12 Ottobre 2018
A&P | Mag

Il mio sessantotto. La rivolta nella rivolta: il femminismo delle origini

di Laura Minguzzi

Il mio sessantotto
Vorrei iniziare il racconto sul mio sessantotto a partire dal valore orientante che io attribuisco alle amicizie femminili e all’amore nella mia esperienza. Entrambi hanno avuto un ruolo fondante nel femminismo delle origini, cioè quello degli anni sessanta. Non a caso in questo momento storico assistiamo a una ripresa della memoria e delle narrazioni sugli inizi del movimento delle donne che, soggetti imprevisti, spinte da un desiderio di libertà, sono balzate alla ribalta, sulla scena pubblica. Ho potuto verificare a Milano, in Libreria, e in incontri pubblici anche all’estero, che giovani donne e uomini s’ispirano alla rivolta degli anni Sessanta che è stata concomitante al sessantotto anzi lo ha anticipato e ne ha veicolato tutta la radicalità. La filosofa Luisa Muraro, una delle animatrici della Libreria delle donne di Milano, l’ha definita Una rivolta nella rivolta. Fu una rottura nella rottura. Infatti, a Milano, nel 1965 nasce il gruppo di sole donne DEMAU acronimo per Demistificazione dell’autoritarismo patriarcale, fondato da Daniela Pellegrini, Lia Cigarini, Elena Rasi. L’autocoscienza e i gruppi separati di donne furono un’invenzione politica vincente per la ricerca di un linguaggio proprio. Questa mossa imprevista mise allo scoperto il privilegio occultato degli uomini e avviò quella pratica di parola che ci fa superare il muro fra il dentro e il fuori.

Crollarono i muri che separavano soggettivo e oggettivo, privato e pubblico, la complementarità fra i sessi eccetera. Pratiche che congiungevano il dentro e il fuori, che generarono e generano la forza delle donne, grazie alla qualità delle relazioni che modificano. Questo continuo passaggio fra il dentro e il fuori, questo fare la spola fra interiorità ed esteriorità l’abbiamo chiamato politica del simbolico.

Se ripercorro quegli anni, vedo nel mio orizzonte quotidiano a Torri, dove sono nata, a Mezzano e a Ravenna figure di amiche con cui ero in stretta relazione, le amiche del cuore, Carla, Lilia, Giovanna, Linda con cui andavo sì al cinema, a ballare, al mare ma con cui scambiavamo anche idee su ciò che desideravamo fare da grandi insieme. Con Linda e Giovanna abbiamo partecipato alle assemblee studentesche, occupato le scuole e i licei, dove studiavamo. Io fui anche sospesa per una settimana, sorpresa a stampare clandestinamente volantini per convocare un’assemblea non autorizzata all’Istituto G. Ginanni. Allora il paternalismo e l’autoritarismo imperavano. Ricordo che il preside dell’Istituto era solito convocare noi ragazze nel suo ufficio e lì ci faceva certi discorsetti un po’ ambigui. Ma noi ragazze ci parlavamo e cercavamo anche alleati fra i professori e i compagni di classe. Il maggio francese fu una forte scossa di energia. Non a caso uno dei gruppi più importanti del femminismo francese, Psychanalyse et Politique, mise in discussione l’impianto universale maschile della psicanalisi, Freud e l’esistenza di una sola libido e una delle fondatrici del gruppo Antoinette Fouque scrisse I sessi sono due. [1]

