13 Settembre 2014
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I profughi del Mediterraneo e Lady Pesc Com’è attuale l’Europa di Simone Weil

di Giovanna Pezzuoli

I suoi contemporanei hanno ascoltato poco o niente le sue parole, ma oggi la sua idea di giustizia e il suo invito a costruire una civiltà politica rinnovata nel profondo e consapevole delle sue radici trovano una forte risonanza nel nuovo pensiero femminista: a Simone Weil (Parigi 1909-Ashford, 1943), grande filosofa, mistica e scrittrice francese, è dedicato il numero di settembre di Via Dogana. «L’Europa di Simone Weil» si intitola la storica rivista della Libreria delle donne di Milano che s’interroga sui nuovi scenari. Quale Europa si apre oggi? Quella dei profughi e delle profughe in arrivo sulle coste del Mare nostrum, dello scontro che potrebbe diventare un terribile schianto fra Russia e Ucraina, del fallimento della conciliazione fra lavoro (in drammatico calo) e cura o quella della rappresentanza che in nome della parità di genere ha nominato una donna, l’italiana Federica Mogherini, sua nuova Lady Pesc?

Per trovare ispirazione il pensiero femminista si rivolge agli ultimi scritti di Simone Weil animati da una potente passione politica di fronte alle tragedie del suo tempo. In verità più che scrivere avrebbe voluto fortemente combattere nella resistenza francese ma France Libre, l’organizzazione in esilio capeggiata da De Gaulle, la colloca in un ufficio londinese a spulciare documenti, dove nel 1942 farà la sua «Resistenza in una stanza».

Racconta Vita Cosentino nell’editoriale:

«Chiusa nel suo ufficio fino a tarda notte scrive pagine intensissime su tutte le questioni importanti del momento: la sovranità nazionale, i partiti politici, la giustizia, la logica dei diritti… Soprattutto matura l’idea che vivere in un’epoca in cui si è “perduto tutto” può essere l’occasione perché l’Europa faccia una sorta di autocoscienza e comprenda che la guerra non era stata la causa ma la conseguenza di una malattia più antica: la perdita di contatto con le radici della propria civiltà. E da qui ripartire. Pensa e scrive febbrilmente fino alla morte, che la coglie per tubercolosi la sera del 22 agosto del ’43. Accanto al suo letto d’ospedale, su un foglietto è stato trovato un frammento: “La sola cosa che possiamo costruire è una civiltà. Nuova, rispetto al caos spaventoso finito in un incubo. Viva. Se possiamo…».

La ripubblicazione, recente, del libro di Simone Weil Una costituente per l’Europa (Castelvecchi, 2013), è dunque la traccia da seguire. Scrive Lia Cigarini, dichiarando il suo desiderio che con l’Europa si formi un’entità (una democrazia?) transnazionale che non assuma carattere statale e che abbia nella negoziazione il suo principale strumento politico. «A me interessa qui che Simone Weil senta indispensabile il simbolico (soprannaturale) per pensare e formalizzare le sue idee per una Costituzione Europea. Infatti scrive: “al di sopra delle istituzioni, destinate a tutelare il diritto, le persone, le libertà democratiche, bisogna inventarne altre, destinate a discernere ed eliminare tutto ciò che nella vita contemporanea schiaccia le anime sotto il peso dell’ingiustizia, della menzogna e della bassezza. Bisogna inventarle, perché sono sconosciute…. Ed è impossibile dubitare che siano indispensabili”…. Simone Weil è drastica: i partiti non pensano, gli esseri umani sì. Perciò il popolo deve nominare esseri umani non perché lo rappresentino ma perché si occupino delle sue aspirazioni più profonde e vere».

Sorprende l’attualità del pensiero della filosofa francese. La sua esortazione a «non credere di avere dei diritti», già in passato raccolta dal femminismo della differenza, è un esplicito invito a non puntare su una politica di rivendicazioni, ma a tenere aperto, oltre al diritto, il riferimento alla giustizia. Scriveva Simone Weil:

Se si dice a qualcuno in grado di capire «ciò che mi stai facendo non è giusto» è possibile risvegliare lo spirito di attenzione e di amore. Ma non si ottiene lo stesso scopo con parole come «Io ho il diritto di…», «Tu non hai il diritto di…», che racchiudono in sé una guerra latente e suscitano uno spirito bellicoso. Quando se ne fa un uso quasi esclusivo diventa impossibile fissare lo sguardo sul vero problema.

Maria Concetta Sala osserva che per chiunque desideri orientarsi nell’odierna babele sociale l’opera di Simone Weil può essere una bussola preziosa, ma perché ciò accada occorre predisporsi a una nuova lingua capace di «cogliere pensieri inesprimibili» e di ripensare in modo radicale la questione sociale e la condizione umana a partire da sé. Sosteneva Simone Weil nel 1943: «La giustizia non è di questo mondo ma qui e ora a ogni essere umano è data la libertà di non aderire all’apparenza di giustizia, la giustizia menzognera, e di trattare l’essere diverso da sé con giustizia, vale a dire anzitutto non fargli del male, battersi perché si ponga cura e rimedio a tutte le ferite, privazioni e offese…».

Soprattutto trattare un essere umano con giustizia significa sapersi tenere alla giusta distanza, non tentare di assimilarlo né di addomesticarlo bensì rispettarne il libero consenso, essenziale affinché l’obbedienza non si trasformi in oppressione.

 

Era indignata Simone Weil – come lo sono molte e molti di noi oggi – di fronte al degrado della politica istituzionale, al punto da proporre l’abolizione dei partiti per favorire l’attenzione di ogni parlamentare alla giustizia piuttosto che alla disciplina di partito. Spiega Wanda Tommasi che l’idea di Europa proposta dalla Weil si fonda sul ritrovamento delle proprie radici culturali. Era consapevole del fatto che chi subisce un dominio deve lottare nella cultura e nel linguaggio per la dicibilità della propria esperienza. «Se è vero, come Weil afferma instancabilmente, che il potere è composto per più di tre quarti di prestigio, un prestigio contagioso fino al punto di comunicarsi a coloro che lo subiscono, la prima mossa di chi patisce un dominio è quella di sottrarsi al fascino del potere e dando voce alla propria esperienza». E Tommasi racconta come la filosofa, che concepiva la politica come qualcosa di molto distante dalla logica spartitoria dei partiti, ne offrì un esempio nel suo progetto per un corpo di infermiere di prima linea, destinate a contrapporsi al culto virile e guerresco della forza. Come antidoto al fanatismo nazista immaginò questo gruppo di infermiere capaci di rischiare la vita per prestare i primi soccorsi ai soldati feriti. L’autrice nota come Weil, solitamente insofferente nei confronti della subalternità femminile, usi in questo caso l’espressione tenerezza materna, valorizzando la differenza femminile, capace di un coraggio usato non per uccidere ma per curare.

Pensiero mistico, utopico? In quest’Europa guidata dai falchi della Commissione Europea (Die Kommission?) sarebbe bello che qualcuno ascoltasse le parole di una donna che non restava impigliata nella lingua degli uomini.

La rivista viene presentata oggi (sabato 13 settembre) alle ore 18, alla Libreria delle donne di via Pietro Calvi 29.

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