26 Novembre 2019
La Sicilia

La violenza istituzionale nei confronti delle donne

di Pinella Leocata


Nella “giornata mondiale per l’eliminazione della violenza contro le donne” le celebrazioni si scontrano con i fatti, la retorica con la realtà. Accade ovunque, anche a Catania dove alle innumerevoli e altisonanti iniziative istituzionali si contrappongono le scelte concrete come quella per cui l’unico centro antiviolenza del territorio, il centro Thamaia, rischia di chiudere perché il Comune non versa le somme dovute. E si tratta di ben 70.000 euro, somma che l’associazione che gestisce il centro ha vinto grazie al progetto con cui ha partecipato a un bando regionale e al fatto che da un decennio ha costituito una rete con tutte le istituzioni coinvolte nella tutela delle donne vittime di violenza creando buone pratiche con cui si cerca di rispondere al meglio alle necessità di chi intraprende un percorso di denuncia e di fuoriuscita dalla violenza.

La Regione ha liquidato le somme, il Comune no, eppure il progetto si è concluso un anno fa e le operatrici si sono dovute indebitare, anche offrendo garanzie personali, per sostenerne i costi. La Regione aveva persino ritirato i fondi e adesso minaccia di farlo in maniera definitiva se l’amministrazione di Catania non li erogherà entro il 31 dicembre. Così ieri le operatrici del centro Thamaia hanno tenuto un sit-in di protesta in piazza Università nel corso del quale sono stati distribuiti volantini e sono state raccolte firme a sostegno delle loro ragioni che poi sono quelle delle donne vittime di violenza e di quante possono contare su un luogo che, in caso di bisogno, le sostenga dal punto di vista psicologico, legale e pratico. Al loro fianco molte cittadine e molti cittadini, le associazioni e reti femministe di città come La Ragna-Tela che proprio ieri pomeriggio, nell’affollatissima aula magna della facoltà di Scienze Politiche, ha promosso un convegno su “La violenza istituzionale nei confronti delle donne”: un modo per evidenziare come al di là della rappresentazione che ne viene fatta, esiste un filo che lega i vari tipi di violenza contro le donne che non è solo individuale, ma anche sociale e persino istituzionale. Perché, come hanno messo in rilievo le relatrici e le testimoni, è violenza istituzionale, una violenza sottile e subdola, frutto di una radicata cultura patriarcale, anche quella che impregna alcune pratiche e persino leggi, come quella iniqua che ha strappato otto anni fa, ancora piccolissima, la figlia alla maestra Ginevra Pantasilea Amerighi, presente al convegno con un video, accusata di alienazione parentale dal compagno che lei precedentemente aveva denunciato perché violento. Anche il ddl Pillon (per il momento stoppato) prevedeva che, in caso di separazione, il minore dovesse dividere il proprio tempo e la propria vita tra i due genitori anche quando non volesse stare dal padre perché lo aveva visto usare violenza alla madre e persino a se stesso; e questo fino a quando la Cassazione non avesse detto l’ultima parola sulla denuncia per violenza, cioè dopo anni. Ed è violenza istituzionale quella di uno Stato che, come nel caso della dottoressa Serafina Strano, non tutela una donna che svolge il proprio lavoro di notte alla guardia medica. O ancora, quella subita da Valentina Milluzzo, la giovane donna morta all’ospedale Cannizzaro di Catania di setticemia mentre non riusciva a partorire i suoi due gemelli. «Nessuno – hanno denunciato i suoi genitori Giusi Moschetto e Salvatore Milluzzo – le aveva prospettato che rischiava la vita, i medici, tutti obiettori, si sono rifiutati di praticarle l’aborto terapeutico che le avrebbe salvato la vita».


(La Sicilia, 26 novembre 2019)

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