27 Settembre 2016
#VD3

Grazie alla maestra Björk che ci ricorda che la tecnologia può svincolare le donne da sistemi di patriarcato e giochi di potere

 

di Sara Gandini

Da tempo alla Libreria delle donne di Milano ragioniamo su come donne e uomini stanno in luoghi molto segnati da una cultura tradizionalmente maschile, come quelli scientifici e/o tecnologici. La rete è uno di questi. Luisa Muraro in Ragazze e Algoritmi: una spiegazione, per Via Dogana 3, scrive che la rigidità meccanica degli algoritmi, utili a governare la massa sterminata di dati, non “rispecchia visibilmente l’opera di una crescente libertà femminile, che pure esiste”. E mette in guardia dalla statistica (io sono una biostatistica) ricordando che «i droni uccidono terroristi calcolati come tali con un margine di errore non umano ma statistico».

In Gli algoritmi non sono amici delle donne, sempre per Via Dogana 3, Alice Peverata, giovane ingegnera, scrive che la ricchezza femminile non si confà ad un meccanismo sequenziale ed inequivocabile come quelle degli algoritmi.

 

In passato io e Laura Colombo (web-mater del sito della Libreria delle donne di Milano) abbiamo ragionato e scritto in diverse occasioni su cosa vuol dire fare politica delle donne sul web, e il rischio di far fuori la differenza sessuale e perdere le potenzialità dello scambio in presenza, se si rinuncia al sapere che viene dall’incontro di “corpi”, che permette di pensare, confliggere e reinventare le relazioni, tenendo conto anche di ciò che non passa per il linguaggio scritto.

 

Tutto questo è lì, dobbiamo tenerlo presente e raccontarlo, per non farci giocare dalle magiche sorti progressive della scienza, della tecnologia, del web.

 

Ma allo stesso tempo devo ammettere che ho esultato quando su Facebook ho letto l’ultima intervista della regina del pop eclettico, Björk, cantautrice, compositrice e produttrice discografica. Una donna coraggiosa, impegnativa, difficile, eclettica, che ama sperimentare e creare una musica che richiede tempo per essere compresa e non si preoccupa di rendersi piacevole e commerciale. Nonostante questo nel 2003 ha venduto in tutto il mondo 40 milioni di dischi, ha vinto innumerevoli premi internazionali, per l’originalità delle sue canzoni, le innovazioni tecnologiche dei suoi video e persino la Palma d’Oro e il premio per Miglior Attrice al Festival di Cannes nel 2001. Persino il MoMA di New York le ha dedicato retrospettiva, in onore della sua carriera di artista.

 

Nell’articolo del 24 settembre pubblicato su Repubblica.it e intitolato Björk: La tecnologia libera le donne dai giochi di potere la cantautrice presenta una app (“Biophilia” la prima app che entra al MoMA) che rende l’ascolto della musica un’esperienza non più esclusivamente passiva: l’app «permette di trasformare ogni traccia in un gioco e contiene programmi con cui lavorare sui testi delle canzoni e fare musica. L’applicazione è stata utilizzata addirittura in molte scuole islandesi e della penisola scandinava per insegnare musica ai bambini.» Conclude l’intervista, che ha rilasciato in occasione di una mostra interattiva rivoluzionaria a Londra sulla realtà virtuale, affermando che la tecnologia «svincola le donne da sistemi di patriarcato e giochi di potere» e grazie ad essa crea la sua arte. Con le nuove tecnologie si possono realizzare video digitali anche senza grandi mezzi economici, e si è meno soggetti al potere delle case produttrici. In un’altra intervista sul Guardian[1] spiega che con i video digitali di questa epoca storica si sperimenta un’enorme libertà, specialmente per le donne, come ai tempi delle video-artiste degli anni ’70.

Ecco, leggendo Björk ho esultato perché lei e un bell’esempio di quella grandezza femminile che osservo sempre più nel mondo. La storia del femminismo ha mostrato che le donne ovunque decidano di andare, anche nei luoghi più patriarcali, nei luoghi di potere della politica istituzionale, nell’ambito della ricerca scientifica e della tecnologia, sanno fare invenzioni per portare la loro soggettività.

