23 Febbraio 2017

Donne e popolo: la strana coppia in tempi di populismo. Un contributo

Intervento al convegno Donne e popolo: la strana coppia in tempi di populismo, Verona 12 novembre 2016

di Luciana Tavernini


Ho pensato di contribuire all’idea di questa scuola di alta formazione, cogliendo l’invito di Annarosa Buttarelli a tenere insieme percorsi di donne che si intrecciano e dovrebbero lievitare. Sento che circola in varie forme l’esigenza di trarre dall’esperienza delle donne pensiero-teoria-simbolico (non formalizziamoci sui termini, se questi devono essere divisori) e mi vengono in mente tre letture che ho fatto in questo periodo.

Penso al libro di Vita Cosentino, Scuola. Sembra ieri, è già domani. L’autoriforma come trasformazione della vita pubblica, a cura di Marina Santini e Alessio Miceli (Moretti & Vitali, Bergamo 2016, pp. 282, E. 18.00), inserito nella collana, curata da Annarosa, legata al pensiero dell’esperienza; al libro di Luisa Pogliana sulle manager Esplorare i confini. Pratiche di donne che cambiano le aziende (Guerini Next, Milano 2016, pp.142, E. 17.00) e all’e -book di Franca Fortunato, intitolato Sai chi è Lina Scalzo? (e-Quaderni di Via Dogana, Libreria delle donne, Milano 2016, pp. 22, scaricabile gratuitamente).

Che cosa hanno in comune questi libri? Il metodo per creare simbolico e riflettere sulla complessità di un’esperienza lavorativa in un contesto specifico per vedere come la politica delle donne ha trasformato questo contesto e può trasformarne altri. Un metodo che fa del riflettere, parlare e scrivere del proprio lavoro con almeno un’altra un impegno politico per non restare nella narrazione già data.

Vita Cosentino ha lavorato sempre prioritariamente insieme ad altre, riflettendo e scrivendone per oltre venticinque anni. È riuscita così a mostrare come l’irruzione della soggettività femminile consapevole produce cambiamenti. Nel libro propone con brevi introduzioni e organizzandoli per temi, quei testi, scelti in relazione con due altri insegnanti, Marina Santini e Alessio Miceli, che mostrano della sua esperienza quanto è ancora valido oggi. Riesce così a farci cogliere, proprio per il preciso e appassionato lavoro simbolico, l’originalità e la forza della politica delle relazioni per tutte e tutti. Mi sembra che qui diverse abbiano proposto questa modalità di riandare e rivisitare l’esperienza del passato, penso all’intervento di Luana e di Oriella.

Luisa Pogliana, dirigente per tanti anni, si era resa conto che usava modalità diverse di dirigere, per questo aveva scritto libri sulla sua esperienza come Donne senza guscio, creando poi con altre l’omonima associazione (www.donnesenzaguscio.it). Tenendo contatti con le dirigenti di varie aziende ha proposto una pratica di riflessione sul loro modo di lavorare, mettendo in parole una teoria del management che mostra come alla base di soluzioni innovative vi sia una diversa concezione non solo del modo di dirigere un’azienda ma dell’azienda stessa. In quest’ultimo libro lo fa proponendo parecchie esperienze, scelte di volta in volta come esempio di attuazione di un criterio, di un orientamento. Spesso queste manager le hanno detto: “Tu mi fai vedere quello che io ho fatto, ma che non vedevo e che gli uomini intorno a me riducevano al buon senso della casalinga, senza cogliere la trasformazione dell’azienda”.

Il terzo libro è l’intervista a Lina Scalzo che ha lavorato per quarant’anni in ambito assistenziale con donne disabili e anziane e, attraverso la relazione con Franca Fortunato, è riuscita a vedere trasformazioni e contraddizioni di quest’ambito e le invenzioni di alcune donne per intervenire. È andata al cuore dei problemi che toccano la cura, indicando pratiche che mettono in discussione le modalità neutralizzanti e aziendalistiche che sembrano rendere i servizi più efficienti ma stanno pericolosamente disumanizzando “gli utenti”.

Oltre alla modalità di creare simbolico, nei tre libri vi sono alcune indicazioni comuni.

Tutte queste donne ci dicono che non sono importanti i ruoli ma le relazioni. Io non ho il ruolo di insegnante, ma ho la responsabilità dell’insegnante. So delle cose, dunque c’è una differenziazione tra me e alunne ed alunni, ma non ruoli stabiliti e rigidi. I ruoli vanno scardinati, il sapere si fa insieme: trovare le soluzioni ai problemi, come ha detto prima Luana, nasce dall’aprirsi al dialogo con altre e altri che sono lì. Non sono io la dirigente che impongo la soluzione, non sono l’insegnante che sa già tutto quello che va bene per te, non sono io l’assistente che sa quello che deve essere fatto per te, ma mi metto in dialogo. Così le altre mi insegnano, per esempio, come fare per rispettare l’altra, l’altro; non si tratta di avere davanti un utente, ma donne e uomini in carne e ossa.

Un’altra indicazione è che il desiderio di benessere personale non è un elemento separato da ciò che si fa nel proprio lavoro. Se io metto in gioco il mio benessere personale, trovo insieme ad altre e altri le soluzioni. Faccio solo un piccolo esempio: in ambito dirigenziale arriva un momento in cui se vuoi diventare mamma “o lo fai o non lo fai”. La logica aziendale impone l’aut-aut, tu devi essere per l’azienda. Una dirigente, non volendo rinunciare alla maternità, ha impostato con le persone a lei erano sottoposte un discorso sul lavorare insieme, sul generare sapere e soluzioni insieme, ha creato un senso di responsabilità condivisa, sviluppando e riconoscendo, anche economicamente, il contributo di ognuna. “Non sono io la dirigente che dirige e sa già tutto, ma ciascuna/o è in grado di fare scelte in modo che durante la mia assenza per maternità il gruppo di lavoro continui a lavorare e da casa io possa continuare a tenermi in relazione.”

C’è dentro anche un discorso di fiducia e riconoscimento. Questo è un altro elemento: si lavora non con una gerarchia rigida, ma con una circolarità dell’autorità che significa visibilità e riconoscimento. Il gruppo ha funzionato bene e, quando la dirigente è tornata, non le è stata tolta la scrivania, come succede spesso, ma le è stato chiesto di portare avanti questa modalità partecipativa all’interno dell’azienda. Vi è riuscita anche perché ha saputo nominare il cambiamento che aveva creato nella struttura aziendale.

Dunque la necessità, oggi più che mai forte, di riuscire a fare teoria – creare simbolico – mettere in parole il nuovo che le donne vedono e fanno nel mondo del lavoro.

Penso che la scuola di alta formazione si muova in questo senso.

(trascrizione a cura di Alessandra De Perini)


(www.libreriadelledonne.it, 23 febbraio 2017)

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