11 Gennaio 2019
Left

Rifondiamo l’Europa delle città

di Steven Forti e Giacomo Russo Spena – da Barcellona

«Il sindaco di Riace rappresenta i valori della migliore umanità possibile e dimostra concretamente la forza del municipalismo, contro i vari Salvini, Trump e Le Pen», dice la prima cittadina di Barcellona, Ada Colau. E avanza le sue idee per una sinistra che sappia riformare il Vecchio Continente: puntare sulle realtà urbane e sulla partecipazione delle donne

 

«Il municipalismo è la chiave di svolta perché è dalla prossimità che si possono realizzare processi di cambiamento in base a obiettivi comuni: è dall’esperienza reale, non dal confronto retorico, che si smontano i discorsi dell’estrema destra». Ada Colau, sindaca di Barcellona, sta diventando personaggio internazionale.

Recentemente è stata negli Usa a discutere di “internazionale progressista” con Yanis Varoufakis e Bernie Sanders, intanto sta stringendo la rete delle città “ribelli” perché convinta che il cambiamento, in Europa, passi per il ruolo centrale della città e per il femminismo: «Sono due tematiche legate tra loro».

Non possiamo esimerci dall’iniziare dalla proposta – sostenuta da Left – di candidare Riace a Nobel per la pace, proposta che si è precisata dopo che inizialmente era il sindaco Mimmo Lucano il candidato al riconoscimento. Lei è stata a Riace, la scorsa estate, per un dibattito e ha avuto modo di conoscerlo di persona. Cosa pensa di questa idea?

Considero necessario qualunque riconoscimento che si possa dare a Lucano perché la storia di Riace dimostra che, dal basso e con poche risorse, si possono realizzare cose importantissime se c’è onestà e si prende la decisione etica e politica di restare umani, senza piegarsi alla disumanizzazione imperante.

Per questo Salvini ha convertito Lucano nel suo nemico numero uno, perché riconosce la potenza delle sue azioni. Quando sono stata in Vermont con Bernie Sanders, ho parlato a tutti dell’esperienza di Riace perché lui – oltre a rappresentare universalmente i valori della migliore umanità possibile – è la dimostrazione concreta della forza del municipalismo: si possono fare molti discorsi sull’odio e sulla paura, però Lucano ha dimostrato nella pratica che l’accoglienza non è un problema ma che, quando è ben fatta, è persino una ricchezza e porta a migliorare la vita di tutti i cittadini, non solo dei migranti. Questo smonta completamente il discorso dei vari Salvini, Trump e Le Pen.

Le recenti elezioni in Andalusia dimostrano come anche in Spagna avanzi la peggior destra.

È d’accordo con Pablo Iglesias quando parla di “fronte democratico” per fermare il populismo nero?

La realtà che stiamo affrontando è complessa e bisogna evitare risposte manichee o ricette magiche. Abbiamo bisogno di serenità per capire cosa sta succedendo.

Io ho detto sempre che non c’è democrazia senza antifascismo. E ne sono ancor più convinta adesso perché la democrazia nasce dall’antifascismo. Però credo che anche in termini strategici, ora, non sia utile contrapporre bandiere antifasciste all’estrema destra che avanza perché si finisce solo per rafforzarla. I Trump, i Bolsonaro e i Le Pen si sentono orgogliosi di essere tacciati di fascisti. Quindi ritengo che la cornice organizzativa e la narrativa di coesione non debba girare attorno all’antifascismo.

Allora, quale dovrebbe essere?

Quando abbiamo lanciato Barcelona en Comú, ci siamo domandati se aveva senso presentarci alle elezioni spagnole e, dopo averci pensato molto, abbiamo preferito scommettere sul municipalismo, presentandoci alle comunali. Dopo quasi quattro anni al governo della città, siamo ancora più convinti che il municipalismo sia più importante che mai. Non solo perché le città sono sempre più attori cruciali nel mondo globale, pensiamo al cambio climatico o alle disuguaglianze, ma soprattutto perché le città sono il luogo della prossimità, della vita quotidiana, dove l’Altro non è un’astrazione, ma è il mio vicino di casa, lo conosco. So che siamo diversi, perché è nato in un’altra nazione o ha una cultura differente, ma non vivo ciò come una minaccia perché, alla fine, portiamo i nostri figli alla stessa scuola, facciamo la spesa negli stessi negozi, ci organizziamo insieme nel quartiere quando sussiste un problema. È nella vita di tutti i giorni che si pratica il cambiamento. E il luogo dell’esperienza, per eccellenza, è la città.

In tutto il mondo crescono i movimenti di donne che reclamano diritti e cambiamento. Il femminismo può essere la risposta?

Senza alcun dubbio. Questo è il secolo delle città e delle donne. Il femminismo è legato a doppio filo al municipalismo perché propone cambiamenti che devono prodursi nell’ambito della vita. Il personale è politico e la politica patriarcale si occupava solo della macropolitica e la gran parte della nostra vita rimaneva invisibile: le cure, la riproduzione erano di competenza prettamente delle donne mentre gli uomini attuavano la politica vera e propria. Credo che questo sistema sia chiaramente in crisi ed è un’opportunità per tutti, donne e uomini.

