di Laura Fortini
LegÂgere l’ultimo volume della tetraÂloÂgia di Elena FerÂrante, intiÂtoÂlata StoÂria della bamÂbina perÂduta (e/o, pp. 464, euro 19.50), vuol dire guarÂdare l’acqua buia e opaca della fine del NoveÂcento e conÂsiÂdeÂrarlo esso stesso a sua volta un bamÂbino perÂduto. PerÂché tale appare nelle vite delle due amiÂche Lila e Lenù, amiÂche geniali ognuna a proÂprio modo l’una per l’altra, che arriÂvano alla matuÂrità e poi alla vecÂchiaia dopo aver attraÂverÂsato nei volumi preÂceÂdenti (pubÂbliÂcati conÂseÂcuÂtiÂvaÂmente a distanza di un anno l’uno dall’altro (L’amica geniale, 2011; StoÂria del nuovo cognome, 2012; StoÂria di chi fugge e di chi resta, 2013; StoÂria della bamÂbina perÂduta, 2014, tutti e/o), il dopoÂguerra a Napoli e gli anni della demoÂcraÂzia criÂstiana, la camorra, l’emancipazione sociale dalla famiÂglia, il matriÂmoÂnio, la sepaÂraÂzione, la fabÂbrica prima e la scoÂperta dell’informatica per Lila; gli studi alla NorÂmale, il matriÂmoÂnio, la sepaÂraÂzione, la carÂriera di scritÂtrice e il femÂmiÂniÂsmo per l’altra, Lenù. Ma non sono solo loro la matuÂrità e la vecÂchiaia cui è dediÂcato il capiÂtolo conÂcluÂsivo del ciclo, ma sono quelle di un intero paese, incaÂpace di fare i conti con la proÂpria stoÂria e con il preÂsente, che qui si rapÂpreÂsenta come opaco e spento come mai in altre opere della contemporaneità .
Quasi fosse il NoveÂcento stesso un bimbo perÂduto, fermo nella sua lucente lumiÂnoÂsità anche geniale, densa di proÂmesse e di futuro: della figlia di una delle due, la bamÂbina perÂduta che dà titolo al libro, non si saprà mai più nulla, scomÂparsa senza lasciare tracÂcia se non che nella memoÂria di quanti l’hanno amata, desiÂdeÂrata, voluta, la cui scomÂparsa devaÂsterà la loro vita e la posÂsiÂbiÂlità stessa di futuro. Si attraÂversa così in modo molto più priÂvato di quanto non sia accaÂduto nei volumi preÂceÂdenti il sequeÂstro Moro, il terÂroÂriÂsmo, la fine del sogno della rivoÂluÂzione e della posÂsiÂbiÂlità di camÂbiaÂmento radiÂcale dell’Italia mescoÂlati alle vicende di vita delle due amiÂche, a volte più lonÂtane tra loro, a volte più vicine, ma semÂpre specÂchio e misura l’una per l’altra, semÂpre disÂsoÂnanti e però necesÂsaÂrie nella preÂsenza e tanto più nell’assenza. Al punto che in conÂcluÂsione, in una vecÂchiaia che per molti versi si potrebbe defiÂnire triÂste quale è quella di un’Italia incaÂpace di vivere il proÂprio preÂsente proÂietÂtanÂdolo nel futuro senza dimenÂtiÂcarsi il pasÂsato e ciò che si è penÂsato intenÂsaÂmente posÂsiÂbile, tutto quello che resta è proÂprio l’essere state bamÂbine insieme e l’avere visÂsuto il sogno di diveÂnire altro, diverse da ciò in cui si era nate, con quel misto di spaÂvalÂdeÂria, coragÂgio, terÂrore e incoÂscienza luciÂdisÂsima che aveva conÂtradÂdiÂstinto entrambe.