 

Un altro bell’esempio che ho vissuto più da vicino riguarda l’ultimo congresso internazionale di una società scientifica di ricercatori di base a cui ho partecipato come organizzatrice e relatrice. Si trattava di un congresso con scienziati che venivano da tutto il mondo, dal Giappone agli Stati Uniti, e come ogni congresso scientifico gli interventi preordinati avevano una struttura molto simile, il linguaggio è molto tecnico, chiuso agli addetti ai lavori, le presentazioni in power point sono costruite in modo standard, e di spazi di libertà e di esprimere la propria soggettività se ne vedono molto pochi. Ma questa volta, insieme ad una spagnola, una francese e un paio di amiche ricercatrici italiane, abbiamo deciso di inserire una tavola rotonda per ragionare a modo nostro sulle donne nella scienza, facendo incontrare scienza e filosofia, discutendo in modo libero, circolare, partendo dalla nostre esperienze, per capire in che ambiti le scienziate scelgono di essere e perché, come lavorano, come raccontano il loro lavoro, come affrontano le difficoltà nel gestire maternità e professione… Durante la tavola rotonda emergeva con chiarezza quanto fosse diffusa la consapevolezza che non ha senso parlare in termini di uguaglianza, tra ricercatori e ricercatrici, e che quella scienza che ha la presunzione di essere universale e valida per tutti ci perde anche in termini di sapere scientifico se non ragiona sulla differenza sessuale, sia dal punto di vista del modo di indagare il reale, quindi del metodo scientifico, che dell’oggetto di studio (dalla cellula all’umano). E così la biostatistica nelle mie mani diventa uno strumento potente e flessibile, che mi aiuta a indagare e rappresentare la variabilità del reale, prima di tutto il modo in cui uomini e donne affrontano le malattie e la cura.

 

Concludo sottolineando che se guardiamo alla storia e a quello che è successo con la rivoluzione femminista, sappiamo che l’opera della crescente libertà femminile esiste se sappiamo raccontarla, se ci assumiamo la responsabilità di guardare con la lente della differenza sessuale anche, e soprattutto, negli ambienti che sembrano più neutri, come possono essere quelli tecnologici e scientifici: sono tante le donne che non rinunciano più a essere sé stesse e a portare la loro soggettività là dove sono, dipende anche da noi metterle al centro della scena.

Perché se è vero che la ricchezza femminile si manifesta nella sua pienezza nell’ambito letterario e nelle cosiddette materie umanistiche, sabato all’incontro alla Libreria delle donne di Milano, alla discussione partendo dal libro di Vita Cosentino Scuola, sembra ieri, è già domani di Moretti & Vitali, una professoressa di liceo ha ribadito che la matematica che lei insegna ai ragazzi è anch’essa un’occasione di libertà per studentesse e studenti, per scoprire come il mondo può trasformarsi nelle loro mani, partendo dai loro desideri.

Per questo continuo a insistere che il problema non è la rete, la tecnologia e la scienza, che nelle mani delle donne possono trasformarsi in possibilità di libertà e di illuminare in modo diverso il mondo.
Il segreto è non rinunciare ad esserci con coraggio e inventiva svincolandosi «dai sistemi di patriarcato e i giochi di potere», anche grazie alla tecnologia e alla scienza, perché anche Björk ne è convinta: una terza o quarta ondata di femminismo è nell’aria[2].

 

(Via Dogana 3, 27 settembre 2016)

 

 

[1] «I really feel now those headsets are like a private theatre of anarchy. I have an enormous freedom, I can set up anywhere. And I’m noticing more and more that it is especially liberating for women since we don’t have to deal with the history of patriarchy or play any power games», she says, comparing the process to the work of female video artists in the 1970s. «It is an open field, it’s wide open». https://www.theguardian.com/music/2016/sep/02/bjork-digital-vulnicura-vespertine

[2] http://pitchfork.com/features/interview/9582-the-invisible-woman-a-conversation-with-bjork/

Print Friendly, PDF & Email