22 Maggio 2015

«Il mondo sta cadendo, tieni la mia mano».

The world is falling down, hold my hand

di Claudio Vedovati

 

Viviamo in un’epoca storica di espropriazione. Il capitalismo riesce a produrre denaro e a sottrarre ricchezza senza bisogno dei tradizionali strumenti di consenso, senza dover mediare nuove forme di redistribuzione e regolazione sociale. Questo continua espropriazione viene chiamata “crisi” e oramai sappiamo che non finirà, perché come ci viene ripetuto in forme colpevolizzanti, «avete vissuto al di sopra delle vostre possibilità».

Questo è uno scenario di violenza. E come ogni evento violento va nominato come tale, difendendo la capacità del linguaggio di nominare le cose. Siamo investiti di questa violenza anche nella rappresentazione che facciamo di noi stessi, nei nostri desideri, nelle nostre capacità di relazione, attraverso il continuo abbassamento delle condizioni minime di vita che siamo disposti ad accettare. La violenza trasforma la povertà materiale in miseria simbolica, alimenta l’impotente alternarsi di rabbia, risentimento, depressione, illusione di immunità, allontanandoci dalla politica, da ciò che fa accadere altro.

Eppure c’è qualcosa che in questo momento che fa luce. È l’esperienza politica delle donne, la cultura e la pratica del femminismo. Le donne conoscono la violenza a un livello profondo, conoscono la violenza che gli uomini si sono sempre autorizzati a compiere su di loro a prescindere dai regimi politici e dalle forme di produzione prevalenti, e non ne sono rimaste schiacciate. Attraverso il femminismo le donne hanno imparato a nominare la violenza e a farne uno strumento di conflitto politico, trasformativo. La libertà femminile ha aperto una sfida radicale con gli uomini che non comporta il “farli fuori”. La cosa più sorprendente è che libertà e autorità femminile emergono nonostante l’espropriazione e creano quotidianamente un mondo in cui accade qualcosa di diverso dalla violenza. Com’è possibile?

Il femminismo ha contrapposto al potere la figura dell’autorità, una pratica libera delle relazioni che più si dà e meglio è per tutti. La pratica politica è dunque quella del massimo di autorità e del minimo di potere. Scindendo il connubio maschile tra autorità e potere, le donne possono ora proporre un’altra distinzione, quella tra forza e violenza. Lo ha fatto recentemente Luisa Muraro, ponendosi il problema di come contrastare la violenza tacita dei rapporti di forza mettendo in campo tutta la propria forza, anche a rischio di eccedere. Il massimo della forza e il minimo della violenza, direi io.

Questi spostamenti sono un guadagno per tutti, donne e uomini. Essi ci consentono di rimuovere il blocco di pensiero che avvolge la violenza, la difficoltà che abbiamo a nominarla. Nominare la violenza significa assumersi la responsabilità di aprire conflitti, significa avere coraggio, perché la violenza si presenta negando se stessa, garantendo silenzio su di sé o presentandosi come altro. Nel caso della violenza tra i sessi tutto comincia a cambiare quando c’è la parola di una donna.

Ma cosa succede quando la violenza si presenta direttamente sulla scena pubblica come uno strumento della politica? Nel discorso pubblico sulla violenza io sento un vuoto di pensiero e di vita, una mancanza di verità.

La falsità dei discorsi sulla violenza emerge potente dopo le azioni dei Black Block.
La loro violenza non è quella del ’900, quella delle avanguardie che prefiguravano l’insurrezione, non è quella degli anni ’70 che mirava ad alzare il livello dello scontro. Non è neanche il vandalismo, la rabbia degli impotenti, il gioco dei figli di papà, lo scontro machista con lo forze dell’ordine che mima il simbolico della guerra. Il gesto politico del BB non è solo spaccare la vetrina del negozio di lusso o fracassare lo sportello del bancomat, ma attivare una filiera di immagini e parole di cui sono protagonisti i grandi mezzi di comunicazione di massa, i giornalisti e la politica, e anche noi. Il gesto dei BB si compie con le dichiarazioni di chi chiede di condannarne la violenza e di chi si affanna a depotenziarne la natura politica.

