6 Febbraio 2020
Il Quotidiano del Sud

L’uccisione delle donne non si ferma

di Franca Fortunato


Nel mentre tre donne, tre ricercatrici, Concetta Castilletti, Francesca Colavita e Maria Rosaria Capobianchi, a cui va tutto il mio (nostro) plauso, lavoravano giorno e notte per isolare il coronavirus e salvare vite umane, altre donne, da nord a sud, venivano uccise tra le mura di casa. In due giorni, quanto le ricercatrici ci hanno messo per isolare il virus, ci sono stati cinque femminicidi. Fatima, 28 anni, all’ottavo mese di gravidanza, è stata trovata morta soffocata dal marito, con i segni di calci e pugni su tutto il corpo. Rosalia e Monica, madre e figlia, 48 e 27 anni, sono state uccise dall’ex amante, suicida, della mamma perché non accettava la fine della loro relazione. Rosalia, 54 anni, è stata massacrata di botte dal marito per tre giorni fino alla morte. Il corpo di Speranza, 50 anni, scomparsa a metà dicembre, è stato ritrovato dietro indicazioni del fidanzato omicida che, condannato all’ergastolo per un omicidio, si trovava in regime di semilibertà. Lauretta, 52 anni, è stata trovata in una pozza di sangue, accoltellata dall’ex marito che ha tentato il suicidio.

Che cosa lega queste donne alle ricercatrici? Il comune desiderio di decidere liberamente della propria vita, di vivere per dare o salvare vite umane e non per dare la morte. I loro assassini sono gli stessi di sempre, mariti, fidanzati, amanti o ex, che temono o non accettano di essere abbandonati, non si rassegnano alla separazione e, dopo continue violenze, decidono di uccidere la donna che dicono di amare. Questo non è amore. Non c’è niente di istintivo, non c’è raptus, follia, dietro a un femminicidio, ma la volontà di dominio e di possesso. Altro che amore criminale, amore malato! Altro che “delitto passionale”, “raptus amoroso” con cui alcuni giornali e trasmissioni televisive continuano a raccontare i femminicidi! Sono uomini “comuni”, figli di quell’ordine sociale e simbolico patriarcale, consolidato storicamente dagli uomini, che le donne hanno fatto a pezzi, rivoluzionando i rapporti tra i sessi, dentro e fuori la famiglia.

La violenza sulle donne, di cui il femminicidio è l’atto estremo, è il segno più drammatico di quella rivoluzione. Gli uomini si sentono disorientati, confusi, minacciati dalla libertà femminile e non comprendono, invece, che può essere un’occasione per rendersi liberi da paure e condizionamenti, se solo imparassero a riconoscerla e ad accettarla. Moltiplicare le leggi, inasprire le pene, firmare convenzioni internazionali, non serve a niente, se gli uomini non cambiano. «La violenza non finirà mai – scrivevano nel 2006 gli uomini dell’associazione Maschileplurale – se non cambiamo noi uomini. La violenza contro le donne è un problema nostro, di noi uomini. Dobbiamo rendercene conto e farcene carico, perché non basta sentirci non colpevoli e condannare la violenza che fanno altri.» Da allora molti sono cambiati, grazie anche al lavoro di quegli uomini, ma non abbastanza da fare cessare né la violenza né i femminicidi (nel 2017 le donne uccise sono state 131, 135 nel 2018, 103 nel 2019). Se la libertà femminile ha continuato a diffondersi come un virus, generando il #Metoo e le grandi manifestazioni di donne, in Italia e in tutto il mondo, contro la violenza e i femminicidi, gli uomini, collettivamente, tardano a farsene carico e a responsabilizzarsi. La strada è ancora lunga, siamo solo all’alba di una “nuova civiltà” dei rapporti tra i sessi, la sola che può porre fine alla violenza sulle donne e ai femminicidi.


(Il Quotidiano del Sud, 6 febbraio 2020)

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