14 Giugno 2019
Corriere della Sera

Fiorire ogni giorno

di Laura Pariani


Mi piace concludere la giornata di lavoro con una breve camminata al Sacro Monte, nell’ora magica che ispirò alla Duse il desiderio di una vestaglia «color tramonto sul lago d’Orta»… E come sempre i passi mi conducono alla Cappella XVI dove, sotto una pozza di luce calante, rimango incantata davanti al gruppo scultoreo in primo piano: bambini intenti a giocare con un carrettino di legno, così realistici da parere di carnesangue. Davanti al misterioso gonfiarsi delle loro guance color mela poppina, come per miracolo ho l’impressione che la fatica della mia giornata si vada attenuando: la bellezza della scena infantile mi attraversa il corpo da parte a parte e d’un tratto mi ritrovo invasa dal piacere di esistere.

Forse la mia gioia nasce dal fatto che rammento la meraviglia che ho provato quando ho scoperto questo Sacro Monte: ché vedere per la prima volta un’opera d’arte – così come leggere per la prima volta un buon libro – è sempre un’avventura meravigliosa. Niente mi ricorda così tanto me stessa come i libri che ho letto e le opere d’arte che ho contemplato. Per me sono come dei diari.

Eppure c’è qualcosa d’altro nel piacere di questo momento: non è solo un andare all’indietro, nella memoria del c’era-una-volta e una-volta-non-c’era, ma anche in avanti, nella speranza di altre emozioni. Ci rifletto con calma, mentre ridiscendo in paese e il cielo serale, riempito del volo sghimbescio di centinaia di rondini, assume un’aria di festa… Mi rendo conto che spesso durante la giornata sono presa da mille scoramenti: colpa della stanchezza, della difficoltà del mestiere di scrivere, del tempo che non è per niente galantuomo con gli esseri umani… Ma poi, per fortuna, mi vengono in aiuto i libri che ho amato; e ripeto tra me le parole di Porzia nel Il mercante di Venezia: «La somma di me non è gran cosa… ma sono fortunata in questo: di non essere ancora tanto vecchia da non esser più in grado di imparare; più fortunata ancora, per non esser cresciuta tanto stupida da non esser capace di apprendere…»

Ecco, mi è bastato rievocare i versi di Shakespeare per ritrovare la speranza. Le cose si mettono a esistere con tale forza quando le parole degli autori che amo mi risuonano in testa… Ché mi pare a volte che tutti i personaggi dei libri che ho letto siano racchiusi nella storia, la mia; e allo stesso modo, quando invento personaggi, quasi senza rendermene conto travaso in loro parte del mio intimo.

Scrivere infatti è comunicare: noi scrittori affrontiamo la pagina sperando che il lettore vi si possa riconoscere, incontrarvi qualcosa di sé; e ci piace pensare che una parte di noi trascorra in altre vite, come le case in cui abbiamo vissuto e che ora occupano altri, finestre a cui ci siamo affacciati e dalle quali adesso uno sconosciuto guarda lo stesso paesaggio, frasi che abbiamo pensato amato scritto e che diventano pensieri di chi li leggerà… Ma anche leggere è comunicare: leggiamo sperando che in un altro luogo o in un altro tempo qualcuno abbia saputo raccontare una storia che ha a che fare intimamente con noi, qualcosa che riguarda la polvere che siamo, il nostro niente che reclama amore.

Così l’arte e la letteratura ci aiutano a resistere a un mondo insensato in cui la Storia diventa spesso il massimo strumento di avvilimento delle storie con la minuscola.

Finché si scrive non tutto è perduto.

Finché si legge non tutto è perduto.

Finché l’arte sa raccontarci storie, non solo viviamo ma siamo capaci di speranze.


(Corriere della Sera, inserto La Milanesiana, 6 giugno 2019)

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