11 Giugno 2019
#VD3

Fare di necessità libertà, in rete – Ilaria Durigon

Introduzione alla Redazione allargata di Via Dogana 3, Fare di necessità libertà, in rete, domenica 2 giugno 2019

I tempi sono cambiati ma c’è qualcosa che non cambia mai

di Ilaria Durigon

Uno

Ho accolto con piacere l’invito di Laura Colombo di partecipare a questo incontro sulle trasformazioni digitali e la politica delle donne sollecitata dal tema ma, soprattutto, dal desiderio di tornare in Libreria dopo tanto tempo. Ho pensato che questo dovesse essere il mio punto di partenza: i tempi sono cambiati ma c’è qualcosa che non cambia mai. C’è qualcosa nella presenza che è irriducibile, che non può essere cancellato e che a che fare con l’umano.

Due

La mia compagna lavora in una società che si occupa di tecnologie digitali che offrono servizi per le pubbliche amministrazioni e per il settore privato. I tipi di servizi che vengono offerti riguardano la registrazione e la trascrizione di assemblee, consigli di amministrazione, assemblee comunali, regionali, provinciali fino alla Camera dei deputati.

Fino a qualche anno fa questo tipo di lavoro consisteva in un “servizio in presenza”, era impensabile pensare di erogare il servizio senza avere almeno due persone presso il cliente – spesso contrattualmente si prevedevano clausole di “elezione di domicilio” presso l’ente che dotava di un ufficio fisico presso cui risidere – c’era cioè sempre qualcuno – un tecnico e una stenotipista o una trascrittrice – che svolgeva il lavoro direttamente nella sede del lavoro.  

Con lo sviluppo delle tecnologie questo tipo di presenza è diventata sempre meno necessaria, è diventato possibile immaginare un servizio senza la persona, o meglio con una presenza ma a distanza – remota. Questo passaggio non è stato proprio indolore per i clienti che, nessuno escluso, hanno sollevato dubbi e perplessità: i timori riguardavano sì la qualità del servizio, la possibilità tecnica che le cose potessero comunque funzionare bene, ma più di tutto la preoccupazione era quella di non aver più un interlocutore su cui riporre la propria fiducia e a cui fosse possibile rivolgersi nel caso di malfunzionamenti. Il tentativo maldestro di “far passare il servizio” senza la persona spesso non riesce, si è compresa la necessità che, per convincere i clienti al passaggio, non bisognasse puntare sull’efficacia tecnica del serivizio offerto quanto piuttosto sul fatto che dietro l’apparente assenza, dietro alla tecnologia, c’erano comunque delle persone che continuavano a lavorare, una presenza che seppur distante – in remoto – c’era.

Non c’è nessun perfezionamento tecnico che possa eliminare questo bisogno, un rapporto umano che implica fiducia. La presenza fisica delle persone – delle stesse persone – garantisce una fiducia che nessuna tecnologia, neanche la più perfetta, può sostituire.

I tempi sono certamente cambiati ma i bisogni umani profondi, quelli, non cambiano mai.

Tre

Pur non avendo mai riflettutto a fondo sulle implicazioni teoriche e politiche della tecnologia,  mi è sempre parso chiaro che la fiducia chiama in causa le persone in carne e ossa – che siano vicine oppure lontane – e che questo elemento sia irriducibile ed è da qui, da questo snodo cruciale, che ho messo in campo, da sempre, la mia pratica politica.

Si può dire che Lìbrati, la libreria delle donne di Padova di cui sono fondatrice insieme a Laura Capuzzo, sia nata da un blog in cui scrivevo con alcune compagne femministe, un luogo virtuale in cui discutevamo di tutto quello che ci passava per la testa, in libertà, e che pensavamo fosse importante discutere assieme e con le donne lontane da noi, fisicamente irraggiungibili. Questa dimensione soltanto digitale ci è stata fin da subito stretta, bella sì, stimolante, ricca di tante potenzialità, ma comunque stretta, volevamo di più.

Abbiamo iniziato a viaggiare, ad andare a trovare le donne con cui avevamo intessuto le prime relazioni soltanto digitali, le abbiamo conosciute, abbiamo frequentato i luoghi delle donne, quelli reali, dove ci potevamo abbracciare, dove potevamo stringere quelle mani che avevano battuto i tasti creando quel primo contatto.

La piattaforma digitale è stata per noi un trampolino per andare, anche e soprattutto, “altrove”. Ed è qui che è nato il desiderio di aprire una libreria – un luogo fisico – perché il virtuale a un certo punto non ci è bastato, i viaggi ci portavano lontano, volevamo di più e, a quel punto, molto di più.

È grazie al prezioso suggerimento delle amiche della Libreria delle donne di Milano che abbiamo avviato una campagna digitale di raccolta fondi che ha avuto un grande successo e che ci ha permesso di aprire le serrande.

Sappiamo bene che quel successo – l’importante contributo economico che ci è stato dato – è dovuto a una fiducia in noi che è stata possibile perché ci siamo viste e conosciute in carne e ossa, nella nostra intera umanità.

Ancora oggi per noi la rete è un mezzo fondamentale di comunicazione, ne conosciamo limiti e pregi e la usiamo come modo per avvicinarci alle donne che potrebbero voler frequentare il nostro luogo e mai come un mezzo per tenerci a distanza. Grazie alla rete percorriamo quei chilometri che non è possibile percorrere sempre, per ragioni diverse – di tempo, di soldi, di possibilità – ma sempre, sempre, dopo una conoscenza virtuale scatta il desiderio di tirare quel filo digitale e raggiungere i corpi.

I tempi sono cambiati e cambieranno ma mai, mai cambiano i sentimenti umani, la gratitudine per la fiducia e la fiducia che nasce dalla relazione.

Quattro

Alla fine della rete, ad ogni capo del filo c’è sempre una persona, con i suoi sentimenti umani. Questa per me è una verità che al di là delle critiche che possono essere mosse alla tecnologia mi parla degli uomini e delle donne e dei loro bisogni e desideri reali e veri.

Uno degli spunti critici più forti contro l’utilizzo della rete, nella sua dimensione sociale, si articola sull’idea che siano uno strumento di alterazione della realtà, che le persone si mostrino diverse da quelle che sono, le foto modificate con photoshop, la narrazione di vite praticamente perfette ma false, che diano cioè una visione distorta di noi e del mondo in cui viviamo. Io li uso i social e sì, cerco con esiti più o meno felici di mostrarmi migliore di quella che sono, d’altra parte questo corrisponde interamente al modo che ho – e penso che abbiamo tutte – di muovermi nel mondo fuori: mostrarmi migliore agli occhi degli altri per poter meritare il loro amore. Il desiderio di essere amati, il bisogno di attenzione che abbiamo per sentirci parte del mondo, riconosciute nella nostra unicità, dietro il successo della rete io vedo questo, con tutto ciò che questa potenza comporta, con i suoi esiti buoni e anche nelle sue storture. Vedo svelato il grande potere politico dei sentimenti, fin dove possiamo arrivare a trasformare il mondo con la sola forza di quello che ci muove dentro.

Per quanto la rete possa trasformare le nostre vite da fuori – in termini di tempo e spazio – possa cambiarci, non altera la nostra essenza, ciò che in noi c’è di irriducibilmente umano, non replicabile, non cancellabile.

(Via Dogana 3, 6 giugno 2019)

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