4 Gennaio 2013
formacinema.wordpress.com

La bicicletta verde

Monica Macchi

Il segno del femminile è la chiusura (persino nella grammatica araba ciò che contraddistingue il genere femminile è la ة  “ta marbuta” cioè la “ta chiusa” ) ed è significativo che le due principali scene di ribellione del film avvengano sulla terrazza, l’unico spazio aperto della casa. Nell’universo culturale arabo/musulmano la terrazza è un luogo simbolo di libertà a partire dal paradigma di Fatima Mernissi che nel suo testo “La terrazza proibita” identifica il controllo maschile sulla società  attraverso il controllo sul corpo della donna: l’Oriente manipola lo spazio e l’Occidente manipola il tempo (con la provocatoria tesi della “taglia 42” secondo cui la donna occidentale per essere ammessa nello spazio pubblico è costretta a sembrare sempre adolescente attraverso diete e chirurgia estetica) per non perdere il potere della forza che è destinato a soccombere di fronte al potere tutto femminile di creare ed educare.  Ed è proprio sulla terrazza che Wadjda prova per la prima volta la bici e quando sente arrivare la madre, ancora incerta per aver appena tolto le rotelle, incespica, cade e dice “mi esce il sangue” e subito la madre “Oddìo la tua verginità” ma Wadjda ribatte pronta “mi esce dal ginocchio, mamma!”. Ed è ancora sulla terrazza che la madre nella scena finale guarda la festa di matrimonio del marito con i capelli tagliati corti. L’atto di tagliarsi i capelli è un forte atto simbolico di ribellione che richiama la scena finale di un famoso e pluripremiato film libanese, (سكر البنات, tradotto come “Caramel” di Nadine Labaki, ambientato in un salone di bellezza a Beirut). E non solo si è tagliata i capelli ma ha anche rinunciato all’abito rosso che sarebbe dovuto servire a trattenere il marito.

 

Storie intrecciate di donne non come mondo a parte ma come intrinseco al potere maschile: e per una donna che perpetua questa subordinazione (la nonna materna che convince il padre a prendersi una seconda moglie per avere un figlio maschio) tutte le altre attuano strategie sotterranee di libertà per scardinarlo dall’interno (dalle compagne di scuole che si mettono smalto azzurro alla preside che grida “al ladro” per nascondere l’amante…proprio lei che rimprovera Wadjda dicendo “la voce delle donne non dovrebbe mai oltrepassare la porta…la voce delle donne è la loro nudità”). Moltissime donne si sono ritagliate il loro ruolo all’interno di confini che non hanno provato a rovesciare come, ad esempio Sitt-al Mulk e Hayzuran, che hanno ispirato il filone chiamato oggi “femminismo islamico”. Hayzuran, madre del Califfo abbaside Harun al Rashid, e Sitt-al-Mulk, signora del Cairo fatimide conoscevano la legge fondamentale dell’harem e l’hanno accettata e rispettata… l’elemento di disturbo non è rappresentato dall’intelligenza della donna ma dalla volontà di esistere in quanto volontà indipendente; infatti l’intelligenza può essere messa al servizio dell’uomo, la volontà di essere indipendente no ! E nella lingua araba esiste un verbo (coniugabile solo al femminile!) (نشز) per designare una donna che si ribella alla volontà del marito affermando la propria individualità…dalla stessa radice deriva (نشوز) un sostantivo che significa “disordine/disarmonia”.

Wadjda rivendica con intelligenza la sua volontà, quando all’annuncio della vittoria nella gara di Corano dichiara di voler comprare una bici ma “senza rotelle perché so già andare” e di fronte all’allibita preside che ribatte “Non si addice ad una ragazza che vuole proteggere l’onore…perché non regali invece i soldi ai fratelli palestinesi?” e poi in un crescendo replica stizzita “non è cambiato niente, il tuo comportamento ti perseguiterà per tutta la vita” e ancora una volta Wadjda pronta replica davanti all’auditorio al gran completo “Come il suo bel ladro con Lei?”.

Ma ci sono anche figure maschili che la sostengono a vario modo: l’amichetto Abdallah innanzitutto, che le regala il casco da bici e le dà 5 riyal per farla smettere di piangere, e il negoziante che le tiene da parte la bici, le vende il “quiz religioso” con lo sconto (interessante la carrellata tra i giochi del negozio tra cui “Fullah”, una sorta di barbie velata onnipresente in tutti i paesi arabi anche su zaini e quaderni) e la guarda bonario quando sfreccia con la sua nuova bici davanti alla casa della nonna dove stanno sbaraccando dalla festa di matrimonio e se ne va senza voltarsi urlando  (a chi?!?) “prova a prendermi adesso”.

Non invece il padre che si accuccia in convenzioni borghesi dicendo alla moglie “dammi un figlio maschio e andrà tutto a posto”, che accartoccia e abbandona sul tavolo il post-it con cui Wadjda ha aggiunto il suo nome all’albero genealogico tutto e solo al maschile proprio nello stesso giorno in cui Wadjda vince la gara di Corano e la madre non risponde al telefono, e non a caso è il padre l’unico che non riesce mai a ribattere a tono.

Dunque, come scritto nella locandina: “la rivoluzione si fa se c’è una ragazza sul sellino”, ma sul sellino ci deve essere una ragazza come Wadjda che ripete “Ho un piano”: unire intelligenza e volontà per fare la rivoluzione.

Monica Macchi

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