5 Giugno 2019
Corriere della Sera

La giudice Di Nicola scrive al ministero dell’Interno sul tema delle espulsioni

di Luigi Ferrarella


C’è chi lo leggerà come un assist togato a Matteo Salvini: un magistrato (peraltro di una corrente di sinistra) che sollecita più espulsioni di stranieri arrestati per violenza sulle donne. E chi invece, al contrario, vi ravviserà una critica messa in mora del ministro: un magistrato che fa rilevare il mancato ricorso alle espulsioni. Certo non capita tutti i giorni che un giudice delle indagini preliminari, mettendo insieme i precedenti di quattro stranieri da lei arrestati di recente con accuse di violenza sessuale o maltrattamenti di donne, scriva «per conoscenza al capo di gabinetto del ministero dell’Interno», oltre che a Questore e Prefetto, affinché sia «valutata la possibilità di espellere gli indagati, per motivi di pericolosità sociale, al momento della scadenza» dell’arresto e prima ancora del processo. L’espulsione, per la gip, sarebbe lo «strumento per evitare, da parte delle istituzioni italiane, la vittimizzazione secondaria delle persone offese» (cioè delle donne vittime di violenza) «attraverso il rischio di reiterazione dei reati subiti»: e ciò alla luce della «Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne», che «impone agli Stati di garantire alle donne il diritto a un’esistenza libera dalla violenza».

La gip è Paola Di Nicola, in magistratura dal 1994, in servizio al Tribunale di Romadove fu una dei giudici dei clienti delle prostitute minorenni dei Parioli, toga di area progressista e già candidata nel 2014 alle primarie per il Csm nella corrente di sinistra. Nella sua inconsueta lettera spedita prima delle elezioni, il 20 maggio, la gip fa riferimento agli arresti capitatile di un egiziano accusato di frustare da anni la moglie che non voleva lavorasse; di un giovane del Bangladesh accusato di tentata violenza sessuale dopo già due condanne per analogo reato; di un polacco indiziato di stalking dopo una condanna in primo grado per maltrattamenti; e di un romeno accusato di violenza sulla compagna e già gravato da diverse condanne. E riassume che «si tratta di soggetti pericolosi, che hanno già commesso reati nel nostro Paese e per i quali – si spinge – è certa la reiterazione di delitti di violenza di genere alla luce della motivazione delle misure cautelari». Perché certa? Perché «la modalità con la quale hanno esercitato violenza esprime un atteggiamento proprietario e predatorio rispetto al genere femminile che disprezzano, dileggiano, limitano nelle sue minimali forme di libertà, assoggettano, maltrattano, violano perché non ne riconoscono la dignità». Autocertificata dalla gip è poi la certezza che «l’espulsione amministrativa non contrasti con i principi di non respingimento del rifugiato nella Convenzione di Ginevra», verifica che spetta però non a un giudice penale ma a una diversa e apposita giurisdizione; «né con il divieto di sottoposizione a tortura e a pene o trattamenti inumani e degradanti nei loro Paesi», che il gip ritiene di escludere in automatico per Egitto e Bangladesh, anche perché gli indagati vi facevano spesso rientro. Infine la lettera della gip al capo di gabinetto di Salvini caldeggia anche due asseriti «indubbi ulteriori vantaggi per l’intera collettività», e cioè «la sensibile riduzione della sovrappopolazione carceraria, e la non celebrazione del processo penale».


(Corriere della sera, 5 giugno 2019)

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