6 Dicembre 2013
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Intervista/ Stefania Tarantino tra musica e filosofia

di Alessandra Pigliaru

Stefania Tarantino è una filosofa, musicista e femminista napoletana. Per lei non sono tre ambiti separati, ma un connubio singolare frutto di una ricerca personale iniziata più di quindicina d’anni fa e ancora in atto.  Alla fine degli anni Ottanta entra in relazione con Celeste Zaccaria, femminista e sua maestra di solfeggio e pianoforte, una figura centrale nella sua formazione sia musicale che politica. Intorno ai diciotto anni si trasferisce a Napoli e qui comincia a sperimentare i primi componimenti, testi e partiture, separandosi dal repertorio classico e tentando nuove formule. Frequenta l’ambiente underground, si iscrive alla Facoltà di filosofia e comincia una densa attività politica. Proprio in questi anni conosce Maria Letizia Pelosi, chitarrista e co-autrice con cui anni dopo fonderà la band musicale Ardesia. Le esperienze sono numerose sia nel sud Italia che all’estero [1] e i fili che Stefania decide di non recidere mai sono quelli che le consentiranno di studiare filosofia e occuparsi ancora di musica.

Ciò che tiene tutto insieme è la passione per il pensiero e la scrittura delle donne. Da Hannah Arendt a Virginia Woolf, passando per Emily Dickinson, Carla Lonzi e molte altre, per Stefania ci sono parole che vanno meditate, apprese, diffuse e trasformate in testi musicali. Studiosa rigorosa, scrive saggi filosofici di un certo rilievo [2]. Ora, per esempio, sta per consegnare due volumi, uno dei quali questa volta tratta la relazione tra Simone Weil e Maria Zambrano. Eppure, nonostante il lavoro sul pensiero e sulla scrittura, pensa che il lavoro sullo sconfinamento dei linguaggi sia fondamentale per sperimentare nuove esperienze artistiche e politiche. Così come succede nel primo album di Ardesia, Incandescente, che ho ascoltato dalla sua viva voce lo scorso ottobre a Paestum, rimanendone colpita.

Cominciamo da Incandescente che tu e Maria Letizia Pelosi avete inciso dopo aver raccolto numerosi pezzi scritti in precedenza. Ci sono testi bellissimi ispirati a molti momenti importanti della letteratura poetica, della filosofia ma anche più in senso stretto della politica. Penso all’audacia per aver contaminato Carla Lonzi e uno dei suoi libri più belli, Vai pure. Quale è il tuo approccio quando decidi di musicare un testo e che tipo di riscrittura metti in atto?

«Prima di tutto devo sentire risuonare in me ogni singola parola. L’approccio alla musicalità intrinseca nelle parole è per me fonte di libertà e di creatività. Lascio che siano loro a “fare” e “produrre” qualcosa in me, non il contrario. Con questo voglio dire che una volta che ho trovato il filo rosso di un’idea, di un’emozione, di uno stato d’animo, la musica viene quasi da sé. Così è stato, ad esempio, per le due poesie di Emily Dickinson (The grass so little e I held a jewel) in cui la musica mi è letteralmente fuoriuscita dalle mani, o anche per Nu’segreto (l’ultima chiave), poesia scritta da una mia zia (Maria Albertina Lomello), una donna anonima e sconosciuta scomparsa ormai tantissimi anni fa che prima di andarsene ha lasciato a sua figlia una raccolta di poesie. Un giorno mia madre mi ha fatto dono di quella raccolta. Quella poesia mi si era appiccicata addosso, era diventata la mia preghiera quotidiana. Poi, non ho avuto dubbi: quella poesia doveva essere conosciuta, trasmessa, e ho deciso di musicarla e di tradurla nella meravigliosa lingua napoletana. Anche sulla rielaborazione di testi cerco di far emergere la parte che più mi ha colpito, che sento appartenermi perché tocca e fa vibrare le corde della mia anima. Mi capita allora di lavorare su una parola, su una frase, un periodo, e cerco di trovare il modo giusto per tradurla musicalmente e vocalmente. Poi, ci sono anche testi che non sono ispirati da letture, ma che sono nati da mie personali esperienze di vita come, ad esempio, Ad un’amica, Respira o Oscuramenti.

Nella canzone Incandescente  da cui l’intero album prende il titolo, avete voluto restituire l’intensità de Le tre ghinee. Ciò che vorrei sapere da te è quanto questa forza femminile ti accompagna in una scelta non facile e non commerciale come quella del progetto musicale di Ardesia. So per esempio che fino ad ora avete autofinanziato l’album.

«Si, l’album è stato interamente autofinanziato da me e da Maria Letizia Pelosi e finora il lavoro è stato “a perdere”, almeno dal punto di vista economico, il che mi ha creato enormi difficoltà trovandomi ancora in una situazione precaria, con contratti che oggi ci sono e domani non so. Nonostante questo, abbiamo creduto profondamente in questo progetto e non ci siamo arrese di fronte alle tante porte chiuse e ai soliti discorsi ripetuti quasi con le stesse parole da quelli del settore. In un video che ho visto di recente su youtube, Jodorowsky, parlando del cinema afferma che è qualcosa di “sacro” e che esso serve innanzitutto ad aprire la nostra coscienza. Proprio per questo lui ha scelto di non fare cinema industriale per guadagnare denaro ma, al contrario, ha scelto di fare cinema per perdere denaro. Ora, io di denaro da perdere non ne ho proprio e ho anche difficoltà a procurarmene come “precaria” della ricerca, però penso che questo tipo di radicalità, quando ne va di qualcosa di noi, di qualcosa di “sacro” in noi, e non solo del nostro guadagno o successo, sia la strada maestra per continuare a fare ciò in cui si crede. Ci vorrà più tempo, sarà più faticoso e complicato, ma si potrà fare».

