29 Aprile 2019
El Pais

Verso un governo femminista

di Octavio Salazar


Yes, I am a feminist. La maglietta esibita da Carmen Calvo la scorsa notte elettorale non era solo la perfetta sintesi di una delle chiavi della giornata ma anche, spero, una vera e propria dichiarazione di intenti rispetto alla prossima formazione del governo. Credo che nessun analista serio, se non è dominato dallo sguardo androcentrico e sessista, ossia antifemminista, possa ignorare che in questo processo elettorale è stata decisiva la mobilitazione delle donne. Il femminismo ci ha di nuovo dimostrato di essere il movimento sociale più vivo, progressista e attrattivo del XXI secolo.

La capacità delle donne femministe di creare reti, di trasformare in agire politico il proprio senso della giustizia e di mettere a fuoco con lenti precise il nemico patriarcale da battere, è stata cruciale nella sconfitta della destra e nel trionfo del socialismo. Di un partito il cui segretario generale ha avuto la lucidità e l’impegno di saper ascoltare e tenere presenti le rivendicazioni di tutta una genealogia femminista senza la quale ciò che ora stiamo vivendo sarebbe impossibile. Proprio ciò che la destra ha negato con violenta militanza.

In questi giorni di campagna leggevo un paio di magnifici libri in cui si analizza il potere rivoluzionario dell’ira delle donne: Buenas y enfadadas [Buone e arrabbiate], di Rebecca Traister (Capitán Swing) e Enfurecidas [Infuriate], di Soraya Chemaly (Paidós). Nei due testi si spiega come il patriarcato ha costantemente represso l’espressione della rabbia e dell’ira femminili, al punto che quando una donna ha manifestato espressioni di veemenza o assertività, queste hanno giocato contro di lei.

La vita politica è piena di magnifici esempi di come i valori che nei leader maschili sono stati considerati un di più, nelle donne hanno costituito un di meno. È ora, come segnalano le due autrici, che le democrazie assumano il valore nutritivo dell’ira delle donne. È evidente che quella che alcune compagne femministe non esitano a definire come quarta ondata femminista si alimenta, in grande misura, della rabbia delle donne del mondo, del loro essere stufe di fronte al maschilismo pubblico e privato, della loro indignazione per lo sfruttamento dei loro corpi e delle loro capacità, della loro stanchezza davanti alla costante cancellazione da parte di alcune leadership che continuano a rispondere a ciò che Celia Amorós chiama “patti giurati” tra maschi. Le donne hanno cominciato a dire basta, facendo diventare globale e presente la loro giusta impazienza, la loro militanza radicale contro le ingiustizie di sesso e il loro sguardo progressista di fronte a proposte, quelle maschiliste e neoliberiste, che guardano al passato.

Questa ira, che in Andalusia abbiamo sentito in maniera palpabile nei confronti di un tripartito fondato su discorsi che pretendono di annullare tutti gli avanzamenti in materia di uguaglianza, è stata decisiva in una Spagna che, oltre ai problemi territoriali, che tanto piacciono a maschietti ostinati a dimostrare che la politica è una competizione di ego, sembra aver chiaro che senza giustizia sociale la convivenza non è possibile. E che alla base di tale giustizia non può esserci altro che l’uguaglianza dei sessi e una concezione del potere e dei diritti in cui finalmente donne e uomini siano considerati equivalenti. Un orizzonte che, insieme alla sfida della sostenibilità del pianeta, dovrebbe segnare l’agenda immediata di qualunque buon governo.

Da uomo impegnato per l’uguaglianza, non posso che ringraziare le donne che in queste settimane non hanno mai smesso di aprirci gli occhi e di offrirci una lettura “viola” di quello che noi giocavamo in realtà. Senza di loro, senza il loro instancabile lavoro di ribellione di fronte a ciò che sembrava inevitabile, senza la loro capacità di generare abbracci persino in territori dove potrebbero esserci discrepanze, i risultati delle elezioni sarebbero stati altri. Una vera e propria lezione di democrazia che dovrebbero imparare i partiti politici e molto specialmente noi, gli uomini, così ostinati a mantenere il pubblico come un territorio in cui le donne posso essere solo seconde.

Adesso resta il compito più complesso ma anche più appassionante. C’è da formare il governo e definire le linee di quelle che saranno le politiche pubbliche nei prossimi quattro anni. Un compito in cui confido che il Psoe [Partito socialista operaio spagnolo] si mantenga fedele al suo percorso di impegno per l’uguaglianza e non esiti a prendere sul serio, finalmente in questo paese, il mainstreaming di genere. Che vuol dire che l’uguaglianza di donne e uomini dev’essere l’asse portante di tutte le politiche pubbliche e che pertanto qualunque pratica, atteggiamento o comportamento che implichi sfruttamento o discriminazione delle donne dovrà essere perseguito. Da qui alcuni fili rossi che il programma elettorale del Psoe marcava con forza – prostituzione, utero in affitto – e da qui anche l’urgenza che il genere sia detonatore di politiche economiche che contribuiscano a smantellare il sistema sesso/genere.

Un vero e proprio programma di emancipazione degli esseri umani, donne e uomini, è quello che il femminismo va portando avanti da più di tre secoli e che adesso, in questa Spagna così imperfetta ma anche ammirevole per tante cose, abbiamo l’opportunità di concretizzare in misure che redistribuiscano beni e risorse in una prospettiva di genere, che limitino per quanto possibile le grinfie predatrici dell’homo economicus e che rendano pubblica l’etica della cura di cui abbiamo tanto bisogno per sostenere il pianeta. Speriamo dunque che il femminismo diventi prassi nel palazzo del governo e dintorni. Ne va del futuro della democrazia, e della vita del pianeta.


(Traduzione dallo spagnolo di Clara Jourdan. Hacia un gobierno feminista, El País, 29 aprile 2019)

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