16 Luglio 2015
#VD3

In vacanza per sempre. Introduzioni e commenti

Via Dogana 3, 2° incontro, 12 luglio 2015, In vacanza per sempre

 

di Laura Minguzzi e Luisa Muraro

 

In vacanza per sempre è il titolo che diamo a questo incontro. È un invito ad alimentare le risorse della felicità scoperte con il femminismo. Pensiamo alle presenze amicali. Pensiamo all’intelligenza (intus legere, leggere dentro) di quello che accade in oscure caverne e alla luce del sole. Pensiamo alla magia di ri-trovarsi con (o: in) altre e altri per uscire da muri troppo stretti, o per attraversarli, se non hanno passaggi.

Noi due, Laura Ming e Luisa Mur, cercheremo di darvi il buon esempio con la nostra introduzione di quattro argomenti. In tutto, venti minuti, dopo di che verrà lo scambio allargato con idee liberamente affioranti e poi, intorno alle 13.30, lo spuntino sul posto, un luogo che quasi tutte/i conoscete, fresco al naturale (non:forced air).

Luisa Muraro:

Viviamo in “un mondo in disordine”, per usare le parole di un tale che parlava del suo tempo, mille anni fa. Ci incontriamo per scambiare idee e farci forza. Il mio invito è di cercare sempre la verità soggettiva. Non è facile trovarla.

Come al primo incontro, Laura Ming e io ci alterneremo con due argomenti ciascuna.

Laura Minguzzi:

Prima questione da porre alla discussione: vorrei riprendere un punto discusso nell’incontro del 17 maggio scorso, e cioè la questione della qualità delle relazioni e dell’autorità femminile. Mi interessa il tema perché include differenti questioni irrisolte. Una di queste è il rischio di idealizzare non solo i progetti ma anche le singole donne con sofferenze, rotture, cadute del desiderio e messa in forse dei progetti stessi. L’idealizzazione blocca l’immaginazione, la realtà viene come offuscata e invece di figure dello scambio si creano figure illusorie o false aspettative. Se è vero che le buone relazioni fanno vivere i progetti, ne sono la linfa vitale, allora non esiste più un progetto a sé stante, al di fuori di noi, che dobbiamo tenere in vita a qualsiasi costo. Queste considerazioni mi portano a riflettere su un evento recente: il convegno di Mestre del 20 giugno, intitolato Un passo avanti d’autorità, promosso da amiche delle Vicine di casa, Sandra De Perini e Desirée Urizio e da alcune fondatrici dell’Associazione per l’autorità femminile nella politica per sostenere il libro Sovrane di Annarosa Buttarelli e il suo progetto politico. Il libro è stato presentato in varie città d’Italia creando molte aspettative, così mi ha riferito Sandra, che si è sentita chiamata a non deluderle. Io ho deciso di non partecipare al Convegno. Una decisione sofferta. Sandra mi aveva mandato il volantino d’invito via mail e leggendolo avevo provato un senso di disagio e di sconcerto. Percepivo un non detto e non mi era chiara la finalità dell’incontro. Invece di telefonarle subito ed esprimerle le mie obiezioni ho aspettato, incerta sul da farsi… Avevo intuito che l’invito arrivato via mail con la scheda di iscrizione (a cose fatte quindi), era un segnale del suo timore che a voce potessi criticarla. Infatti avrei voluto dirle che non capivo il senso della ripetizione del titolo del Convegno della Rete delle Città vicine dell’anno scorso, in cui si era discusso lo stessa tema, e che non mi sentivo coinvolta in un tipo di pratica politica che mi sembrava più ispirata da un libro che da una pratica concreta di relazioni, pur se conflittuali. Così ho preferito l’attesa. Sandra insospettita dal mio silenzio mi ha chiamata e ho potuto così esprimerle tutte le mie perplessità. Le ho comunque suggerito che sarebbe stato meglio non tacere sul percorso conflittuale che l’ha portata ad allontanarsi dalla Rete delle città vicine, mentre da parte mia ho pensato che dovrò affrontare questo nodo irrisolto nella prossima tappa, in una città ancora da definire, della Comunità pensante che si è costituita a Mestre.

Luisa Muraro:

Il nome del co-pilota? Dicono che sia Depressione.

L’allarme è stato dato a un convegno dell’Ass. italiana di psichiatria: il rischio che le donne corrono di cadere in depressione è perlomeno doppio di quello maschile. Fonte: Il nostro stare al mondo del Centro studi e documentazione del pensiero femminile di Torino, un contributo di Ferdinanda Vigliani, E se non la chiamassimo depressione?, che sul tema segnala Anna Salvo, Depressione e sentimenti, Mondadori.

