4 Aprile 2019
Corriere della Sera

Una suora al Gratosoglio

di Massimo Rebotti


Forse è la prima volta che una suora produce un film ma qui è successo: Who’s Romeo, girato grazie a suor Elisabetta del Centro culturale Asteria, mette in scena sei adolescenti del Gratosoglio alle prese con Shakespeare — e con le loro vite di ragazzi.

Il risultato promette bene: ancora non uscito nelle sale (solo l’anteprima al Cinemino), è già selezionato per rappresentare Milano in due festival internazionali (Swindon Independent e Port Orchard). «Abbiamo girato 70 ore, tantissimo: e quando, dopo due anni, le riprese sono finite, quel periodo mancava già a tutti», racconta il regista Giovanni Covini.

Come a volte accade, la scintilla si è accesa per caso: «Abito vicinissimo al Centro Asteria che aggrega giovani di diverse religioni ma mi sono deciso a entrare solo nel luglio 2016: un uomo alla guida di un autocarro aveva appena travolto la folla sulla Promenade des Anglais, a Nizza. La “guerra di civiltà” era sbarcata sul lungomare più romantico d’Europa — ricorda —. Sentivo il bisogno di parlare con giovani cristiani e musulmani insieme. E ho conosciuto suor Elisabetta che da 17 anni, attraverso attività culturali di tutti i tipi, fa proprio questo, crea occasioni per un incontro».

È stato subito sodalizio, e al regista è venuta l’idea: un docu-film con quegli adolescenti come protagonisti e il contrastato amore tra Romeo e Giulietta come pretesto per far emergere le loro vite, le loro storie. «Pensavamo a un film sul tema inter-religioso, in testa avevamo un messaggio pedagogico: l’integrazione, il dialogo. Ebbene, durante le riprese i ragazzi ci hanno spiazzato e hanno cambiato tutto», sintetizza suor Elisabetta.

Rilancia il regista: «La vita va per conto suo, si impone sul messaggio. Li abbiamo lasciati liberi di parlare dei loro veri problemi. Abbiamo constatato che una religione diversa, nei rapporti tra ragazzi, non lo è». La realtà ha fatto il resto: «Preferisco una macchina da presa che segue in un modo imperfetto la realtà così com’è piuttosto che situazioni addomesticate al servizio della macchina da presa», continua Covini.

Non c’era un copione, dunque, solo spunti che nascevano man mano. A condurre gli adolescenti, l’attrice bravissima Valentina Malcotti. A volte le risposte sono esilaranti («Di primo acchito ti è piaciuto Shakespeare?». «No». «Ma sinceramente». «No». Oppure: «Che pensi dell’autore di Romeo e Giulietta?» «Mmm, non ho niente contro di lui», «Nella storia cosa accade?» «Beh, si vedevano di nascosto finché uno dei due si suicida per primo, anzi no, in realtà dormiva, insomma non lo so chi è morto per primo»). Nel film si susseguono interventi sorprendenti, spesso illuminanti — un poeta, una donna ufficiale di polizia, una educatrice musulmana. Ma al centro ci sono sempre questi ragazzi che sul set si sono incontrati e anche ora, due anni più grandi, si frequentano al Gratosoglio. Rappresentano il mondo intero: Valentina Bogdan, papà rumeno mamma brasiliana, Marilyn Adjalo, origini del Togo, Leonardo Carralero, nato a Cuba, Assala Chahoub, radici in Marocco, Jacopo Cremona, milanese doc, e Laila Migdadi, mamma italiana, papà palestinese. Fanno squadra ormai.

E alla fine le conclusioni le traggono loro: «Essere curiosi preserva dalla trappola del giudizio», diceva l’educatrice musulmana? «È quando perdi la curiosità, l’urgenza di conoscere, che cominci a giudicare — convengono loro — Possiamo smontare il racconto della distanza, della paura, solo frequentandoci da vicino». Insomma, umanizzandoci l’un l’altro.


(Shakespeare e i ragazzi di periferia, Corriere della sera, 4 aprile 2019)

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