10 Aprile 2015

Il femminismo è un campo di battaglia e Nancy Fraser non lo sa (e si fa maltrattare da Repubblica)

di Laura Minguzzi

Nancy Fraser non merita la frivolezza e la parziale deformazione del suo pensiero che traspare dal titolo nell’intervista pubblicata su Repubblica il 1° aprile: “Nancy Fraser: “Modaiolo e neoliberista: il femminismo ci ha tradite”. Lei parla del tradimento del femminismo includendo anche se stessa, dice abbiamo tradito le premesse di una promessa di giustizia sociale.

Ma, dico io, di quale femminismo sta parlando? Non della rivolta femminista degli anni sessanta-settanta, quella essenziale che ha interrotto il processo di emancipazione di derivazione ottocentesca, un cul de sac per le donne, un vicolo cieco. Ma da quel femminismo della libertà senza emancipazione, da quella rivolta per la libertà femminile, in relazione e non individualistica, ha preso una nuova direzione il movimento che abbiamo chiamato femminismo della differenza. Nancy F. salta a pie’ pari quella stagione feconda che fa apparire sulla scena la parola femminile non disgiunta dalla esperienza e dal corpo sessuato.

Lei sembra ignorare questo passaggio storico fondamentale nella vita e nella esperienza di molte donne italiane e non solo. Nel quadro che lei dipinge vediamo una continuità fra emancipazionismo ottocentesco, prima inclusione felice di donne realizzate in accordo con il neoliberalismo e poi complici di favorire l’avanzata di un mondo ingiusto invece di contrastarlo secondo lo schema riformista della solidarietà a cui l’autrice fa riferimento. Ma la lente di osservazione che indossa la studiosa non ha visto l’irreversibile biforcazione che il movimento femminista della seconda ondata ha impresso nel pensiero di stampo ottocentesco, che al massimo poteva intendere un principio di solidarietà, di sorellanza fra donne e di parità simmetrica con gli uomini, ma non certo prevedere l’imprevisto della irruzione della indecente differenza femminile e della collocazione asimmetrica rispetto al mondo inventato dagli uomini e offerto alle donne in via di emancipazione. Le femministe di cui parla Nancy non siamo noi e tanto meno siamo ancelle del neoliberismo poiché come il nostro desiderio di libertà relazionale ha innescato la fine del patriarcato, così il nostro irrinunciabile legame con “la vita alla radice dell’economia” e il desiderio di preservarla in ogni manifestazione differente sta come un cuneo rosso (Malevič) piantato nel sistema economico globalizzato. Un cuneo vitale per tenere aperte le contraddizioni, far nascere consapevolezze dagli inciampi, combattere la tossicità delle teorie del gender, asettiche e neutralizzanti, fatte per pacificare dove il fuoco brucia sotto la cenere.

 

(Libreriadelledonne.it 10/4/2015)

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