12 Luglio 2018
il manifesto

Cellule madri. Una mostra sulla stampa femminista in Argentina

di Francesca Lazzarato

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Celulas madres. La prensa feminista en los primeros años de la democracia, da visitare fino al 29 luglio nel Centro culturale Haroldo Conti di Buenos Aires, dove sono esposti riviste, manifesti, volantini, fotografie, audiovisivi, fanzine e altro ancora, che danno conto di un panorama ricco e diversificato, appena riemerso dal silenzio e dalla clandestinità della dittatura.
Un’immensa parete ospita gli ingrandimenti di tutte le copertine delle pubblicazioni femministe di allora, un armadio accoglie parte dell’imponente archivio che Sara Torres ha donato al Programa de Memorias feministas y Sexogenéricas, Sexo y Revolución, mentre modesti opuscoli, paginette sciolte, foto in bianco e nero, pubblicazioni dalla grafica audace, supplementi di quotidiani o settimanali, arrivano dalla Biblioteca Nazionale o dal Centro de Documentación e Investigación de la Cultura de Izquierdas. Tra le sale si aggirano quattro «riviste in movimento» ispirate a quelle che osavano di più in fatto di immagini e veste grafica, realizzate da Marina de Caro del collettivo Nosotras proponemos e sostenute da fanciulle-sandwich; a creare gli «altari laici» di Siempre Vivas, dedicati a quelle che non ci sono più e carichi di immagini e oggetti-feticcio, è stata invece Marina Scafati, un’artista giovane e già famosa, mentre spezzoni di programmi radiofonici e televisivi d’epoca compongono un collage audiovisivo quanto mai curioso.

L’ideatrice della mostra è Maria Moreno, grande giornalista e crónista sofisticata (nonché autrice di uno dei libri più belli e complessi usciti nel 2017, Black out, doloroso diario intimo, biografia generazionale, ritratto dell’Argentina intellettuale pre e post dittatura, pubblicato da Literatura Random House) che ha scelto e organizzato il materiale proveniente dai vari archivi e centri di ricerca in cui è tutt’ora disperso. Il risultato è una mostra da vivere e non solo da guardare, dove passato e presente si confondono, annunciano il futuro, tessono collegamenti e stabiliscono multiple e preziose genealogie in cui le giovani donne possono specchiarsi, seguendo le tracce di temi e argomenti, ritrovando espressioni e gesti nelle vecchie foto in bianco e nero (spesso firmate da nomi famosi come Sara Facio o Alicia D’amico), anche se le differenze sono numerose quanto le somiglianze.
Alfonsina (vicina ai linguaggi dell’avanguardia, attenta alla psicoanalisi e diretta proprio da Maria Moreno), Persona (creata nel ’74, chiusa dalla dittatura e poi risorta negli anni ’80; celebre è la foto della sua fondatrice, María Elena Oddone, che nel 1984 sale le scale del Congresso reggendo un cartello con su scritto «No alla maternità, Sì al piacere»), Bruja (nata dal gruppo Atem 25 Noviembre, dalla forte connotazione di sinistra), Feminaria (legata alla Libreria delle Donne di Buenos Aires), Unidas (prodotta a Santa Fé dall’omonimo gruppo di donne marxiste), Cuadernos de existencia lesbiana (diretta da Ilse Fuskova e capace di anticipare i tempi con le sue paginette frammentate e provocatorie), e molte altre pubblicazioni, quasi sempre povere ed effimere, erano la voce delle esperienze di gruppi minoritari e spiccatamente eterogenei, immersi in accesi dibattiti sulle relazioni interpersonali, sulla sessualità e il corpo, sulla violenza e l’aborto, sul lavoro domestico e la subalternità in politica.

Sperimentando separatismo e autocoscienza, avviando un discorso sul genere mai tentato prima, rifacendosi a una necessaria «argentinità» e collegandola a quanto arrivava dall’estero, incrociando ogni tema con quello dei diritti umani, collegandosi a movimenti di dissidenza sessuale come il Frente de Liberación Homosexual o il Grupo Autogestivo de Lesbianas, le femministe di allora sono state davvero cellule madri che, nonostante la pronta istituzionalizzazione offerta dal governo Alfonsín (quella che le militanti di Unidas chiamavano ONGeización), il ritiro nell’Università o nei partiti tradizionali, gli allettamenti del neoliberismo menemista, assistono oggi alla nascita e all’evoluzione di un femminismo di massa cresciuto nel brodo di coltura dei social media e che si discosta non poco dalla tradizione collettiva di riflessione e militanza dei primi anni ’80, ma al quale hanno trasmesso almeno una parte del proprio Dna. […]

(Tratto da Le fanzine della libertà, il Manifesto, 12 luglio 2018)

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