14 Aprile 2015

La controversa libertà di prostituirsi

di Silvia Baratella


Dare credito alla parola di altre donne a volte fa sorgere dilemmi. Per esempio sulla prostituzione.

Non credo se ne possa parlare senza ascoltare quello che hanno da dire le prostitute.

Leggendo Sesso al lavoro – da prostitute a sex workers della Tatafiore (1994), in cui è riportato anche il pensiero di Carla Corso e Pia Covre, e leggendo alcune prostitute blogger, si trovano voci di donne che rivendicano la loro scelta. Condivido molte cose che dicono, apprezzo la capacità che hanno di svelare la miseria simbolica degli uomini e il moralismo arrogante di chi le compatisce e pretende di “salvarle”. Anche i casi Ruby e D’Addario ci mostrano donne con un loro progetto di vita e determinate a realizzarlo. Non si sentono costrette a prostituirsi, l’hanno scelto.

Leggendo sul web la prostituta inglese Spin, scopro che rifiuta la definizione di sex work, “lavoro sessuale”, perché a suo avviso mira ad ammantare la prostituzione di una dignità che non ha per assolvere protettori e clienti che la sfruttano. Racconta che non è un lavoro “come un altro”, infatti lo si fa di nascosto, che non è una libera scelta e farla passare per tale non vuol dire rispettare le prostitute, ma perpetuare lo sfruttamento sessuale delle donne. In effetti… se non è “sfruttamento” ma “libera scelta”, la società non ha motivo di biasimare gli sfruttatori e i clienti, ma può mantenere il suo disprezzo storico per le prostitute.

Leggo le interviste all’ex-prostituta francese Rosen Hicher. Dice che la prostituzione, anche “scelta” come nel suo caso, è una violenza costante e che la colpa di tutto è dei clienti: è la domanda degli uomini a creare la prostituzione. Anch’io ritengo i clienti, i “prostitutori” come alcune iniziano a chiamarli, i veri responsabili dell’esistenza della prostituzione, persino più dei protettori. Rosen Hicher chiede una legge che punisca i clienti e che aiuti le prostitute a uscire dalla loro condizione: lei avrebbe voluto essere “salvata”. Pur pensando con Tatafiore che punirli per legge non servirebbe, vedere i clienti in galera farebbe piacere anche a me.

Come posso essere d’accordo sia con quelle che rivendicano la libertà di scegliere di prostituirsi, sia con quelle che dicono non è una libertà? Con quelle che non vogliono e che vogliono essere “salvate”?

Non voglio “schierarmi”, voglio capire. Dovrò trovare il mio filo conduttore tra le loro parole. Per riuscirci provo a partire dal mio desiderio senza annullarlo nell’accoglienza del loro.

Ebbene, io desidero un mondo in cui nessuna donna abbia un rapporto sessuale che non sia per il proprio piacere. Dunque un mondo senza prostituzione. Desidero anche un mondo in cui il lavoro non sia sfruttato, ma la realtà è quella che è. La scelta di prostituirsi si fa perché l’alternativa è disoccupazione o lavori duri, usuranti, malpagati e precari, o – più raramente – perché si vuole guadagnare molto e questa società offre alle donne poche strade per farlo. È una scelta rischiosa, pagata da chi la fa. Anche l’alternativa, il lavoro supersfruttato, ha i suoi prezzi e i suoi rischi, spesso in termini di salute.

Allora rispetto entrambe le scelte, senza moralismi. Ma ha ragione Spin quando dice: «chiamiamola col suo nome: è prostituzione». Non chiamiamola, come hanno fatto alcune da Ilona Staller in poi, “libertà sessuale”. Al massimo è una “libertà commerciale”. Non esaltiamo la prostituzione come antidoto alla sessuofobia e la sua regolamentazione come atto di modernità e civiltà: dietro la pretesa maschile di soddisfazione sessuale a spese del desiderio femminile c’è la negazione delle donne come soggetti, e questo non è “regolamentabile”.

 

C’è bisogno invece di gesti politici che affermino l’irriducibilità delle donne come soggetto di desiderio, e forse è questo il filo conduttore che cercavo: le diverse verità di Spin o di Corso e Covre sono giudizi femminili sugli uomini, espressioni di quella soggettività femminile che con la prostituzione si tenta di cancellare. Per questo le riconosco entrambe.


(www.libreriadelledonne.it,14 aprile 2015)

Print Friendly, PDF & Email