I BB sono poco più che una immagine, che non è poco ma tanto. Le foto dei loro travestimenti lasciati per terra nelle strade di Milano mostrano la potenza delle immagini e delle maschere. Quando uno di loro finisce nelle mani della giustizia ci ritroviamo con niente in mano. La punizione esemplare diventa subito abnorme. Qualcuno ha parlato di teatro. Ma fare teatro è uno degli eventi umani più potenti che conosciamo, la capacità di trasformare un evento reale in un evento simbolico. Il teatro usa la realtà come un segno, va dove non c’è simbolizzazione e la crea. Non so se i BB lo sanno e se sono all’altezza del teatro, ma certamente il loro “teatro” fa paura e fa discutere su cosa sia violenza.

Il conflitto che essi aprono è dunque sui significati. La violenza dei BB mostra i limiti di ogni discorso sulla violenza e su ciò che la legittima di fatto, cioè il potere. La violenza è nel cuore del nostro sistema economico e la fonda, è nel cuore della cultura patriarcale in cui fondano le nostre radici, è nel cuore del nostro diritto e all’origine stessa della legalità. Nessuno sa dare ragioni vere per non usarla, oltre al rischio che ti si ritorca contro, e non pochi rinunciano ad avvantaggiarsene, come succede quando qualcuno dice a un altro «non ci sono alternative» per togliergli la scelta. La violenza circola come un sistema di equivalenze, un meccanismo del pensiero maschile come l’universalità e l’uguaglianza. I BB non hanno bisogno di giustificarsi e lasciano le parole ad altri, a discorsi senza verità e senza autorità. La loro violenza lascia parlare questo vuoto di autorità. Dove c’è il libero riconoscimento di autorità non c’è violenza. Il capitalismo opera senza pietà e i BB agiscono con cinismo, senza sensi di colpa.

I BB portano sulla scena anche un’altra immagine, la violenza di coloro che non dovrebbero contare niente. Forse si sono resi conti di non essere così deboli? Questa è la grande preoccupazione del potere. Non riguarda la violenza in sé, ma il simbolico: cosa ha davvero valore. Le élite dell’1% possono ancora contare sulla nostra “servitù volontaria”, come la chiamava già nel ’500 il filosofo Étienne de La Boétie, e forse se ne meravigliano. Ma il simbolico può cambiare.

La violenza dei BB mostra il simbolico ma non lo cambia. La sua forza è la debolezza altrui. I BB agiscono ma non attivano relazioni vere intorno a sé, in cui accade altro. A me mostrano l’impotenza della politica dei partiti e dei movimenti, di pratiche di lotta che non funzionano, non aprono conflitti veri, non creano alcuna preoccupazione, non spostano i rapporti di forza e non hanno la forza della verità. A volte sembrano anche loro alla ricerca di una visibilità in uno spazio pubblico finto, come se non si avesse fiducia di quel che si può far capitare nelle relazioni.

Per questo ora è importante l’imprevisto delle donne. Non una teoria, ma il modo in cui si può stare al mondo senza cancellare la differenza e il partire da sé, creando relazioni che cambiano. Le donne hanno da tempo visto che la violenza è tra noi, è nelle relazioni. E ne hanno preso le misure, continuando a mettere al mondo la vita. Dal femminismo possiamo imparare che la violenza e l’espropriazione si contrastano con forza quando viene meno la rappresentazione di sé come miseria e questo è quel che cerco di fare, insieme ad altri uomini e donne.

Questo cambio di paradigma ci mostra che l’equilibrio di potere che permette quell’espropriazione è fragile, non ha la forza della vita e dell’amore, e senza la violenza non sta in piedi. Per rompere questo equilibrio dobbiamo trovare il coraggio di osservare e nominare tutta la violenza che abbiamo dentro e che ci circonda, che sta in ogni nostra relazione, e capire come trasformarla. La strada è quella del conflitto nelle nostre vite, tra uomini e donne, laddove ciascuno e ciascuna ha qualcosa da guadagnare.

Nelle relazioni la partita è sempre aperta. Cantava Abbey Lincoln The world is falling down, hold my hand, «Il mondo sta cadendo, tieni la mia mano». Da questo gesto può nascere una grande forza. La caduta si può trasformare in volo.
(Libreriadelledonne.it 22/05/2015)

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