Si tratta di un sogno che ha attraÂverÂsato l’Italia tutta e delle due tenÂsioni rivoÂluÂzioÂnaÂrie che sono state carne e corpo del NoveÂcento, quella comuÂniÂsta e quella femÂmiÂniÂsta, si regiÂstra qui lo scacco della prima nei perÂsoÂnaggi maschili che variaÂmente le si sotÂtragÂgono, da quello che si suiÂcida a quello che finirà in carÂcere dopo anni di latiÂtanza, da quello che traÂsforÂmiÂstiÂcaÂmente approda al parÂtito sociaÂliÂsta e poi in parÂlaÂmento nelle file del cenÂtro destra; la seconda, quella femÂmiÂniÂsta, richiaÂmata a chiare letÂtere più volte, è al cenÂtro il rapÂporto tra le due amiÂche e nella tenÂsione al camÂbiaÂmento di entrambe. Ma FerÂrante non è superÂfiÂcialÂmente geneÂrosa né vagaÂmente illuÂsoÂria con le sue perÂsoÂnagge, anche se entrambe sono diverÂsaÂmente epiÂche e Lila, la più visioÂnaÂria, comÂbatÂterà la sua batÂtaÂglia di camÂbiaÂmento della realtà in cui è nata senza riuÂscire a modiÂfiÂcarla come avrebbe desiÂdeÂrato e si sotÂtrae ad essa senza farne il bilanÂcio che invece avrebbe meriÂtato. Ma si tratta della sua vita e della sua carne, fatta di perÂsone e di amori, di bisoÂgni che non rieÂscono a diveÂnire desiÂderi, mazÂzate a destra e manca per fare strada al necesÂsaÂrio, cui non rimane che la sotÂtraÂzione quando non è più posÂsiÂbile altro.
L’altra, Lenù, dopo aver visÂsuto una vita all’insegna dell’emancipazione e della scritÂtura come mestiere, vivrà una vecÂchiaia digniÂtosa ma soliÂtaÂria e triÂste. Come quella delle città itaÂliane che si susÂseÂguono nel romanzo e con loro l’Europa senza soluÂzione di conÂtiÂnuità , sostanÂzialÂmente uguali pure nelle loro realtà locali: anche Napoli, il cui sogno di camÂbiaÂmento diviene simÂbolo di una staÂgione poliÂtica sconÂfitta e delusa, di se stessa e della proÂpria illuÂsione. E proÂgresÂsiÂvaÂmente le date che aveÂvano segnato la scanÂsione del tempo nel corso dei volumi preÂceÂdenti divenÂtano semÂpre più priÂvate, semÂpre più intime: è ricorÂdato con il giorno, il mese, l’anno il terÂreÂmoto del 1982, e così la nascita della terza figlia di Lenù, che inauÂgura la staÂgione di una matuÂrità esalÂtante ma tutta all’insegna di un sé che trova nell’altra misura e pieÂtra di paraÂgone per se stessa, come anche motivo di conÂferma per via di differenza.
Con il comÂpiÂmento di quest’ultimo volume FerÂrante si conÂfronta con una misura della narÂraÂzione di traÂdiÂzione euroÂpea più che itaÂliana, perÂché è nella memoÂria storico-letteraria colÂletÂtiva la manÂcata conÂcluÂsione del ciclo dei vinti di verÂghiana memoÂria, che si interÂruppe al momento di misuÂrarsi con la rapÂpreÂsenÂtaÂzione della borÂgheÂsia e dell’aristocrazia itaÂliana e delle loro responÂsaÂbiÂlità nel comÂplesso proÂcesso stoÂrico dell’unità d’Italia, traÂdita nelle sue proÂmesse costiÂtuÂtive. FerÂrante invece porta a terÂmine la sua impresa — voluÂtaÂmente meriÂdioÂnale -, interÂloÂquendo simÂboÂliÂcaÂmente con le tetraÂloÂgie di ThoÂmas Mann e di AntoÂnia S. Byatt.
Quella dediÂcata da ThoÂmas Mann al ciclo di GiuÂseppe e i suoi fraÂtelli è rivolta ad un pasÂsato mitico da interÂroÂgare perÂché alle oriÂgini di quanto stava accaÂdendo in un momento stoÂrico che ThoÂmas Mann perÂceÂpiva, e i fatti gli hanno dato poi ragione, come traÂgiÂcaÂmente epico: la belÂlisÂsima introÂduÂzione che lo scritÂtore tedeÂsco scrisse nel 1933 si sofÂferma sul mito come discesa nel pozzo della stoÂria, per cerÂcarne le radici e indaÂgarne i queÂsiti. AntoÂnia S. Byatt dedica la sua splenÂdida tetraÂloÂgia a FreÂdeÂrica PotÂter e alla geneÂraÂzione che crebbe nell’Inghilterra della seconda guerra monÂdiale e che divenne adulta nei decenni sucÂcesÂsivi speÂriÂmenÂtando, innoÂvando e emanÂciÂpanÂdosi dalla stoÂria preÂceÂdente con una certa feliÂcità e non pochi drammi.