Il prossimo lavoro si intitolerà Dove non potrò (da una poesia di Lina Mangiacapre  poeta e artista femminista). Mi hai detto che stai aspettando l’incontro giusto. Hai delle aspettative?

«Nella vita ci vuole anche un po’ di fortuna. A volte basta essere nel posto giusto al momento giusto e tutto cambia. Altre volte basta essere la moglie di, la sorella di, la nipote di, la figlia di, ecc, di qualcuno già avviato e riconosciuto ed è tutto è più facile. Questo accade in tutti gli ambiti. Ma la fortuna non elargisce i suoi doni solo alla cieca, a volte si sincronizza con quello che consciamente e inconsciamente stiamo cercando. Ciò che posso dire è che per passare dall’idea alla sua realizzazione (cioè incidere, produrre materialmente questo secondo album) avrei bisogno oggi di incontrare la persona giusta. Però, anche qui, non voglio forzature. Ogni incontro per me è un dono, accade come qualcosa di inaspettato ed è una cosa bella, bellissima, proprio perché tale. Qualcuno/a entra nella nostra vita. Qualcuno/a che prima non c’era, che non immaginavamo potesse incrociare il nostro cammino, da un giorno all’altro sconvolge gli assetti già dati e consueti del nostro quotidiano. Ogni buon incontro ci fa conoscere qualcosa in più di noi stessi perché crea un’alchimia unica e irripetibile che non avevamo previsto. Così è stato, per citarne solo uno, l’incontro con Constance Frei quando vivevo a Ginevra. Musicologa e violinista, con lei è nato subito il desiderio, la curiosità di sperimentare e di suonare insieme. Mi auguro che, in questo preciso momento della mia vita, mi possano accadere nuovi incontri così: la possibilità di intrecciare la mia sensibilità ad un’altra per vedere cosa produce il contatto e per condividere un progetto comune. Del resto, sono convinta che se qualcosa si darà è perché, seppur imprevedibile e inaspettato, nulla accade a caso e invano!»

Nel nuovo cd ci sarà anche un brano ispirato alle pagine di Ondina se ne va di Ingeborg Bachmann che hai intitolato La collana di conchiglie. Un testo che parla della violenza sul corpo femminile e della difficoltà di amarsi nel pieno rispetto reciproco. Ce ne sarà anche un altro su Angela Putino  che, a proposito di incontri, per te ha significato molto. Desidero concludere questa nostra breve conversazione lasciandoti qualche considerazione proprio sulla tua relazione con lei.

«La relazione con Angela è stata molto importante e ha contribuito a rafforzarmi sul piano della contaminazione tra filosofia e musica. Come ho raccontato nel documentario realizzato da Nadia Pizzuti Amica nostra Angela  più volte, nelle nostre conversazioni mi spingeva a lavorare su questo. È stata una donna che sapeva ascoltare con tutto il corpo. Sembra una cosa facile ma non è così. Il suo era un ascolto che equivaleva a un’attenzione massima all’altro. Un atteggiamento profondamente ricettivo, che nasceva dall’equilibrio di attività e passività. La sua passione per il teatro, la sua ricerca continua di linguaggi che non fossero specializzati, faceva di lei una sperimentatrice nata e una donna capace di sostenere la tua passione fino in fondo. Vedeva lontano Angela. Qualche tempo fa una sua amica, Giovanna Petrelli, mi ha dato un testo che sto mettendo in musica e che abbiamo deciso di intitolare Ballata per Angela, un testo allegro e divertente che mette in primo piano tutta la sua ironia e la sua grande gioia di vivere. Ecco, è questo che più mi sta a cuore: raccontare piccoli frammenti dell’esperienza vissuta di alcune donne per me significative, narrare in pochi versi la loro “differenza”, cantarla e, in un certo senso, ringraziarle per il loro non essersi risparmiate e per l’aver innescato, tramite il pensiero e la scrittura, veri e propri processi di cambiamento necessari, oggi più che mai, a donne e uomini».

[1] nel 2000 scrive un’opera teatrale dal titolo La rivolta del 2640, andata in scena grazie al sostegno e l’appoggio del gruppo “Zezi teatro” nell’ambito della manifestazione “Maggio dei monumenti”. Dopo poco partirà per Ginevra, città in cui vivrà quattro anni e in cui darà vita al gruppo musicale “Retrovia” con cui si esibirà in molti locali della città.

[2] La libertà in formazione. Studio su Jeanne Hersch e Maria Zambrano (Mimesis) http://www.mimesisedizioni.it/Filosofie/La-liberta-in-formazione.html

Esercizi di composizione per Angela Putino. Filosofia, differenza sessuale e politica (Liguori)

 

http://www.societadelleletterate.it/2013/12/pezzo-3/

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