28 Novembre 2013
idadominijanni.com

Femminicidio, iconografia della vittima

di Ida Dominijanni

Ci sono talvolta danni simbolici incalcolabili provocati da operazioni animate magari dalle migliori intenzioni. E’ precisamente questo il caso della gigantesca operazione politica e mediatica allestita negli ultimi mesi sul cosiddetto femminicidio, e arrivata alla sua apoteosi nei giorni scorsi con la celebrazione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Al netto della ripetitività della ricorrenza, per molti versi uguale a se stessa ogni 25 novembre che dio manda al mondo, tiriamo le somme delle novità intervenute quest’anno dopo l’operazione suddetta, come fa e chiede di fare Angela Azzaro su www.glialtrionline.it.

Abbiamo in primo luogo una nuova legge, fatta per decreto governativo, che pur contenendo alcune norme parziali utili, secondo i centri antiviolenza, a contrastare il massacro quotidiano delle donne, tratta un problema sociale e culturale come un problema di ordine pubblico, riduce le donne a soggetti deboli sotto tutela dello Stato e della giurisdizione, ed è riuscita – un inedito assoluto – a usare il corpo femminile per normare questioni che col corpo femminile non c’entrano nulla, tipo il conflitto sulla Tav.

Abbiamo in secondo luogo un’iconografia pubblica, diffusa con gran dispendio di mezzi dalla televisione pubblica e privata nonché dalla pubblicità istituzionale del governo, che raffigura volti e corpi di donne pestati, smostrati, devastati. Per giunta in una involontaria ma evidente contrapposizione con i volti ben truccati e i corpi ben vestiti di altre donne che su vari palcoscenici, teatrali e televisivi, nazionali e internazionali, combattono meritoriamente contro il femminicidio in nome e per conto delle prime, sovente riempiendole di ottimi consigli: ribellati, denuncialo, liberati eccetera eccetera. Le immagini non mentono: lo spostamento dell’obiettivo dal corpo della vittima al corpo del carnefice che invochiamo da anni non c’è stato. Sotto i riflettori – e in fondo in fondo sotto accusa – c’è sempre il corpo femminile, mai quello maschile.

Pochissimi anni fa, in un recente passato ancora presente, sotto i primi colpi del sexgate berlusconiano eravamo all’improvviso diventate tutte veline e escort: il variegato mondo dell’informazione si produsse in questo giudizio sommario, o per accusare il berlusconismo (”tutte manipolate”) o per assolverlo (”tutte libere di valorizzare il proprio capitale di bellezza”). Adesso siamo diventate tutte vittime, ma di uomini senza faccia e senza parola. Poco più tardi, sotto i secondi colpi del sexgate, lo stesso variegato mondo dell’informazione, talvolta con le firme femminili in prima linea, si produsse invece nell’esercizio di dividerci in donne perbene (mogli e madri della patria) e donne permale (veline e escort di cui sopra). Adesso ci ritroviamo divise fra donne disgraziate e donne fortunate. Un bel vantaggio, non c’è che dire.

Non l’unico tuttavia: ce n’è un altro, ancora più tondo. Questo dispendio di immagini di donne massacrate e sfigurate vorrebbe fare leva, si presume, su un risveglio della coscienza maschile e sul richiamo degli uomini violenti a una qualche legge morale. Qualcuno però spieghi ai maghi della pubblicità e della comunicazione che la violenza ha spesso moventi inconsci, e che l’inconscio non risponde ai richiami morali: talvolta vuole solo godere, e di cose indicibili. Quell’insistenza sui volti e sui corpi femminili sfigurati e vittimizzati potrebbe non stimolare affatto una resipiscenza della coscienza maschile, ma l’inconscio godimento sadico che muove la violenza, la alimenta e se ne alimenta. L’anno prossimo, per favore, obiettivo sugli uomini: volti non mostruosi né sfigurati, ma normali, normalissimi.

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