L’amica geniale si intrecÂcia alla croÂnoÂloÂgia di AntoÂnia S. Byatt prenÂdenÂdone il testiÂmone e porÂtanÂdolo alle soglie dei giorni nostri, perÂché la narÂraÂzione si arreÂsta ai sesÂsanÂtaÂsei anni di età delle proÂtaÂgoÂniÂste, con la data espliÂcita del 2007 che si atteÂsta nell’ultima parte.
Rispetto a quelle narÂraÂzioni FerÂrante osa la conÂtemÂpoÂraÂneità ed è impresa che non si conÂclude con un senÂtiÂmento di pacata conÂsaÂpeÂvoÂlezza come invece accade per ThoÂmas Mann, il cui GiuÂseppe rieÂsce a porÂtare in salvo i suoi fraÂtelli in Egitto e così facendo comÂpie il suo destino e si affacÂcia sui secoli a venire; né con la perÂceÂzione di un mondo tutto aperto di fronte a sé quale è quella che conÂtradÂdiÂstinÂgue l’apertura di orizÂzonte non solo in senso figuÂrato della proÂtaÂgoÂniÂsta di AntoÂnia S. Byatt.
Le due amiÂche geniali non aspetÂtano un figlio come FreÂdeÂrica PotÂter e la conÂcluÂsione le rafÂfiÂgura entrambe anziane, anzi meglio: vecÂchie. Senza appaÂrenÂteÂmente nulla più da dare l’una all’altra e al mondo intero, proÂprio come il secolo di cui sono state proÂtaÂgoÂniÂste e da cui non rieÂscono a conÂgeÂdarsi se non svaÂnendo in un luogo indiÂstinto. Vi è qualÂcosa però nella conÂcluÂsione che simÂboÂliÂcaÂmente rimane tra le mani di chi legge: ovvero le bamÂbole Tina e Nu da cui è iniÂziata la narÂraÂzione nel primo volume e il gesto sovÂverÂsivo di coragÂgio irriÂdente comÂpiuto insieme dalle due amiÂche di salire le scale del camorÂriÂsta locale e chieÂderÂgli conto delle loro bamÂbole, sfiÂdanÂdolo pure se bamÂbine, pure se femÂmine. Gesto appaÂrenÂteÂmente picÂcolo, ma comÂpiuto insieme quanto ha signiÂfiÂcato nel corso della stoÂria per le loro vite, la posÂsiÂbiÂlità di camÂbiarle e con loro il mondo cui hanno appartenuto.
FerÂrante semÂbra sugÂgeÂrire che occorre riparÂtire da lì, da gesti appaÂrenÂteÂmente picÂcoli ma lumiÂnosi, da comÂpiere insieme ad altri ed altre per poterci riapÂproÂpriare di quanto ci sta alle spalle e farne griÂmalÂdello per il preÂsente. Osserva Lenù che la scritÂtura dovrebbe «lasciare voraÂgini, costruire ponti e non finirli, costrinÂgere il letÂtore a fisÂsare la corÂrente» ed è quello che accade in queÂsto libro più che nei preÂceÂdenti, perÂché «a difÂfeÂrenza che nei racÂconti, la vita vera, quando è pasÂsata, si sporge non sulla chiaÂrezza ma sull’oscurità ». La scritÂtura, la letÂteÂraÂtura, posÂsono fare queÂsto, illuÂmiÂnare l’oscurità , per rimetÂtere in gioco invenÂzione, sovÂverÂsione irriÂdente e anche se non osiamo penÂsarlo, rivoÂluÂzione a parÂtire da sé e dalle donne e uomini con cui conÂdiÂviÂdiamo queÂsto difÂfiÂcile presente.