Prima del sessantotto avevo sì amiche, ma non così ribelli ai ruoli tradizionali femminili, seppure anche loro in lotta con gli stereotipi. Ne ricordo due con cui poi interruppi i rapporti, che scelsero di avere figli senza sposarsi, essere ragazze madri e furono piuttosto osteggiate e malviste in paese. Oggi si direbbe che optarono per una maternità indipendente. Con le amiche più politiche fra virgolette avevamo il pallino dello studio, di andare via dalla famiglia, realizzarci, non sposarci e non fare figli. I nostri modelli femminili erano Simone de Beauvoir, Virginia Woolf, Carla Lonzi, penso a Donna Clitoridea, donna vaginale, a Sputiamo su Hegel, al Manifesto di Rivolta femminile, usciti negli anni settanta. Con Linda e Giovanna volevamo cambiare città e con Giovanna decidemmo di andare a Venezia. Linda decise per Firenze. Eravamo consapevoli di rifiutare il destino femminile. Abbiamo fatto così esplodere i ruoli tradizionali. Volevamo esserci, ovunque, con la nostra differenza ed eravamo alla ricerca di noi stesse per dare un senso libero a questa scoperta. Il separatismo fu la pratica vincente, ideata dalle femministe americane nel sessantaquattro all’università di Berkeley, dove alcune studentesse si separano dai compagni, riunendosi in gruppi separati, in cui al centro c’era la sessualità, il corpo. Abbandonarono i gruppi misti durante l’occupazione dell’università dove, affermando che loro stesse volevano parlare della loro condizione e non delegare ad altri. Cominciò così la pratica dei gruppi di sole donne che cercavano, come rabdomanti, un linguaggio a partire da sé, da un sentire profondo. Emergeva così un’esperienza assorbita dalla cultura patriarcale e quasi mangiata, senza essere mai stata nominata, anzi resa indecifrabile. La creazione di luoghi, come le Librerie, i Centri di documentazione, le Biblioteche, i luoghi di ritrovo, le imprese, i circoli (oggi anche i siti e i blog), sono stati e sono tuttora finalizzati a promuovere linguaggio, scambio, esperienze condivise in definitiva simbolico. Non essere più a disposizione degli uomini ma investire su di sé, operando uno spostamento dall’amore per gli uomini, all’amore di sé, all’amore per le donne e per la madre. Un percorso irto di conflitti e rotture dolorose. I conflitti lacerarono le relazioni familiari; io con mio fratello che non voleva che studiassi. Giovanna col padre. Il dissidio nella mia famiglia provocò una ferita profonda. Mia madre si ammalò gravemente di una forte depressione. Io ero combattuta fra il desiderio di prendere parte attiva nelle lotte studentesche e l’angoscia per la sofferenza di mia madre che richiedeva la mia presenza. Per fortuna trovai aiuto e sostegno in mia zia, Luciana Gordini, che comprese i miei progetti e i miei desideri. Era dell’Udi e abituata alle relazioni privilegiate con altre donne, in primis con le vicine di casa, con cui aveva scambi intensi e assidui. Possedeva una grande capacità di ascolto e un talento particolare nel farle dei nodi segreti. Discuteva di tutto e dava giudizi sul comportamento degli uomini, sui partiti, sugli accadimenti politici. Era operaia specializzata all’Eridania di Mezzano, molto stimata. Io fin da piccola ascoltavo i suoi discorsi e le chiedevo spesso consiglio. Lei mi sostenne nelle mie scelte e mi sollecitava anche a partecipare a eventi pubblici. Nel 1962 per esempio mi incitò a partecipare alla marcia per la pace, durante la crisi dei missili a Cuba. Fu un precedente di forza e di amore femminile. Mi raccontava della sua vita e mi portava esempi di libertà e di radicale anticonformismo. Criticava mio padre, mio fratello liberamente e sosteneva anche le giovani vicine di casa che volevano liberarsi da relazioni infelici con mariti o fidanzati, incoraggiandole a essere più autonome, incurante delle reazioni della gente.

