22 Gennaio 2018
La Stampa

Charlotta Stern: «Uomo e donna uguali? Attenti alle ideologie»

di Francesco Rigatelli

 

Ascoltiamo questa intervista che ci presenta il pensiero della differenza concepito da uno spirito libero nel cuore della Svezia, uno dei paesi più avanzati nel femminismo di Stato. Lei ci dice che insistere sulla parità è a rischio di ideologia, e va anche più avanti perché combatte gli stereotipi diffusi dal femminismo stesso. Non ha paura di mettere in campo il corpo, la natura, che sono parole proibite per la cultura postmoderna.

Ascoltiamola tenendo presente che forse ci sono problemi di traduzione, a cominciare da quel “liberale” che traduce male in italiano il suo “liberal” (in inglese significa “progressista”). E che da alcune domande e risposte traspare una non conoscenza della realtà italiana, sia delle nostre leggi (da quasi un secolo abbiamo lunghi congedi di maternità) sia del femminismo (noto nel mondo come femminismo della differenza). Lei è scusata, il giornalista no, lui incarna il femminismo finto dei media mainstream che immaginano l’Italia in preda agli elementari problemi di giustizia paritaria. Anche per questo l’intervista è di grande interesse, mostra le difficoltà in cui si trova a muoversi un pensiero di libertà femminile oggi. (Clara Jourdan della redazione del sito della Libreria delle donne di Milano)

 

Tra le poche voci europee di quello che definisce “femminismo liberale”, Charlotta Stern, sociologa dell’Università di Stoccolma, ha presentato all’Istituto Bruno Leoni di Milano un suo studio anticonformista sulle differenze di genere nel mercato del lavoro.

Professoressa, è vero che per lei la maggior parte delle ricerche fin qui condotte si soffermano ideologicamente sulle costruzioni sociali tralasciando il dato biologico?

«Fattori come la personalità e il livello di competizione, che sempre più gli psicologi sottolineano, vengono ignorati confondendo la realtà dei fatti».

Quali differenze tra uomo e donna andrebbero approfondite?

«Quelle ormonali. Gli uomini sono biologicamente portati a essere più aggressivi, competitivi e a correre dei rischi. Le donne si prendono cura, sono gentili e aperte. L’evoluzione ci porta a questo, invece molte donne si sentono pressate a raggiungere obiettivi inadatti a loro».

Dire questo oggi è un tabù?

«I miei studi nascono per questo. Una persona normale può anche cascarci, ma uno scienziato sociale vuole vederci chiaro. La resistenza a questo tipo di ricerca è ideologica, perché c’è una specie di utopia che vorrebbe uomini e donne impegnati nello stesso lavoro e a occuparsi ugualmente dei figli».

Da dove viene questa ideologia?

«Dalla confusione tra ineguaglianza e diversità. Quando si parla di differenze si finisce spesso per scambiarle per ingiustizie».

La maggior parte delle donne è d’accordo con questa interpretazione?

«In Svezia molte donne pensano di essere discriminate sul mercato del lavoro, ma spesso questo sentimento nasce da un luogo comune femminista di sinistra, il cui obiettivo è erodere qualsiasi tipo di differenza tra i sessi».

Questo suo discorso, forse adatto alla Svezia, potrebbe suonare strano in Italia, dove le donne fanno fatica a vedere rispettati i loro diritti.

«Sono culture molto diverse, in Svezia le donne lavorano molto, ne sono felici e quando hanno dei figli prendono lunghi congedi parentali e spesso hanno la possibilità di lavorare part-time».

E allora cosa manca?

«La libertà di scegliere lavori o orari meno impegnativi senza essere giudicate cedevoli dalle femministe estremiste».

Ci sono delle regole che le donne potrebbero osservare per essere davvero libere?

«Ognuna deve potere darsi le proprie. Per esempio trovo sbagliato fissare nel 50 per cento il tempo che una mamma deve passare con i figli rispetto al marito. Può succedere, ma non è obbligatorio. Vediamo poi donne che eccellono in ingegneria o negli sport: bene, non dico che tutte non ne siano capaci, ma magari non vogliono e non devono essere giudicate per questo».

Come si può ribilanciare il rapporto tra disuguaglianza e diversità?

«C’è un femminismo liberale, che nasce negli Stati Uniti e si trova anche in Europa, per cui la realtà si può analizzare adogmaticamente».

La società scandinava è considerata all’avanguardia nei diritti. Quali riforme suggerisce in particolare?

«L’asilo pubblico, con molto tempo al pomeriggio, è fondamentale per aiutare i genitori».

È vero che il difetto del vostro sistema sta invece nell’omogeneità sociale creata dall’eccesso di sussidi pubblici?

«Purtroppo sì, bisogna togliere un po’ di regole per liberare la società».

Ma se le donne potranno lavorare meno o scegliere impieghi più leggeri come potranno guadagnare come gli uomini e essere indipendenti?

«Guardi, io sono la tipica donna svedese, voglio lavorare, ma già ora non si raggiungono certe posizioni, e lo stato deve darmi la possibilità di essere indipendente per poter dire al mio compagno se non lo amo più: “Vattene a quel paese!”».

(La Stampa, 16 gennaio 2018)

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