11 Gennaio 2017
il manifesto

Forme di governo del vivente. La questione della biopolitica

di Alessandra Pigliaru

SCAFFALE. «La materiale vita», di Tristana Dini per Mimesis

Che il femminismo in questi anni sia riuscito a fare la differenza anche nel dibattito su neoliberismo e biopolitica è un dato. Nonostante la discussione sulla biopolitica sia piuttosto affollata, «usurata» e da parecchi anni, anche in Italia, ci sono delle posizioni che spiccano per originalità e tenacia della tenuta.

Emerge per importanza, sforzo pensante ma – soprattutto – caparbietà nel segnare il punto vero della questione, l’analisi di Angela Putino che – nonostante sia scomparsa da dieci anni – aveva già dato avvio a un percorso irreversibile in merito al tema. Insieme a lei molte hanno potuto trovare un confronto politico incarnato, significativo e che, nel tempo, ha voluto dire appropriarsi di un metodo. E tenerlo e praticarlo per sé, nonostante l’assenza della stessa Putino, ha previsto la crescita di generazioni politiche di donne che lo percorrono con la stessa appassionata ostinazione. È il caso di Tristana Dini – come anche di Stefania Tarantino, fine studiosa e lettrice di Simone Weil, e altre.
Su biopolitica, differenza sessuale e vita sacra si misura l’ultimo saggio di Tristana Dini dal titolo eloquente, La materiale vita (Mimesis, pp. 145, euro 16, postfazione di Marco Ivaldo) che ha come sottotitolo i tre nodi che vanno poi a dipanarsi in altrettanti capitoli.

Progetto editoriale che Putino e Dini avevano immaginato insieme e che doveva fare seguito a un seminario organizzato presso l’Itc-isr di Trento nel giugno del 2005 – tra le presenti anche Ida Dominijanni, Chiara Zamboni, Antonella Cutro. Nonostante il precipitare degli eventi, Angela Putino era riuscita a scrivere almeno l’introduzione al volume (che doveva contenere gli Atti) insieme a Tristana Dini che oggi mantiene la promessa e la pubblica, a doppia firma, in apertura del suo saggio. Si tratta di una sintesi perfetta, efficace divisa in 9 punti, una sorta di manifesto/vademecum in cui vanno ad affilarsi definitivamente le ragioni che conducono a una vicinanza la biopolitica e il femminismo. Soprattutto il modo e la qualità di intendere questa prossimità.

Seguendo la lezione di Foucault (ripresa da Judith Butler, Giorgio Agamben, Antonio Negri e Roberto Esposito), è necessario il raffronto tra biopotere e potere sovrano. La domanda tuttavia è sul tipo di potere della biopolitica e sulla legittimità o meno che lo si possa ascrivere allo stesso ordine della sovranità. Nella separazione tra i due poteri sta il punto e anche l’avvio del lavoro di Tristana Dini.
Fondante è l’implicazione tra materno e biopolitica e, scavando genealogicamente, si arriva alle competenze materne. È un nodo difficile da affrontare (e forse proprio per questo da discutere ancora giacché incandescente) perché «la biopolitica è una trasposizione, nel migliore dei casi, o addirittura una perversione della cura materna».

Appunto per questo è importante separare il potere sulla vita da quello sovrano per potersi soffermare sul significato della sessualità, dell’eros, dell’amore. In questo modo il discorso sulla biopolitica si desaturizza, aprendo a una politica della «materiale vita». In tutta la sua «zoé-pensante» complessità.

(il manifesto, 11 gennaio 2016)

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