2 Ottobre 2018
il manifesto

Viva le americane

di Luca Celada

Women’s Power. A poco più di un mese dalle elezioni di mid-term, dove saranno ben 185 le donne in lizza, le audizioni del giudice Kavanaugh confermano che quello sul patriarcato è un cruciale scontro politico e culturale

Con l’approssimarsi delle elezioni per il congresso che potrebbero ridimensionare lo strapotere dei repubblicani, attuali padroni assoluti di esecutivo, parlamento e tribunali – e che saranno il primo effettivo referendum su Donald Trump – la battaglia sulla nomina di Brett Kavanaugh alla corte suprema cristallizza le lacerazioni esasperate dal trumpismo e la crisi strutturale della nazione. È significativo soprattutto che l’opposizione a un fondamentale tassello della restaurazione reazionaria (la blindatura della corte suprema) abbia preso la forma di una denuncia di soprusi da parte di una donna contro un maschio designato al potere (quasi assoluto) di una carica a vita.

Sin dall’avvento di Donald Trump, insediato malgrado una sconfitta nel voto popolare di oltre 3 milioni di preferenze, sono state le donne a prendere l’iniziativa più coordinata e inequivocabile. Le milioni di persone portate nelle piazze di tutta America dalle women’s march aveva chiarito subito la natura dell’opposizione più organizzata al nuovo regime. Una lotta motivata sia dal concreto pericolo di regressione su aborto e pari opportunità che dal valore simbolico della vittoria di un presidente misogino e predatore confesso sulla prima candidata donna.

Il movimento politico delle donne emergeva sullo sfondo di quello concomitante di #metoo contro gli abusi sistemici, prima a Hollywood, e poi in tutto il mondo del lavoro, uno dei più significativi sviluppi femministi dell’ultimo mezzo secolo che indicava un profondo mutamento culturale e generazionale. La leggerezza con cui questo movimento è stato valutato (ad esempio e soprattutto in Italia) [falso! ndr] come semplice questione tecnico-giuridica attinente alle responsabilità dei singoli ha semplicemente sottolineato l’incapacità dei dispositivi egemonici del potere di comprendere ciò che stava avvenendo.

Ventisette anni dopo le accuse di molestie al giudice ultrareazionario Clarence Thomas da parte di Anita Hill (nel 1991 Thomas venne comunque confermato alla Corte suprema) il caso speculare di Ford/Kavanaugh promette di misurare il progresso concreto sulla questione patriarcale divenuta nel frattempo parametro fondamentale dello scontro politico in atto (solo nell’ultimo anno 19 politici sono stati dimissionati in seguito ad accuse di abusi sessuali). La pusillanime decisione dei repubblicani di assumere una procuratrice «femmina» per interrogare la teste Christine Blasey Ford (ed evitare il danno iconografico di un consesso di anziani maschi bianchi riuniti a giudizio di una vittima donna) è stata cinica quanto indicativa di una nuova coscienza della pubblica percezione.

Ad oggi di fronte all’attacco concertato delle forze reazionarie su classe, razza e parità, solo il movimento delle donne ha dimostrato di riuscire ad opporre una resistenza politicamente efficace.

Alle elezioni di novembre saranno ben 185 le donne a candidarsi (143 democratiche e 42 repubblicane: un record). E dietro la generazione delle Clinton e Nancy Pelosi (presidente della camera), Feinstein e Maxine Waters (senatrici storiche) emerge una nuova classe di leader: Kamala Harris ed Elizabeth Warren (papabili alla presidenza), la parlamentare progressista Tulsi Gabbard e le nuovissime leve: le “socialiste” Alexandria Ocasio-Cortez e Rashida Tlaib parte della nuova onda di candidate. Giovani donne – come Emma González e Yolanda King, nipote di Martin Luther King – sono protagoniste infine anche nel movimento studentesco contro le armi.

Per queste ragioni lo scontro politico su Brett Kavanaugh rappresenta un momento storico che potrebbe segnare una svolta nella attuale deriva autoritaria e antidemocratica in America e oltre. L’esito del contenzioso dirà molto sull’effettivo progresso ottenuto da un movimento nazionale (e transnazionale – vedasi la marcia delle donne brasiliane contro il golpe strisciante in quel paese). In virtù dell’attuale monopolio di potere i repubblicani giocano ancora da una posizione di forza. Ma se pure dovessero alla fine riuscire ad imporre il loro uomo potrebbero alla fine pagare un caro prezzo politico a novembre.

(il manifesto, 2 ottobre 2018)

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