14 Marzo 2013

I sogni e le invenzioni di Salecina per volare nel tempo

di Sara Gandini

Salecina ha qualche anno meno di me eppure sembra immersa in un’altra epoca, l’epoca in cui sono nata. Viene fondata nel 1971 da Theo e Amelie Pinkus ispirandosi ai movimenti sorti dopo il 1968.

Si tratta una casa di vacanze immersa nel magnifico paesaggio della regione del Maloja (Svizzera) a 1800 metri. Un luogo di superamenti di frontiere: dall’Engadina alla Val Bregaglia, dalla Svizzera verso l’Italia. Oltrepassare le frontiere è per Salecina una sfida. Vacanze e formazione, personale e politico si alimentano vicendevolemente.

Uno degli aspetti che ho trovato più interessanti è l’organizzazione logistica della casa. Al momento tre ragazze, le cape-casa, lavorano stabilmente a Salecina ma non sono assunte per servire gli ospiti. Il loro compito sta nell’aiutare i nuovi arrivati ad auto-organizzarsi: gestiscono le prenotazioni, acquisti/pagamenti e aiutano il coordinamento per la gestione della casa. Le decisioni più generali sui programmi, seminari, corsi, eventi vari della casa vengono prese dal Consiglio di Salecina composto da 20 teste, di cui le “cape-casa” fanno parte.

Nel 1977 Salecina si sviluppava grazie ai seminari sull’autogestione organizzati in parte da Theo Pinkus.
Ora più che altro le settimane escursionistiche diventano occasioni per far politica; le persone più diverse si ritrovano a Salecina, anche grazie alla storia e ai sogni di Salecina, e strada facendo discutono, si confrontano, quasi stessero partecipando a un seminario politico. “Luogo della casualità organizzata”, lo chiamava Theo.
Ma i seminari non mancano. E la filosofia di Salecina si rispecchia anche nella sua offerta di corsi e seminari di ogni genere e aperti a tutti: politica, storia, cinema, lingue, danza, sci d’alpinismo, arrampicata, canto corale. Salecina offre la possibilità di trascorrere delle vacanze che al relax e alla condivisione coniugano una forte responsabilità sociale e ambientale.

La casa è immersa in una valle dalla natura incontaminata che invita a attività per tutte le stagioni: dall’arrampicata all’escursionismo, e in inverno allo sci di ogni tipo (St. Moritz è a due passi e la casa è immersa in piste da fondo fantastiche). Una delle settimane più partecipate è proprio quella auto-organizzata dei genitori/parenti per camminare in montagna con i bambini e ragazzi. Ci sono bambini anche piccolissimi, ci sono nonni, zii, dalla Germania all’Italia. Lo scorso luglio c’erano anche una madre russa e una siciliana, con figlie. Era un piacere vedere come i bambini giocavano assieme senza problemi, nonostante la diverse lingue. E come partecipavano loro stessi dandosi da fare per apparecchiare o fare da mangiare, o inventarsi una concerto di musica. Perché anche i bambini vengono coinvolti e responsabilizzati nella gestione della casa, come tutti.

Non ci sono cuochi, camerieri, né addetti alla pulizia perché le loro mansioni sono svolte a turno dagli ospiti della casa, creando così le premesse per un diverso modo di vivere la vacanza. La partecipazione in prima persona alla vita della casa permette di sentirsi a casa. L’auto-organizzazione degli ospiti, che cucinano, puliscono e lavano i piatti, favorisce e richiede scambio, e facilita lo stabilire relazioni anche con persone molto diverse, per lingua prima di tutto. A partire dai lavori di casa fino al dormire su materassi comuni qui le persone si trovano molto più vicine che in un luogo simile a un albergo con camere singole e personale di servizio.

Il paesaggio della Val Bregaglia e dell’Alta Engadina è da sogno, ma molti vengono attratti dalla possibilità di fare nuove conoscenze con persone disponibili al confronto, allo scambio, al divertimento. Oltre ai momenti di aggregazione e di vita quotidiana in comune, c’è una biblioteca, uno spazio dove ballare, proiettare film, organizzare incontri culturali e pure un pianoforte.

Anche le tariffe per il pernottamento seguono un modello innovativo: per uno dei 56 posti letto disponibili, ognuno paga un prezzo equo, secondo le proprie disponibilità economiche (salvo una quota minima da pagare decisa dal consiglio di Salecina, che copre le spese di gestione). E qui entra un altro aspetto molto interessante di Salecina: da più di 40 anni Salecina non è sovvenzionata da nessuno.
Di non poco rilievo è anche il fatto che si sono sempre tenuti volutamente lontani dal commercio della formazione. Per scelta hanno sempre evitato di organizzare seminari invitando esperti che vendessero le loro conoscenze a caro prezzo. Grandi personalità vengono a salecina gratuitamente solo se sono personalmente interessate a diffondere le loro conoscenze e contemporaneamente ad imparare.

Salecina inoltre è caratterizzata da un continuo interrogarsi sul senso di questo progetto e sulla sua evoluzione e un continuo narrarsi ai nuovi arrivati. L’estate scorsa le “cape-casa” ci raccontavano come l’esperimento Salecina si è evoluto nel tempo, da quando è nato negli anni ‘70, affidandosi ad un sogno, una ricerca di autogestione e partecipazione, fuori da modelli prestabiliti, ma che li guida tuttora. Negli anni ‘70 si dormiva e si faceva la doccia tutti insieme, uomini e donne: erano gli anni “dell’amore libero“. Ora ci sono stanze da 2 e da 20, le docce comuni e singole, e c’è persino la connessione a internet, conquista arrivata dopo diverse discussioni sugli effetti dell’avvento del web nelle vite di tutti.
E’ rimasta comunque l’idea di affidarsi ad una gestione non gerarchica. Le tre ragazze non hanno un capo, ma, come dicono loro stesse: sono le cape di loro stesse. E questo implica che la gestione dei conflitti va affrontata, di volta in volta, puntando su uno scambio continuo tra loro. Negli ultimi anni le cape-casa hanno deciso di affidarsi anche ad una persona esterna, che non conosce la casa. Una persona che, avendo uno sguardo da fuori, riesce a trovare mediazioni altre, impreviste. Mi ha colpito l’umiltà che le ha portate a questa scelta: se non ce la facciamo a gestire ogni conflitto tra noi perché non chiedere aiuto a qualcuno a cui diamo fiducia? Un’invenzione che punta sulla relazioni, sullo scambio continuo, sul desiderio di tenuta del progetto. Queste sono le leve della politica del desiderio, la politica delle donne, quella di cui si fa narratrice la Libreria delle donne di Milano. Che sia questo che ha permesso a salecina di arrivare fino a noi? Anche la libreria si regge da 40 anni senza sovvenzioni esterne, senza strutture gerarchiche, puntando sulle relazioni e sulla forza del desiderio. Se ci si crede e si investe passione, i progetti crescono e durano anche fuori da logiche di mercato, fuori da organizzazioni di potere. Si tratta di esempi concreti che aprono orizzonti politici di ampio respiro.
Di questi tempi ce n’è proprio bisogno: www.salecina.ch

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