13 Giugno 2015

Intervista di Luisa Muraro a Marisa Forcina

A Lecce, dal 7 al 10 settembre 2015, si svolgerà la Scuola estiva della differenza, tredicesima edizione. Ogni anno, ad ogni nuovo incontro, l’editore Milella di Lecce, pubblica la raccolta dei contributi dell’incontro precedente.  

Tema di quest’anno: In relazione: e perché? Bioetica, biopolitica e tanatopolitica.

 

Intervista di Luisa Muraro

a Marisa Forcina, fondatrice e organizzatrice della Scuola

 

Come nasce la Scuola estiva, chi l’ha ideata, chi la vuole, chi la cura?

Ti posso davvero raccontare come nasce. Era febbraio, credo, del 2002 e con Francesca Brezzi, che era venuta dalla sua Università romana per tenere una lezione di filosofia morale, eravamo sedute nella mia cucina per un caffè. Il caffè non è mai solo una bevanda: se non c’è l’intossicazione della fretta e della banalità, è sempre occasione di un’apertura che consente di annusare anche un desiderio. Il nostro era il desiderio di costruire una costante occasione d’incontro tra filosofe che della libertà femminile facevano sapere e scelta di vita. Francesca Brezzi aveva già collaborato con noi dell’Università di Lecce per la realizzazione del convegno internazionale del 1992, dedicato a “Filosofia, Donne, Filosofie”. Quel plurale, “Filosofie”, ci caratterizzava aprendo a una pluralità non solo nella filosofia, ma nella politica e nei saperi e, perché no, anche nei modi di pensare. A cominciare dal femminismo. A patto, però, che ciascuno di questi modi di pensare corrispondesse a un modo autentico di essere, vissuto nella coerenza della propria esperienza e del proprio libero progetto di vita.

Tanti gli incontri di quegli anni, da Luce Irigaray a Françoise Collin ad Adriana Cavarero a Enrichetta Susi… e voi di Diotima, soprattutto te e Chiara Zamboni. Noi, che abitavamo in provincia, al Sud, eravamo legate ai luoghi di elaborazione e di pratica politica più noti e più importanti dall’andirivieni significativo di alcune: penso a Pina Nuzzo dell’Udi, ad Ada Donno della storica Wilf. Quando non ci potevamo spostare, facevamo venire chi avrebbe potuto essere per noi occasione di dialogo, di confronto, di autorizzazione a continuare, a essere, a osare. L’idea di una scuola estiva non era nuova. La scuola delle storiche era già un modello consolidato e molte avevano partecipato: io stessa vi avevo tenuto una lezione. Annarita Buttafuoco, che dirigeva quella scuola combattendo la sua malattia, per vari legami ci era vicina. Ma non ci fu il tempo di poterla coinvolgere.

Con il “Centro delle donne” di Lecce, completamente laico, avevamo sperimentato un sorprendente dialogo con un luogo di clausura: il monastero delle benedettine. Le monache benedettine a Lecce, e non solo, erano e continuano ad essere note per la produzione dei dolci di pasta di mandorla e, da alcuni anni, per la gestione della casa editrice Milella, ma sono note anche per la modalità con cui il monastero, da secoli, ha sempre saputo porsi al centro della vita delle città in un ascolto che di volta in volta si è rivelato come promozione di lavori o iniziative o soggetti o associazioni. La clausura non aveva mai privato la badessa né dell’autorità né della libertà che il suo ruolo di responsabile di tutti i monasteri femminili dell’Italia centro-meridionale le conferiva. Inoltre, il monastero non aveva mai avute abrogate le libertà che derivavano dal suo essere una abbatia nullius diœcesis, ossia una abazia con giurisdizione episcopale. La nostra ricerca di libertà, di verità, di come vivere in modo autentico l’esistenza e le sue relazioni era completamente diversa da quel luogo, i linguaggi erano diversi, così come lo erano i paradigmi e le norme, ma in particolare con una monaca, suor Luciana, avevamo imparato a condividere alcuni passaggi, non certo verso i modelli e le norme, ma verso la medesima aspirazione a comprendere ciò che è vero ed essenziale. Scegliere il monastero come luogo per incontri femministi e, in seguito, per lo svolgimento della scuola, non fu solo una questione logistica, ma fu il tentativo di segnare una innovazione radicale di una geografia politica.

 

Restano le due altre domande: chi la vuole, la scuola estiva, chi la cura?

Certamente posso rispondere che l’Università la vuole, tanto più che da quest’anno ha scoperto che le scuole estive sono giudicate non solo positivamente, ma che realizzano un buon punteggio nel sistema nazionale di valutazione degli atenei. Ma, ben più che dall’Università, la scuola estiva è stata voluta da “noi”. E non sto usando il plurale maiestatis. Noi, siamo sempre la rete di relazioni che riusciamo a costruire. Oltre ai nomi che ho citato prima, potrei aggiungerne tanti altri, ma più significativi per motivi diversi sono stati certamente Christiane Veauvy, che ha sempre creduto nell’efficacia e nelle risorse che questa scuola mette in gioco, e Fiorella Cagnoni, che, da quando vive stabilmente nel Salento, ha rappresentato per la scuola estiva e non solo, nello spirito della Libreria delle donne di Milano, un sostegno efficace e generoso e un pensiero attento e rigoroso. Dalla definizione dei programmi alla collaborazione nell’ospitalità, all’aiuto per la cura degli atti, con il suo spirito critico la sua vicinanza è preziosa. E poi, ci sono a volerla questa scuola tante donne di varie città d’Italia che desiderano incontrarsi e confrontarsi nelle giornate leccesi. Con il loro iscriversi alla scuola ne permettono l’esistenza e la curano. Direi che vogliono la scuola anche le docenti che vi partecipano e che non hanno nemmeno il rimborso delle spese di viaggio.

