31 Marzo 2016
Repubblica

L’addio alla regina dell’architettura Zaha Hadid: da Londra a Roma così ha disegnato il futuro

di Katia Ricciardi

Addio all’archistar Zaha Hadid: dal Maxxi di Roma al London Olympic Aquatic Centre

Prima donna a vincere il Premio Pritzker, che in architettura equivale a un Premio Nobel, si è spenta per un attacco cardiaco in un ospedale di Miami dove era in cura per una bronchite

MIAMI – Era la regina dell’architettura. Mondialmente riconosciuta. Una donna dagli occhi grandi e scuri, nata a Bagdad 64 anni fa e che ha lasciato tracce, forme, impronte perenni nelle città del pianeta. Viaggiava, si spostava continuamente, disseminando la terra di opere che univano il futuro, la sua visione, al rispetto del paesaggio. Non compromessi ma unioni di onde, strutture allungate, angoli, spazio fluido.

In Italia aveva lavorato moltissimo, suo l’edificio del Maxxi, il museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma inaugurato il 28 maggio 2010 in via Guido Reni, sulla base di un concorso bandito nel 1998. E il museo romano si è messo a lutto. Hadid aveva recentemente partecipato anche al concorso per la riqualificazione delle caserme nella stessa strada romana. “La scomparsa di Zaha Hadid è un lutto per il mondo della cultura e per l’Italia, paese al quale è legata per il forte segno architettonico del MAXXI di Roma – ha ricordato il ministro dei Beni e delle attività culturali e del Turismo, Dario Franceschini. “L’uso innovativo dei volumi e degli spazi che ha caratterizzato la sua architettura – prosegue – si è espresso al meglio in questo edificio, che ha seguito in ogni fase dalla progettazione alla costruzione introducendo nuove tecniche e materiali”. Tra i suoi lavori italiani c’era anche l’impegno nel quartiere City Life, l’ex Fiera di Milano: suoi uno dei centri residenziali, già ultimati, e una delle tre torri, in costruzione.

Nata a Bagdad il 31 ottobre 1950, poi diventata londinese, Zaha Hadid si è spenta oggi per un attacco cardiaco in un ospedale di Miami, dove era in cura per una bronchite. I suoi progetti, che uniscono architettura, arte e design, sono stati commissionati in tutto il mondo, da Hong Kong alla Germania e Azerbaijan. Suoi anche quelli del London Olympic Aquatic Centre, e il Trampolino di Bergisel e Innsbruck, in Austria. Il suo lavoro, il suo interesse era l’integrazione tra architettura, paesaggio e geologia, si serviva di tecnologie innovative, progettava forme architettoniche inaspettate e dinamiche. Immaginava.

Il suo talento è stato sempre riconosciuto. La sua visione è stata una danza nelle dimensioni dello spazio. Nel 2004 è stata la prima donna a vincere il Premio Pritzker, che in architettura equivale al Nobel. E’ un’esponente della corrente del decostruttivismo, è un membro del consiglio editoriale dell’Enciclopedia Britannica e ha ricevuto l’onore di una retrospettiva sulla sua opera al Guggenheim di New York, oltre che la laurea honoris causa presso l’Università americana di Beirut. I titoli sono infiniti, è considerata la regina delle forme.

Nel 2008 è stata classificata dalla rivista Forbes tra le 100 donne più potenti del mondo mentre per il suo stile il Guardian l’ha eletta tra le 50 persone più eleganti del pianeta. Per due anni consecutivi ha vinto anche il Premio Stirling: nel 2010 per una delle sue opere più celebri, il MAXXI di Roma, e l’anno dopo per la Evelyn Grace Academy, al 255 di Shakespeare Rd, Londra.