Durare nel tempo

Caratteristica che distingue il movimento femminista degli anni Sessanta, rispetto a tutti gli altri movimenti antiautoritari, giovanili eccetera, è senza ombra di dubbio la sua durata. Siamo qui in carne e ossa a testimoniarlo; non quindi ondate effimere, di superficie ma sommovimenti profondi, terremoti, una rivoluzione, quella femminista, che ha prodotto un cambio di civiltà, nonostante i partiti, le organizzazioni, i sindacati, all’epoca, sostenessero l’impossibilità di portare trasformazioni senza prendere il potere, senza assalti al palazzo d’inverno. Perciò non ha senso, è falso parlare di ondate come fa oggi la stampa mainstream che parla di femminismo della quarta ondata e divide il femminismo in ondate mentre il femminismo per me è uno, quello della differenza e la nostra è una politica fondata sulla soggettività femminile più che sulle manifestazioni collettive che vanno e vengono. Fondamentale è stata la creazione di luoghi autonomi di riflessione come Diotima a Verona, e imprese materiali autonome e simboliche come la Libreria delle donne di Milano, aperta nel 1975, in cui si è prodotto pensiero teorico arrivando all’importante acquisizione del concetto di autorità distinta dal potere. Penso a L’ordine simbolico della madre, al Dio delle donne, di Luisa Muraro, alle invenzioni di pratiche scaturite dalle difficoltà, dagli inciampi relazionali come raccontiamo nel Non credere di avere dei diritti[2], tradotto in inglese, tedesco, francese e spagnolo. Quando parlo di invenzioni di pratiche mi riferisco alla disparità fra donne, all’affidamento, alla genealogia, alla pratica dell’inconscio con i relativi documenti teorici prodotti negli anni ottanta e novanta i vari Sottosopra rosa, verde, rosso, blu eccetera, alla rivista Via Dogana che da qualche anno è online. Tutti i nostri scritti hanno richiesto tempi lunghi di elaborazione e anche polemiche, conflitti e perdite. Oggi abbiamo il sito[3], voluto da giovani donne, le webmater Sara Gandini e Laura Colombo e altre, che hanno preso in mano le pratiche e le acquisizioni teoriche delle origini e le hanno attualizzate agendo il loro desiderio di politica. In Libreria ci sono vari gruppi di ricerca: L’Agorà del lavoro, che ha prodotto un manifesto dal titolo Immagina che il lavoro, dopo vari anni di riflessione e ascolto delle esperienze di donne, il LabMi, Laboratorio per la città del primum vivere, il gruppo Ipazia, sulla scienza, la Comunità di pratica della Storia Vivente di cui faccio parte e la redazione carnale del sito, che si riunisce ogni giovedì. Io sono presidente del Circolo della rosa e mi occupo della sua gestione materiale dal 2001. Si tratta di uno spazio della Libreria, attiguo alla stessa, con ristorante e cucina, dove un gruppo relazionale di cuoche Estia e un cuoco, preparano le cene e i buffet dopo ogni incontro per le socie e i soci della Libreria e del Circolo.

Io sono impegnata anche nella Comunità di Storia Vivente voluta da Marirì Martinengo con cui ho una relazione di affidamento dalla fine degli anni ottanta. Allora partecipavo al movimento di Pedagogia della differenza; nella scuola, separavamo le classi miste per mostrare la preferenza per il proprio sesso e facevamo leggere alle nostre allieve le scrittrici per trasmettere esperienze di libertà e autorizzarle alla ricerca della propria singolarità e dei propri desideri. Abbiamo pubblicato insieme un libro collettaneo, Libere di esistere. Costruzione di civiltà femminile nell’Europa medievale[4], sulle badesse fondatrici di monasteri (Ildegarda di Bingen, Marina del Goleto, Herrada di Hohenburg, Eufrosina di Polozk, Rosvita di Gandersheim).