Da parte mia impiego molte energie in questa iniziativa, anche perché desidero che il sapere che è stato prodotto dal femminismo al di fuori dell’Università venga riconosciuto e insegnato proprio nelle Università deputate ad essere il luogo di formazione per eccellenza. Non si tratta di dare legittimità a questo patrimonio, ma di diffonderlo ulteriormente, facendo sì che diventi davvero pensiero e sapere per tutti. Il femminismo come movimento ha innovato i saperi, a cominciare dalla filosofia e dalla politica. Far assorbire questi saperi dalla istituzione non significa prosciugarli, ma dare ad essi stabilità e, nello stesso tempo, consentire quello sguardo aperto pronto ad accogliere le ulteriori risorse e novità.

 

Quest’anno noto che, per la prima volta, anche l’inaugurazione della Scuola si terrà nel Monastero delle Benedettine di Lecce. In passato la prima giornata si svolgeva nella sede centrale dell’Università. Ho due domande: vuol dire che l’Università si tira indietro? Pensando alla tensione che c’è tra pensiero femminista e dottrina ufficiale cattolica, dobbiamo prevedere qualche cambiamento nell’impostazione della Scuola?

Le Università, soprattutto quelle periferiche, in questi ultimi anni hanno subito un impoverimento crescente. Far durare un giorno di meno la scuola significa poter risparmiare sulle spese. Ma il rapporto con l’Università si è complicato, paradossalmente, per la motivazione opposta. L’Università ne ha scoperto l’efficacia e ha equiparato la scuola estiva ai corsi di perfezionamento, ma contemporaneamente l’ha caricata di una serie di pesi normativi che diventano difficilmente sostenibili. Sicché come avviene sempre quando le norme proliferano, la paralisi è già dietro l’angolo. A meno che il desiderio di una politica altra non riesca ancora una volta ad alzare il tiro e le risorse, persino quelle dell’Università.

Il tema di quest’anno riguarda le relazioni. Oggi da tutte le parti si dà importanza alle relazioni, segno che forse, purtroppo, stanno diventando sempre più impraticabili. Vero è che, in passato, per salvaguardare le relazioni (in famiglia, per esempio) si sacrificava molta libertà femminile. Ti risulta che gli uomini che predicano le relazioni oggi siano disposti a sacrificare una parte dei loro privilegi? E non soltanto in famiglia?

Qualcosa sta cambiando, la cura non è vista solo come un peso, ma come un’occasione di crescita politica e spirituale da non sprecare. I giovani maschi cominciano a capirlo. C’è anche qualcuno più maturo, ma in gran parte mi sembra che ci sia un lungo cammino da fare, a cominciare da come noi madri ci relazioniamo con i nostri figli.

 

Leggo nel titolo una parola impressionante, “tanatopolitica”. Intuisco quello che cosa significa, politica della morte, ma nessun contributo messo in programma riguarda quest’argomento. Di che cosa si tratta, dunque? Delle mafie rese potenti dal loro disprezzo della vita? Dell’Isis che si fa propaganda con atroci spettacoli di persone ammazzate? Dei paesi che continuano a praticare la pena di morte? D’Israele che ha bombardato la popolazione della striscia di Gaza? O di che altro?

Semplicemente: il titolo rappresenta una contrapposizione politica. Da un lato, e prima, ci sono le relazioni, la cui efficacia e importanza è esplicitata in gran parte delle lezioni indicate nel programmi. In assenza delle relazioni, il potere governa con i suoi dispositivi la vita, la morte e i comportamenti della gente e abbiamo percorsi di bioetica, biopolitica e tanatopolitica. Nessuno spazio per il soggetto e i suoi desideri in una politica di questo tipo. Anzi è la guerra. Perché davvero questa terza guerra mondiale, che si sta combattendo a pezzi, come dice papa Francesco, è tale, non tanto perché riguarda pezzi di geografia, ma perché riguarda i pezzi di umanità che vengono completamente cancellati con forme sempre nuove di sradicamento. E lo sradicamento è la prima e più violenta politica di morte. Ne sappiamo molto noi che viviamo nel Salento, dove una politica di sradicamento dei nostri secolari ulivi presunti colpiti da xilella avrebbe innescato in realtà un dispositivo di desertificazione che avrebbe coinvolto non solo il terreno. Le nuove forme di guerra, guidate da aggressioni economiche si combattono così. Perché, a farne le spese, non sono più i soldati in trincea o gli uomini sotto i bombardamenti, a farne le spese è un paesaggio e l’anima che vi si riconosce e vi si rispecchia. E, quando muore l’anima, è l’inferno. E questo non è solo un linguaggio da credenti nel cristianesimo.

 

Nel sud dell’Italia, tra Napoli e Foggia, è vissuta una donna eccellente, Maria Celeste Crostarosa (1696-1755), il cui nome ha messo insieme, a Foggia, uomini di chiesa e donne del femminismo. Bene, ma io aspetto di vederlo comparire, quel nome, nei programmi della Scuola, tanto più che Foggia non è lontanissima da Lecce. Ci sarà molto da aspettare ancora?    

Questo non te lo so dire. Come al solito tutto dipende dalle relazioni che sapremo coltivare. A cominciare da quelle di quest’anno durante la scuola estiva.


(www.libreriadelledonne.it, 13/6/2015)

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