Le donne sono in prima linea, ma non è come per l’isteria; il problema della depressione è della nostra civiltà. Notizia di questi giorni: una giovane donna di 24 anni, in Belgio, ha chiesto l’eutanasia (ammessa dalla legge in quel paese) per le sofferenze della depressione, con tre pareri medici favorevoli.

Conoscete il film dei fratelli Dardenne, Due giorni, una notte , e sicuramente ricordate che la protagonista, in lotta per il suo posto di lavoro, soffre ancora per i postumi di una grave depressione. Sandra Burchi così commenta il film dei Dardenne: lo sfondo è un’Europa impoverita, incattivita, smemorata, in preda agli effetti di trasformazioni non gestite.

Dal film viene una risposta: la protagonista, aiutata da una compagna e dal marito, fa appello a tutte le sue forze, combatte e vince la battaglia più importante.

Seguendo l’esempio di Antoinette Fouque, di Cixous… in tema di isteria, di Francesca Avanzini (Ha ballato una sola estate), del gruppo Demau, tanti anni fa, in tema di anoressia, io propongo che diamo compimento simbolico al voler dire della depressione, che di suo è come un’opera a metà, incastrata fra patologia e infelicità…

Laura Minguzzi:

Alla maturità di quest’anno due temi della prima prova d’italiano riguardavano la resistenza. Mi ha fatto piacere perché amo la storia. Ma secondo le statistiche riportate dai media quest’argomento è stato scelto da una percentuale bassissima di candidate/i. La storia come sappiamo non è molto amata a scuola. Questo fatto mi rattrista, consapevole, grazie al mio lavoro di riflessione con la Comunità di pratica della Storia vivente, che senza consapevolezza e memoria del proprio passato non c’è futuro di libertà e non c’è felicità. Memoria non neutra ma reinterpretata a partire dall’esperienza femminile. La cosa mi ha fatto pensare all’attualità, cioè alle donne curde combattenti di Rojava. Io, quando leggo della loro lotta, le sento parlare nelle interviste, sento che stanno dicendo qualcosa che è differente dalla lotta armata partigiana cui le donne in Italia hanno partecipato. Affermano di combattere per la loro libertà, oltre che per creare un Kurdistan libero. Non credono ai due tempi perché sanno che in passato le donne sono state ingannate da questo schema emancipatorio. Ma poi fanno anche riferimento al partito di Öcalan, il PKK. Vedo una contraddizione, ma anche una grande capacità di stare nella contraddizione e di aprire a nuove possibilità nel contesto caotico di disordine simbolico post-patriarcale in cui si trovano l’Irak, la Siria e la Turchia.

Luisa Muraro:

Che cosa possiamo leggere nella crisi euro-greca alla luce del primum vivere?

Mi riferisco al primo capitoletto dell’ultimo Sottosopra, un vero e proprio manifesto sul lavoro intitolato Immagina che il lavoro, ottobre 2009. Sottolineo il “leggere”, diversamente dalla tendenza a giudicare e a schierarsi, che non condivido. In me sento di aver avuto troppa voglia di avere ragione e ora preferisco fare lo sforzo di capire quello che accade.

Sicuramente molte affermazioni del capitoletto, titolo Primum vivere. Anche in tempo di crisi, ne escono confermate.

Si prova un senso di schiacciamento. La soggettività di chi vive le cose giorno per giorno è annullata. Oppure, aggiungo io, rimodellata dal trovarsi con un debito che non riesce a pagare, ritrovarsi sempre inadeguata. Gli stati, dice il Sottosopra (ma nel caso della Grecia è l’Europa), hanno dato soldi e soldi alle banche e non a chi lavora (non al popolo, ha detto Tsipras). “Popolo”: parola demagogica? La troviamo anche in Sovrane di Annarosa Buttarelli, in coppia con “donna”.

Non c’è demagogia nel manifesto Immagina che il lavoro, che ha uno stile quasi colloquiale, antiretorico. Invece nella crisi euro-greca il rischio c’è, da più parti (dei Greci, degli antieuropeisti…).

Nel manifesto si polemizza con la scienza economica in nome di un’economia messa su nuove basi. In queste settimane della crisi euro-greca abbiamo ascoltato delle critiche agli errori dell’economia ma un inizio di ripensamento radicale non è emerso: forse c’è e deve ancora affiorare? C’è la sua premessa? Ci sono spiragli di una concezione alternativa?

