1 Maggio 2016

La nostra donna di frontiera

di Giordana Masotto

Giusi Nicolini, sindaca di Lampedusa, è venuta a Milano per il 25 aprile e ha parlato in piazza del Duomo. È la prima volta che la ascolto dal vivo. Il suo parlare è limpido, impastato di forza e passione. E mi ha emozionato. Lei è la nostra donna di frontiera.

E non intendo certo la frontiera come west, come territorio di conquista: la conquista oggi continua più vittoriosa che mai, ma non ha frontiere. Al contrario, corre senza ostacoli né limiti e si accampa con le armi invisibili della finanza.

La frontiera di Giusi è la sua capacità di stare sui margini. Lampedusa scheggia mediterranea e Milano città d’Europa sono due margini. Lei lo dice così: “Mentre stavo sull’aereo stavo collegando l’isola, infinitamente piccola, che salva la vita, alla città, grande, bella, che accoglie di più in Italia. Stavo creando un abbraccio tra questi due luoghi simbolo del Paese.”

Questa donna di frontiera ci dice che si può, si deve agire nella propria realtà: l’ancoramento al qui e ora – qualsiasi cosa rappresenti per ognuna e ognuno di noi – è il primo passo necessario. L’altro passo necessario e desiderabile è tenere lo sguardo lungo per capire, resistere, agire.

Il problema dei migranti, visto dalla realtà di Lampedusa, è questo: “Lampedusa in 20 anni ha salvato la vita a 300mila persone, tantissimo per un’isola di 5800 abitanti e 20 kmq. Pochissimo per un continente che da anni grida all’invasione. (…) È stata da sola a prenderli dal mare e dargli il primo abbraccio. Come naufraghi. Non profughi, migranti economici, richiedenti asilo. L’abbraccio al naufrago. Questa è la prima cosa da fare se vogliamo che poi diventino cittadini.”

E anche quando è stata lasciata completamente sola, la comunità dell’isola ha agito. Ma non perché “siamo più buoni, più bravi, più intelligenti degli altri. La nostra fortuna è di essere lì e di poterli guardare negli occhi mentre scendono da quei barconi dove noi non saliremmo mai. Quei gommoni senza chiglia dove non faremmo mai salire un neonato o una donna incinta. Quando noi lampedusani vediamo questo, non c’è bisogno che qualcuno ci spieghi le ragioni di quei viaggi.”

Ma altrettanto importante è saper allargare lo sguardo e capire che “l’invasione non esiste per ora,  ma bisogna avere l’intelligenza di guardare avanti, guardare a quei Paesi, non solo per depredarli o come acquirenti di armi o come gente da far arrivare illegalmente per poi sfruttarla col lavoro nero e il caporalato, in Italia come in Europa. (…) In pericolo oggi è la sopravvivenza dell’Europa, dei valori che doveva rappresentare. (…) La resistenza è necessaria, deve essere ancora più dura e deve guardare al Mediterraneo e all’Europa intera. Perché questo è il momento in cui o ci salviamo tutti o non si salva nessuno.”

Vista da Milano, la lezione della piccola/grande comunità di Lampedusa e della sua sindaca, è un invito pressante a non perdere di vista l’essenziale. A saperlo leggere anche tra le righe di questa città europea, laboratorio di tendenze, che anticipa i problemi e immagina soluzioni. A non ritrarci dai problemi che la nostra città ci pone, perché, come dice Giusi “tutto possiamo permetterci oggi tranne il silenzio”.


(www.libreriadelledonne.it, 1/5/2016)

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