5 Giugno 2019
Metro

Ma quella telecamera all’asilo per me è una sconfitta

di Maurizio Baruffaldi


L’occhio di una telecamera entrerà a breve negli asili e nelle case di cura per anziani e disabili. Ci sarebbe da esultare, per la prima legge votata bipartisan, quelle per il bene del paese, invece è una sconfitta. L’ennesima di questo modo di pensare che dilaga: ti controllo, e se ti becco la paghi cara.

Certo, abbiamo scoperto crimini infami, odiosi, verso minori e anziani non autosufficienti; ma sarà un soggetto su migliaia, tra quelli che fanno quel mestiere difficile, sfinente, che richiede grande empatia ed equilibrio. E quell’unica volta risuona come un terremoto. Stimola la bava della vendetta. Ormai non c’è più la realtà, ma piccole esplosioni che la sommergono di false emergenze. Ci si batte il petto per una leggina da puarètt. Ma si sa: chi non ha niente da dare, toglie. Soffoca. La spada di Damocle della videosorveglianza insegna soltanto una cosa: ad avere paura dell’intimità. Non mi sfregherò le uova con la parola privacy, svuotata dall’abuso, troppo inglese e snob per raccontare quello che è invece una sfera personalissima e fragile. Tu non puoi osservarmi h24 e basta. Perché così smetto di esistere per quello che sono, ma recito, anche involontariamente, come dentro quel baraccone del Grande Fratello.

Ma che caspita di vita è, quella di chi si muove sotto un occhio che ne spia ogni movimento, ogni minimo gesto? Lo scrivo, ma so benissimo che ormai la strada è quella. Tutto è sorvegliato. Oltre al visibile delle telecamere c’è l’invisibile dei nostri dati in pasto libero ai cannibali della rete. E non tiriamo fuori la stronzata che se non hai niente da nascondere non devi preoccuparti. Ogni cosa che ti racconta è tua. E solo tu puoi scegliere di raccontarla.


(Metro, 5 giugno 2019)

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