L’estrema destra ottiene consensi però anche per reagire a questi cambiamenti. È antifemminista e omofoba.

È vero, fa parte della normale dialettica della politica: quando c’è un processo di cambiamento, chi è privilegiato, chi ha il potere, si sente minacciato e si oppone. Ma ci sono anche molti uomini che vedono nel femminismo un’opportunità perché non piace quella maschilità che gli hanno imposto. Dobbiamo difendere un femminismo che sia inclusivo ed empatico, che non disprezzi la diversità, ma che la veda come una ricchezza.

Un femminismo che sia antirazzista, anticoloniale, antiomofobo, che sappia creare ponti tra le diverse lotte che hanno in comune l’uguaglianza, la libertà, i diritti umani. E che abbia anche un messaggio positivo per gli uomini. Dobbiamo lavorare su questo, affinché nessuno si senta minacciato.

Cosa dice del “sovranismo democratico”? Il ritorno alla patria può avere anche una declinazione di sinistra?

Sono stata antinazionalista tutta la mia vita. Non è un caso che sia municipalista. Credo nel governo della gente, il che non significa disprezzare fattori identitari come la cultura, la tradizione o la lingua. Bisogna preservarli e valorizzarli.

L’asse su cui ruota la costruzione di un progetto collettivo non deve essere la patria o la nazione, ma un progetto di convivenza per il futuro che vogliamo, un progetto democratico dove la diversità sia benvenuta perché ci arricchisce. Questa è la mia posizione personale: mai ho parlato in termini di patria e non credo che inizierò a farlo ora.

Il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, sembra abbia deciso di presentarsi alle Europee 2019. Le sembra una buona notizia per l’Italia e per le future alleanze?

L’Italia è un Paese di una ricchezza culturale, umana e politica enorme, da cui ho imparato moltissimo.

Mi rattrista constatare come ci sia un mondo sociale e progressista profondamente depresso prima per l’avvento di Berlusconi ed ora per Salvini. Ma non possiamo permetterci il lusso di deprimerci. Qualunque notizia che indichi il tentativo di rilanciare un progetto alternativo di trasformazione e che crei un orizzonte di speranza non può che essere positiva.

Parla costantemente di Europa dei diritti e dei popoli. Nel concreto, come si resiste ai diktat della Troika? Come si costruisce un’altra Europa all’interno della “gabbia” di Maastricht?

Non è facile, lo so bene. L’Unione Europea non si è costruita bene perché si è unita al processo neoliberista globale: si è costruita un’Europa dall’alto, tecnocratica, che ha facilitato le disuguaglianze. Sarebbe però un errore dare l’Europa per persa. Se critichiamo che la Troika ha costruito dall’alto un’Europa che non rappresenta la maggioranza della popolazione, allora è la maggioranza della popolazione che deve ricostruire l’Europa.

Eh, ma come?

Non dobbiamo chiedere a un’istituzione che si autoriformi.

Non possiamo delegare, dobbiamo farlo noi dal basso. Anche su questo credo che il municipalismo sia la chiave perché ha il valore delle pratiche e delle esperienze concrete. Dalle città stiamo dimostrando che possiamo gestire l’energia e i beni comuni in un altro modo, che lottiamo contro l’inquinamento, che guadagniamo spazio per le persone, che si possono fare politiche di accoglienza.

Sono fermamente convinta che le città abbiano un ruolo cruciale nell’opportunità di democratizzare e reinventare l’Europa dal basso.

Cosa dice del “sovranismo democratico”? Il ritorno alla patria può avere anche una declinazione di sinistra?

Sono stata antinazionalista tutta la mia vita. Non è un caso che sia municipalista.

Credo nel governo della gente, il che non significa disprezzare fattori identitari come la cultura, la tradizione o la lingua. Bisogna preservarli e valorizzarli.

L’asse su cui ruota la costruzione di un progetto collettivo non deve essere la patria o la nazione, ma un progetto di convivenza per il futuro che vogliamo, un progetto democratico dove la diversità sia benvenuta perché ci arricchisce. Questa è la mia posizione personale: mai ho parlato in termini di patria e non credo che inizierò a farlo ora.

Il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, sembra abbia deciso di presentarsi alle Europee 2019. Le sembra una buona notizia per l’Italia e per le future alleanze?

L’Italia è un Paese di una ricchezza culturale, umana e politica enorme, da cui ho imparato moltissimo.

Mi rattrista constatare come ci sia un mondo sociale e progressista profondamente depresso prima per l’avvento di Berlusconi ed ora per Salvini. Ma non possiamo permetterci il lusso di deprimerci. Qualunque notizia che indichi il tentativo di rilanciare un progetto alternativo di trasformazione e che crei un orizzonte di speranza non può che essere positiva.

(Left, 21 dicembre 2018)

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