Il suo studio, lo Zaha Hadid Architects, dove lavorano 246 architetti, ha sede in un ex edificio scolastico vittoriano a Clerkenwell, Londra, ed è tra i più importanti studi di architettura del mondo: “E’ con grande tristezza che lo Zaha Hadid Architects conferma che ‘Dame’ (l’equivalente femminile del titolo di Knight, cavaliere, nel Regno Unito) Zaha Hadid, è morta improvvisamente a Miami nelle prime ore di questa mattina. Aveva contratto la bronchite all’inizio di questa settimana e ha avuto un improvviso attacco di cuore durante la degenza in ospedale”, scrivono sul sito ufficiale.

Zaha Hadid, continua l’elogio, “è il più grande architetto donna di oggi”. Il resto è la descrizione di una vita. Gli studi di Matematica all’Università americana di Beirut, poi il suo viaggio nel mondo dell’architettura iniziato nel 1972 presso l’Architectural Association di Londra. La città che l’adotta ma non riesce a fermarla tra le sue strade. Però è qui che Hadid stabilisce il suo studio nel 1980, insieme a Rem Koolhaas ed Elia Zenghelis fino al 1987, e inizia a ottenere una reputazione in tutto il mondo per le sue opere teoriche innovative tra cui The Peak a Hong Kong (1983), il Kurfürstendamm di Berlino (1986) e la Cardiff Bay Opera House in Galles (1994). Hadid ha anche progettato il Dongdaemun Design Plaza & Park a Seul (Corea del Sud) complesso che è stato inagugurato il 21 marzo del 2014.

Il riconoscimento internazionale arriva anche con il Vitra Fire Station a Weil Am Rhein, Germania (1993), oltre a quelli già citati ci sono l’Heydar Aliyev Centre a Baku (2013), il Rosenthal Center for Contemporary Art di Cincinnati (2003) e la Guangzhou Opera House cinese (2010), tutti esempi di una ricerca complessa che reinterpreta il concetto di spazio, progetto e, anche, di utilizzo dei materiali.

Una donna che combatteva per la sua arte e i suoi progetti. A gennaio aveva pesantemente accusato Kengo Kuma, titano dell’architettura nipponica, per lo Stadio Olimpico di Tokyo 2020. Hadid, il cui progetto, originariamente prescelto, era stato accantonato nel luglio scorso con la motivazione dei costi diventati eccessivi, ha sostenuto che Kuma avesse copiato il suo design sotto vari aspetti e si era rifiutata di firmare la cessione del copyright come richiesto dal Comitato Olimpico giapponese prima di erogarle il compenso finale, e che comunque la sua proposta fosse stata osteggiata fin dall’inizio dalla lobby dei designer locali. Nei mesi precedenti, invece, aveva strenuamente difeso un suo progetto di impianto sportivo, e il ruolo del designer. Era accaduto quando erano emersi i tragici dati, che parlavano di centinaia di decessi nei cantieri dei nascenti stadi dei Mondiali del Qatar (2022), uno dei quali porta la sua firma. “Non è responsabilità dell’architetto, ma dei governi”,- aveva ribadito con veemenza. In entrambi i casi erano arrivate polemiche con strascichi legali.

Ma la sua arte non ammetteva repliche. In occasione del suo ultimo riconoscimento, la Riba Royal Gold Medal che Hadid ha avuto nel 2016, prima donna a ricevere questo riconosciemento, ha detto di lei l’architetto britannico, Sir Peter Cook, “(…) sicuramente il suo lavoro è speciale. Se Paul Klee ha ‘passeggiato’ lungo una linea, Zaha Hadid ha trascinato le superfici scaturite da quella linea in una danza virtuale, poi le ha abilmente ripiegate su sé stesse, portandole in viaggio nello spazio”. Per poi concludere: “Diciamolo chiaramente, avremmo potuto assegnare la medaglia a un personaggio degno, confortevole. Non l’abbiamo fatto, abbiamo scelto Zaha: più grande della vita, una personalità straordinaria, spavalda e sempre vigile, pronta. La nostra eroina. Come siamo fortunati ad averla a Londra”. 

(Repubblica, 31 marzo 2016)

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