L’unico valore non monetario emerso nelle trattative: la giustizia sociale, che però non si riesce ad assicurare. Troppa evasione, troppo disordine fiscale, da una parte. Troppa preoccupazione per l’assetto finanziario, dall’altra.

È un valore anche l’orgoglio della risposta No al referendum del 5 luglio, indubbiamente.

Nel manifesto del primum vivere si parla di considerare l’esperienza e il sapere della quotidianità come una leva per cambiare il lavoro e l’economia. Qualcosa sta accadendo che va in questo senso? O sono utopie, cioè cose giuste ma destinate a una realtà troppo distante dal nostro presente?

A me interessa stare al presente con buon senso per quel che riguarda le vie da prendere in pratica ma con prospettive audaci, senza buon senso mentale e verbale. Mi interrogo anche su Angela Merkel che non parla tanto come gli altri, non parla quasi…

 

Commento di Luisa Muraro all’incontro di VD 3, 2° incontro, scritto l’indomani, 13 luglio.

Oggi c’è l’accordo dell’Europa perché la Grecia rimanga in Europa e nella zona euro. A quali prezzi, per i Greci e per tutti noi europei, non so. Ma lo sapremo.

Nell’incontro di domenica si è parlato molto della crisi euro-greca, il secondo dei due argomenti da me proposti. La tendenza di alcune era di parlarne come veniva, c’era lo schieramento esultante per la vittoria dei No al referendum greco del 5 luglio («Ce l’abbiamo fatta», «Vittoria entusiasmante»…), l’innamoramento per Tsipras, come già in passata per Vendola («uomo nuovo», «sta imparando»…), le accuse per i dirigenti dell’Europa, Merkel e Draghi compresi, tutti cattivi…

Sentivo risuonare in me il commento, innocente e misogino, del mio nipotino di sei anni: ah, le femmine!

Dalle rivolte del No alla rivoluzione dell’economia il passo è lungo… Alt! I No possono avere il loro significato e valore ma non sono il primo passo verso il cambiamento, ci vogliono dei sì. Abbiamo qualcosa da dire alla luce del primum vivere?

Sì. Su alcuni blog greci è apparso l’invito che viene da economisti, a stare all’essenziale, a innamorarsi di quello che veramente vale, con una critica dei consumi fatti senza criterio. I consumi! Che bello liberarsi del superfluo: in Grecia hanno inventato delle botteghe dove uno porta il superfluo in cambio di quello che gli è necessario: una bella trovata! «Non parlate male del superfluo: quando ho potuto comprarmi qualcosa in più, io mi sono sentita felice», obietta una. Il punto è questo, un’economia della felicità: ridefinire la crescita, parlare del lavoro, tutto il lavoro necessario alla vita… Come ha detto Ida Dominjanni, finalmente ricomincia la politica.

Sì, durante la crisi si sono aperti spiragli verso un’economia alternativa. Su tutto questo ci sono racconti e inchieste. Vorremmo conoscerle.

Quello che sta capitando non è leggibile in chiave esclusivamente economica. E nelle trattative che vanno avanti da mesi, non ci sono soltanto rapporti di potere. Ci sono correnti di fiducia, alleanze taciute, attese…

Il Sottosopra dice chiaramente che un cambiamento radicale di prospettiva, nel senso del primum vivere, verrà a condizione di portare uomini a vivere la vita quotidiana, alcuni cominciano a starci, ma la loro non è ancora esperienza parlante.

Gli interventi sulla crisi euro-greca si sono intrecciati e qualche volta mescolati con l’altro argomento, quello della depressione. Su questo tema è emersa subito una notevole competenza, in parte di origine scientifica o professionale, in maggior parte ricavata dall’esperienza personale e da letture libere. Nessuna difficoltà, su questo tema, a mettersi sulla strada per cogliere il punto di vista proposto nell’introduzione del tema: che ci sia lettura e trasformazione di questa sofferenza così diffusa tra noi e spesso dentro a noi.

Si è discusso del ricorso agli psicofarmaci: sì, no, ma solo per arrivare al punto. La depressione è una grande opportunità, dice una. Quale depressione? C’è una forma diffusa e c’è una forma grave… Ma quando parlano i vissuti, la dualità si attenua, e da un fondo cieco sale comunque la minaccia di uno squinternamento di sé.

La sofferenza più sensibile è data dalla perdita del desiderio (ma una dice: «mi fa perdere la ragione»), da cui un senso d’impotenza verso l’esterno. La risposta è ritrovare una certa padronanza. Ma come? Non isolarsi, non restare sole.

