino l’anno scorso, il messaggio era chiaro: lo sviluppo sano e sostenibile di una società dipende dalla salute mentale delle donne. E la salute mentale delle donne è direttamente connessa al rispetto dei loro diritti».

Nel delineare questo quadro non si può prescindere dalle associazioni, schierate tra favorevoli e contrarie alla depenalizzazione. Chi chiede un approccio differente e che rispetti il punto di vista delle sex workers, dalle pagine del Fatto quotidiano, è il Comitato per i diritti civili delle prostitute, che distingue tra sex worker e vittima di tratta e sfruttamento sessuale [10]. Sono per il “no” soggetti storici del femminismo quale l’UDI (che nasce nel 1944-45), nonché comitati e associazioni femminili, tra i quali il Comitato per l’applicazione della legge n.75/58, costituitosi nel 2015.

Da quelle realtà che operano sul territorio provengono fotografie ravvicinate del fenomeno. Ci sono le 150 vittime di tratta assistite nel 2016 in strutture e famiglie dall’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, che in un report dà conto di avere liberato più di 7.000 vittime dallo sfruttamento sessuale. I numeri della Comunità correggono peraltro al rialzo le stime ufficiali: in Italia sarebbero infatti fra le 75.000 e le 120.000 le ragazze vittime di prostituzione; il 65% in strada; il 37% minorenne. Quelle testimonianze e quei rilevamenti, confluiti nella Relazione finale della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere approvata nel mese di febbraio, sono confermati dai dati raccolti dal Servizio centrale del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) e rendono evidente la portata del fenomeno della tratta che determina l’arrivo in Europa di donne richiedenti asilo di prevalente nazionalità nigeriana, spesso minorenni [11].

Ma nel Belpaese, qual è la produzione normativa?

In Parlamento, tra il 2013 e il 2017, Camera e Senato della Repubblica contano una quindicina di progetti di legge sull’argomento.

Risale al marzo 2013 una proposta a firma Murer che si prefigge tra le prime una forma di regolamentazione che serva a inibire i conflitti sociali, poggiando sulla tecnica d’intervento della zonizzazione «da non confondere – si legge nel provvedimento – con i quartieri a luci rosse» [12]. Eh sì, perché anche a livello locale il tema tiene banco. E città come Milano, Roma e Venezia hanno raccolto negli ultimi decenni diverse mozioni, sottoposte al vaglio dei rispettivi consigli comunali, tese alla destinazione di luoghi specifici dell’area urbana all’esercizio del sesso a pagamento. Molti tuttavia non ci stanno. Ma il Parlamento sembra possibilista. Su proposta di Monica Cirinnà si rintraccia il disegno di legge al Senato che, sempre nel 2013, sceglie due strategie parallele: «La decriminalizzazione dell’adescamento e del favoreggiamento da un lato, l’individuazione di regole minime che indichino dove si può e dove non si può esercitare dall’altro». La strada indicata sembra quella della mediazione dei conflitti [13]. Si arriva fino a prevedere la comunicazione di avvio dell’attività presso le Camere di Commercio, con il pagamento degli oboli conseguenti.

A firma Calipari la proposta alla Camera, ancora del 2013, che si concentra su come «garantire il diritto di autodeterminazione sessuale dei cittadini e, contemporaneamente, il loro diritto alla tranquillità e alla libertà di movimento, senza tuttavia dimenticare di offrire alle donne, costrette a prostituirsi a causa di circostanze difficili della vita, la possibilità di cambiare vita» [14].

Porta il nome del senatore Razzi il disegno del marzo 2014 che intende disciplinare il fenomeno tramite «l’introduzione dell’attività di operatore di assistenza sessuale (OAS)» [15]. Del dicembre 2014, la proposta di legge Vargiu e altri mira al superamento della Merlin e, spingendosi fino alla previsione di tassare l’attività, prevede la destinazione del 70% del gettito fiscale ai comuni [16]. Sulla stessa linea, nel 2015, la proposta alla Camera a firma Turco e altri, che auspica l’intervento di operatori sociali e mediatori culturali nonché dei comuni, dei servizi di igiene e dei distretti socio-sanitari. Anche qui l’idea è comunque quella di individuare «aree dedicate» [17].

È datata 2015 e si deve al deputato Catalano, la proposta che si indirizza verso il superamento definitivo della legge n. 75 del 1958, sul presupposto della prostituzione “moderna” esercitata «in una nuova forma, estranea agli ordinari circuiti e autogestita tramite social network, annunci online e altri strumenti telematici». Il disegno di legge parla di sex worker [18].

Sul fronte opposto, frutto forse di un più recente e mutato dibattito parlamentare, è invece il disegno di legge a firma dei senatori Maturani più altri che nel marzo 2015 si fa promotore di un approccio duplice. C’è una rottura con le precedenti elaborazioni normative e si va verso l’individuazione «da un lato, di un complesso di misure penali dirette a colpire le forme di sfruttamento coatto, e, dall’altro, di interventi di carattere sociale volti ad aiutare le vittime della prostituzione» [19]. Nel giugno 2016, la deputata piddina Caterina Bini deposita, insieme ad altri, un progetto che mira alla introduzione di sanzioni per chi si avvale delle prestazioni sessuali. La relazione richiama espressamente il modello dei paesi nordici [20]. Sulla medesima linea d’intervento, al Senato, il disegno di legge della senatrice Puglisi dell’ottobre 2016 [21], come pure quello a firma Giovanardi, del novembre dello stesso anno [22]. Dei tre provvedimenti si rintraccia un precedente già nel luglio 2014, con la proposta di legge tra gli altri sottoscritta da Buttiglione e rivolta all’inserimento nel codice penale dell’articolo 602-quinquies concernente proprio il divieto di acquisto di servizi sessuali [23]. Analoga prospettiva, quella del disegno di legge nato dall’iniziativa del senatore Romano, datato maggio 2015 [24].

