18 Ottobre 2019 ore Federico Fubini

Il Nobel a tre economisti premia la lotta alla povertà

di Federico Fubini


Negli anni che precedettero il crash del 2008 Robert Lucas, dall’Università di Chicago, formulò una profezia: «Il problema centrale della prevenzione delle depressioni – dichiarò – è stato risolto». Lucas era già Nobel per l’Economia grazie alla sua teoria secondo cui il mercato ha sempre ragione e i prezzi riflettono sempre le aspettative razionali degli investitori. Lehman collassò poco dopo. A quel tempo, mentre si preparava il crollo che pochissimi economisti videro arrivare, Esther Duflo e Abhijit Banerjee erano altrove. Si dividevano fra una zona rurale del Kenya e il distretto di Udaipur, nel Rajastan indiano. Erano due giovani dottorati del Massachusetts Institute of Technology e lavoravano con piccole macchine fotografiche, invece che teorie astratte puntellate da una presunta precisione matematica. Chiedevano ai maestri di scuola di fotografarsi con gli allievi alla prima ora e poi dopo l’ultima ora di lezione: era uno stratagemma che – misurarono – riduce in modo drastico l’assenteismo degli insegnanti.

I problemi di Banerjee e Duflo erano gli stessi che continuava a porsi Michael Kremer, un altro neo-diplomato di allora che ieri ha vinto con loro il Nobel dell’Economia: perché i bambini nelle scuole di campagna dei Paesi arretrati non imparano a leggere, a scrivere e a fare i conti? Perché non si vaccinano? Perché non prendono medicine contro i vermi intestinali, anche quando queste sono disponibili a prezzi bassissimi? Domande brucianti, in un mondo in cui vivono 700 milioni di poveri e cinque milioni dei loro figli piccoli muoiono ogni anno. Domande scomode, spiazzanti, persino in un’economia matura come l’Italia. Soprattutto quello di Banerjee, Duflo e Kremer è un approccio lontanissimo dalla hybris degli economisti che pretendono di spiegare presunte leggi immutabili della società e del mercato in formula algebriche che – lo si è visto – spesso mascherano una certa qual cecità.

I tre Nobel del 2019 prendono il punto di vista contrario. Poiché sanno di non sapere, scelgono un duplice approccio nella lotta alla povertà: non cercano formule e leggi economiche, non sono ideologici. Piuttosto isolano ogni grumo della povertà – le scuole, le epidemie, l’arretratezza tecnologica – e cercano di capirlo e scioglierlo attraverso inchieste e risposte concrete; perciò, guardando alla medicina o alla chimica, i tre sperimentano di continuo per capire cosa funziona e cosa no.
Uno degli studi più celebri fu condotto dalla francese Duflo e dall’indiano Banerjee del Mit di Boston – compagni anche nella vita – fra duemila bambini del Rajasthan dal 2004 al 2007. In alcuni villaggi, a sorteggio, è stata inviata una clinica mobile per vaccinare i piccoli; in altri è stata mandata la stessa clinica, ma i genitori avrebbero avuto un sacchetto di lenticchie se avessero accettato il trattamento per i figli; in un terzo gruppo di villaggi poi i vaccini erano disponibili solo negli ambulatori locali, dove regna l’assenteismo. Risultato: nei villaggi con gli ambulatori normali solo il 6% dei bambini si vaccina, in quello con la clinica mobile il 18% e in quelli con clinica mobile e lenticchie si arriva al 39%.

Sono indagini umili, ostinate, uno stile di cui l’americano Kremer (55 anni, di Harvard) è il vero pioniere. Duflo a 46 anni diventa la seconda donna Nobel per l’Economia e la vincitrice più giovane di sempre. Ieri ha subito pensato a un’altra francese che vinse prima di lei, Marie Curie. E come lei ha lasciato capire che donerà il premio, 830 mila euro da dividere in tre, alla sua disciplina.


(Corriere della Sera, 15 ottobre 2019)

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