Immaginare un futuro

Nel 2006 in seguito ad un’importante svolta nella sua vita Marirì ha impresso una nuova direzione al nostro progetto storiografico iniziale: affermando che «Una storia vivente è annidata in ciascuna/ciascuno di noi» ci siamo poste in ascolto dei nostri nodi irrisolti e abbiamo cominciato a scavare nelle nostre vite, reinterpretando i nodi che hanno condizionato le nostre esistenze e collocandoli nel contesto storico abbiamo aperto dei varchi nei muri della storia tradizionale, oggettiva e in questo modo contribuito a reinterpretare e riscrivere la storia italiana mettendo al centro la nostra soggettività. Abbiamo messo in pratica un’acquisizione teorica del femminismo delle origini: non separare il soggetto che compie la ricerca dall’oggetto della ricerca. In questo progetto abbiamo il sostegno della storica spagnola María Milagros Rivera Garretas, docente dell’università di Barcellona, con cui siamo in stretta relazione e scambio. A dire il vero anche questo nostro progetto di rivoluzionare la storiografia maschile che si basa sui documenti oggettivi e mette in secondo piano la soggettività dello storico o della storica, è sempre un frutto generato dall’antica e feconda pratica dell’autocoscienza degli anni Sessanta. Abbiamo capito che la storia che studiamo o abbiamo studiato e che ci hanno insegnato, è la storia del potere e di come si è mantenuto o si è perso. Abbiamo pubblicato i nostri racconti di storia vivente nella rivista DWF[5] e nel marzo dell’anno scorso abbiamo fatto un Convegno alla Libreria delle donne di Milano. Sul sito della Libreria sono pubblicati i nostri scritti teorici. [6]

Le sfide che oggi abbiamo di fronte sono ancora e sempre di ordine simbolico, dare parole e senso alla nostra esperienza, curare la qualità delle relazioni, non accontentarsi dello stereotipo di sé, reclamare che il fuori ci corrisponda. Come affermava un titolo della rivista cartacea Via Dogana Le donne sono ovunque e col movimento nato in America con l’hashtag metoo e in Italia con Non una di meno si tratta di affermare la forza dell’autocoscienza come forma politica contro la delega e la rappresentanza, valorizzare la relazione di differenza con gli uomini che riconoscono l’autorità femminile e danno credito alle donne. Anche questi nuovi movimenti sono esplosi, come valanghe, da una esposizione soggettiva; in America col sostegno della stampa progressista, in Italia meno. Oggi c’è il senso che le donne hanno una egemonia trasversale, dopo la marcia mondiale delle donne seguita all’elezione di Trump. Le donne non si sono più fermate, una valanga che attraversa tutte le differenze e le collocazioni. Sono intervenute a tempo debito con grande oculatezza politica, senza mediazioni, intendo partiti, organizzazioni o tribunali con il sostegno della stampa, questo sì, e di donne famose più grandi. C’è una continuità, un continuum generazionale molto positivi e promettenti. La parola delle donne ha credito, abbiamo vinto, la soggettività ha sfondato il muro. Non occorrono prove oggettive, leggi, tribunali. Sono le donne stesse un documento vivente. È un salto simbolico, uno scarto, possiamo dire che c’è un prima e un dopo. La verità dell’esperienza femminile è accettata, ascoltata, produce effetti.

In questo momento storico per i giovani l’avvenire non è così aperto e ricco di potenzialità e promesse come fu per noi negli anni Sessanta perché oggi manca una visione del futuro. I giovani non vengono spinti avanti dalle vecchie generazioni, mentre io fui molto spinta avanti da mio padre, mia madre, mia zia. Sostenermi nello studio era volere per me una vita migliore; i miei genitori erano contadini. Nel sessantotto c’era questa visione. Una sfida per me essenziale è come passare alle giovani generazioni il femminismo che io ho esperito. Passare l’eredità che io ho ricevuto.

________________________________

[1] Antoinette Fouque, I sessi sono due, Pratiche editrice, 1999, Parma

[2] Libreria delle donne, Non credere di avere dei diritti, Rosenberg&Sellier, 1987, Torino

Decima ristampa di Non credere di avere dei diritti, Rosenberg&Selliers, 2018, Torino

[3] http://www.libreriadelledonne.it

[4] AAVV, Libere di esistere. Costruzione di civiltà femminile nell’Europa medievale, Sei, Torino, 1996

[5] http://www.dwf.it/dwf-la-pratica-della-storia-vivente-2012-n-3-95/

[6] http:// www.libreriadelledonne.it/category/approfondimenti/storia vivente/

 

(A&P | Mag numero 3/2018)

Print Friendly, PDF & Email