Il contributo più recente sul tema risale invece al settembre 2017, a nome della deputata Spadoni che si caratterizza intanto perché scaturito dalla piattaforma Rousseau e dunque dalla partecipazione attraverso votazioni online dei cittadini aderenti al Movimento 5 Stelle [25]. Qui la proposta torna a scivolare sul piano della coesistenza «di vittime che vanno tutelate e salvaguardate e al tempo stesso, di persone che vogliono svolgere un’attività professionale, autorizzata e riconosciuta ai sensi di legge. Far emergere la prostituzione regolandone l’accesso e l’attività».

Da ultimo, una nota a parte la merita forse la posizione assunta sull’argomento dalla neopresidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. Siamo nel marzo 2014 e l’attuale seconda carica dello Stato è, con Alessandra Mussolini, fra i firmatari del disegno di legge n. 1379. Sul presupposto degli «insanabili vizi» della normativa che aveva abolito le case chiuse, Casellati innesta la necessità di uno schema nuovo che è tuttavia un ritorno al passato e, tra i modelli, sceglie il neoregolamentarismo. In esso la prostituzione viene «legalizzata attraverso la previsione di regole non discriminatorie, che consentono di controllare il fenomeno, restituendo dignità e diritti ai soggetti che si prostituiscono». Il disegno di legge di Casellati è chiaro su un punto: «La prostituzione diventa un’attività pienamente lecita. Chi si prostituisce è tenuto al pagamento delle tasse e degli oneri previdenziali e assistenziali. Il divieto generale di esercitare la prostituzione in case o altri luoghi chiusi viene sostituito dal divieto di esercitare la prostituzione in luoghi pubblici o aperti o esposti al pubblico. Il compito di stabilire le condizioni per l’esercizio della prostituzione al chiuso viene demandato nel rispetto di alcuni principi inderogabili fissati dalla legge ai singoli comuni. Ai medesimi enti spetta anche la tenuta del “Registro delle persone che esercitano la prostituzione”» [26].

Questa la sintesi di un dibattito ancora infuocato. Mentre sullo sfondo permane l’attacco – che rende ancora il senso della centralità di quel provvedimento – alla legge che porta il nome della senatrice socialista che pochi ricordano esser stata, da Costituente, l’unica voce a imporre una scrittura femminista dell’art. 3 della Costituzione che recita oggi come tutti i cittadini abbiano pari dignità sociale e siano eguali davanti alla legge «senza distinzione di sesso» [27].

 

NOTE

[1] https://www.istat.it/it/files/2017/10/Economia-non osservata_2017.pdf?title=Economia+non+osservata+-+11%2Fott%2F2017+-+Economia+non+osservata_2017.pdf

[2] http://www.cgiamestre.com/gli-italiani-spendono-19-mld-lanno-in-attivita-illegali/

[3] https://codacons.it/la-prostituzione-fattura-39-miliardi/

[4] http://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=1958-03-04&atto.codiceRedazionale=058U0075&elenco30giorni=false

[5] http://www.giurcost.org/decisioni/1987/0561s-87.html

[6] http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+REPORT+A7-2014-0071+0+DOC+XML+V0//IT#title6

[7] http://www.linkiesta.it/it/article/2015/10/20/legalizzazione-della-prostituzione-le-ragioni-di-chi-dice-no/27852/

[8] https://ec.europa.eu/anti-trafficking/publications/does-legalized-prostitution-increase-human-trafficking_en

[9] http://www.trauma-and-prostitution.eu/en/2017/10/11/abolition-means-love/; http://www.resistenzafemminista.it/la-prostituzione-deve-essere-abolita/

[10] http://www.lucciole.org/component/option,com_frontpage/Itemid,1/; https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/01/20/le-sex-workers-non-vogliono-affatto-la-riapertura-delle-case-chiuse/4104460/

[11] http://www.udinazionale.org/blog-post-13.html; http://www.apg23.org/it/prostituzione/; http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=17&id=01066513&part=doc_dc-allegato_a&parse=no

[12] http://www.camera.it/leg17/126?idDocumento=381

[13] https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/299276.pdf

[14] http://www.camera.it/leg17/126?idDocumento=268

[15] https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/302162.pdf

[16] http://www.camera.it/leg17/126?idDocumento=2788

[17] http://www.camera.it/leg17/995?sezione=documenti&tipoDoc=lavori_testo_pdl&idLegislatura=17&codice=17PDL0033171&back_to=http://www.camera.it/leg17/126?tab=2-e-leg=17-e-idDocumento=3180-e-sede=-e-tipo=

[18] http://www.camera.it/_dati/leg17/lavori/stampati/pdf/17PDL0031830.pdf

[19] http://www.senato.it/leg/17/BGT/Schede/FascicoloSchedeDDL/ebook/45433.pdf

[20] http://www.camera.it/leg17/126?idDocumento=3890

[21] http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DDLPRES/993386/index.html?stampa=si&spart=si&toc=no

[22] http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DDLPRES/995358/index.html?stampa=si&spart=si&toc=no

[23] https://es.scribd.com/document/240963372/PdL-Gigli-Introduzione-Art-602-Quinquies-Del-Cod-Penale-Concernente-Divieto-Di-Acquisto-Di-Servizi-Sessuali-e-Altre-Norme-in-Materia-Di-Prostituzion

[24] http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DDLPRES/915935/index.html?stampa=si&spart=si&toc=no

[25] http://www.camera.it/_dati/leg17/lavori/stampati/pdf/17PDL0055340.pdf

[26] http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00752103.pdf[27] Elena Marinucci,

 

(Micromega online, 10 aprile 2018)

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