I dati del confronto fra i sessi vengono contestati: oggi gli uomini sono generalmente alquanto depressi. Le donne sembrano molto più esposte degli uomini a questa sofferenza perché chiedono aiuto più spesso e più chiaramente degli uomini. Questi ricorrono al suicidio quattro volte più delle donne… dove? In Europa… Oppure, prendono iniziative politiche, si aggregano velocemente e lanciano progetti senza pensarci tanto, tanto per reagire: al fondo di questo comportamento, la difficoltà che hanno a riconoscere la loro dipendenza.

Qualcuna respinge l’etichetta di “patologia” per la depressione. Era anche l’invito della Vigliani: e se non la chiamassimo depressione? Seguendo un filo di ricerca su cui sto lavorando, ho proposto di vedere in certe sofferenze che non hanno cause oggettive ma sono reali e s’impadroniscono della persona, vederci il farsi di un’opera d’arte che non ha trovato ancora compimento.

Alla fine dell’incontro (nel quale si è molto parlato anche di relazioni tra donne e con gli uomini, tema proposto da Laura Ming), sono tornata sulla verità soggettiva: oltre alle relazioni con altri, conta molto anche la relazione tra sé e sé. Come in una tenaglia, qui spesso resta presa la verità soggettiva, per cui quello che di fatto mettiamo a disposizione di altre, altri, spesso è una mezza finzione… un’opera d’arte malamente rifinita.

 

 

Commento per VD3 di Laura Minguzzi.

«E se non la chiamassimo depressione?» dice Ferdinanda Vigliani del Centro studi e documentazione del pensiero femminile di Torino. «Dare compimento simbolico al voler dire della depressione» dice Luisa Muraro.

Luisa chiude l’incontro di VD3 di domenica 12 luglio invitandoci a cercare ancora per trovare più verità soggettiva. Ci proverò. A me parla di più la parola “crisi” e sarei propensa anch’io a non chiamarla depressione perché in realtà si tratta di una crisi che taglia la propria vita in due, un prima e un dopo. Un taglio profondo che mette in discussione tutto. Come ha detto Silvia Motta «fa crollare le proprie sovrastrutture personali». Coinvolge il corpo prima di tutto ma è l’anima che si ammala per prima. Ci si avvolge su se stesse/i come un gomitolo. La caduta a precipizio del desiderio di vivere a certe condizioni provoca lo scatenamento dell’evento. Per questo si riallaccia assolutamente in linea diretta con il manifesto del Primum vivere.

Mi ricordavo di avere letto durante i miei studi un testo di Balzac in cui sosteneva che a trent’anni la vita di una donna subisce un giro di boa, cambia completamente. Poi avevo sentito dire che la depressione colpisce le donne in menopausa perché rifiutano di invecchiare. Questa spiegazione mi era stata data da uno psichiatra quando mia madre si ammalò e le prescrisse l’elettrochoc. Il sapere maschile sulle donne non può competere con l’ampia conoscenza che le stesse hanno per esperienza personale. Avevo trent’anni e un cambiamento s’imponeva allora in conseguenza delle mie scelte di libertà, ma non avevo la forza necessaria per andare fino in fondo. Stavo in mezzo al guado. Mi guardavo indietro e recriminavo su ciò che mi sarei lasciata alle spalle. Non volevo abbandonare quello che avevo costruito, le relazioni, cambiare città, allontanarmi dagli affetti per proseguire la mia strada. Ecco che si poneva l’aut aut, o questo o quello…

Una società fondata su tali presupposti che ponevano certe condizioni per potere realizzare un desiderio e quelle condizioni io le rifiutavo. Oggi penso, a ragione, che una simile società deve cambiare. Il mondo deve cambiare perché il mio desiderio non porti sofferenze e provochi malattia.

Pensare occupava tutto il mio tempo, non avevo tempo per altro. Sono persuasa che il rifiuto di vivere contiene tanta rabbia e la comprensione profonda di quello che dovrebbe modificarsi perché si possa vivere con agio. Sono stata tirata su dal sottosuolo da una donna che non ha avuto paura delle accuse di maternage che le erano rivolte mentre si prendeva cura di me. Mi sorvegliava, una guardiana della vita, della mia vita. Anche lei stava attraversando un passaggio faticoso di grande cambiamento e forse per questo poteva capire e sopportare il mio stato di morte apparente. Uno stato che si può paragonare ai semi nel terreno ricoperto di neve che si trasformeranno nei germogli di grano in primavera. Bisogna crederci in questa metamorfosi.

(Via Dogana 3, 16 luglio 2015)

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