8 Febbraio 2017
Repubblica

La memoria corta sulla Milano delle donne

di Anna Bandettini

Si potrebbe partire dal Duomo perché lì, sul tempio di Minerva, c’era la basilica dedicata a Santa Tecla, energica protocristiana, e prima ancora a Santa Pelagia. Poi si potrebbe continuare verso Palazzo Marino dove, si dice, nacque Marianna de Leyva, la Monca di Monza, e ricordare che il dirimpettaio Teatro alla Scala si chiama così perché lì c’era la chiesa di Santa Maria alla Scala dedicata a Regina della Scala, abile politica in anni feudali. E ancora: via Bigli 21 dove la contessa Maffei, patriota e letterata, nella prima metà dell’800 aprì il salotto alle menti migliori, via Borgospesso, Palazzo Olivazzi-Trivulzio, altro salotto-pensatoio di Vittoria Cima della Scala, Montenapo 15, casa della cantante Giuditta Pasta, via Brera, Bar Giamaica dove andava Nanda Vigo…

Donne attive, reali, generose e non rassegnate che hanno fatto la cultura di Milano. Ma in città non ce n’è (quasi) traccia, rare le iscrizioni, pressoché nulla la memoria. Ne parlava alla Libreria delle donne, giorni fa, con Micol Nardi, Lorenza Minoli, architetta che sta progettando una guida di Milano al femminile e in passato ha organizzato anche dei tour. L’occasione era il laboratorio “La città del primum vivere” che elabora iniziative su questa memoria ritrovata della città. C’è però un aspetto pubblico di quel lavoro che andrebbe girato al Comune: si possono, per esempio, fare più targhe commemorative nei luoghi dove le donne hanno prodotto cultura? E per cominciare, si può allargare il nome “Vicolo dei Lavandai” anche alle lavandaie? Perché se la confraternita era al maschile, coloro che stavano inginocchiate sul “brellin” di legno a strofinare i panni erano le donne.

(Repubblica, 8 febbraio 2017)

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