11 Aprile 2015
il manifesto

La politica che non c’era

 

di Sara Gandini (Libreria delle donne di Milano) e Claudio Vedovati (Maschile Plurale)

 

Alcune invenzioni per mettere al mondo forme nuove della politica e per orientarla alla convivenza giusta e pacifica sono state fatte dal femminismo. Simone Weil nominava questa esigenza nel 1943 per far fronte ad una società «interamente dominata dalla necessità e dai rapporti di forza» dove i partiti non garantivano libertà e democrazia. Lia Cigarini – in L’Europa di Simone Weil (Via Dogana n. 110) – sostiene che il lavoro politico sul simbolico, arrivato dal femminismo, ha consentito di affrontare il conflitto tra necessità e libertà, tra collettivo e singolarità, senza darla vinta ai più forti.

Pensiamo all’autocoscienza e al sapere generato dalla parola scambiata tra donne, oggi valido per tutti e tutte. Pensiamo a chi cresce i figli, dedicando energie a come migliorare la scuola che frequentano; alle donne che si appassionano al loro lavoro, mediando con altre esigenze della vita. Ci riferiamo a quelle pratiche trasformative di contesti e collettività che puntano sulla soggettività e le relazioni e che oggi anche alcuni uomini ricercano, soprattutto quelli venuti dopo il femminismo, perché interessati a dispositivi lontani dal potere. È una postura che implica un cambiamento del proprio sguardo sul mondo per guadagnare un orizzonte più grande. Le donne hanno imparato a farlo. La durezza della loro passata condizione ha regalato loro un acume in grado di restituire a ognuno/a di noi la capacità far accadere qualcosa di buono per sé e per gli altri. È sotto gli occhi di tutti che le relazioni tra i sessi stanno cambiando in meglio a causa di una libertà e di una politica agita dalle donne «senza alcuna forma di organizzazione e senza strumenti di potere», come spiega Cigarini in L’Europa di Simone Weil (Via Dogana n. 110). Il patriarcato ha così perso credito e le sue basi sono state minate.

 

Arriviamo qui a un punto cruciale: il senso della politica. Come abbiamo scritto anche sul sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it), per gli uomini, più che per le donne, la dimensione politica coincide facilmente con l’esercizio del potere. Accade con un uomo come il segretario generale di Podemos, Pablo Iglesias, che in un suo discorso pubblico riconosce valore al femminismo, raccontando la forza trasformativa di un padre che si mette in gioco nella quotidianità della condivisione e nella relazione con suo figlio. Gli capita poi però di parlar della politica come una cosa terribile, che rimane impermeabile al sapere che gli arriva dalla cura dell’esistente, come se la realtà data fosse immodificabile.

Secondo noi la libertà femminile offre anche agli uomini la possibilità di trasformare il loro stare al mondo, possibilità che sono state colte perlopiù nella vita di tutti i giorni, nella sfera affettiva e nelle relazioni. È possibile che qualcosa di analogo possa avvenire anche nella sfera politica? Cosa fare perché le pratiche politiche delle donne si aprano al mondo? Come raccontare le capacità trasformative di questa politica orientata al bene e all’amore, che punta sulla forza delle relazioni, di cui parla anche Simone Weil?

La dimensione personale e ciò che capita nelle relazioni, nella vita quotidiana, vengono spesso derubricati a dimensione privata, che non ha respiro politico, nonostante il femminismo abbia insegnato che “il personale è politico”. Questo è un ostacolo alla politica capace di trasformare, che incide nelle nostre vite più di quello che molti immaginano.
Pensiamo alla rivista americana Newsweek che a Febbraio 2015 ha dedicato la sua copertina ai suicidi maschili (Why Men Are Killing Themselves?) perché in tutta Europa gli uomini hanno una probabilità circa quattro volte più elevata di suicidarsi rispetto alle donne, che hanno molte più risorse interiori e relazionali. Ci ha colpito anche perché gli autori hanno messo al centro dell’articolo una domanda provocatoria e interessante: la questione è se la mascolinità è realmente cambiata o ha semplicemente trovato un “miglior taglio di capelli”. E concludono che è vitale che il femminismo sia visto come una risorsa per tutti, uomini e donne.
Noi abbiamo toccato con mano la difficoltà di capire le potenzialità trasformative delle pratiche politiche delle donne nelle discussioni che hanno coinvolto quest’anno Maschile Plurale (MP), un’associazione che lavora e riflette attorno alla violenza sulle donne. È avvenuto quando una donna ha dichiarato pubblicamente di avere subito violenza psicologica da un uomo di questa associazione. Di fronte alle parole di una donna che nomina il suo vissuto di violenza, abbiamo chiesto agli uomini di MP con cui siamo in relazione di fermarsi, interrogarsi seriamente e mettersi in gioco, senza disconoscere, minimizzare o negare la parola di lei. Partendo da una dimensione di autocoscienza, noi pensiamo sia possibile trarre un sapere capace di nominare cosa fa ostacolo a riconoscere la violenza tra i sessi per traghettarci fuori da relazioni segnate dal femminicidio di cui i giornalisti, fermi allo scandalo della notizia, quotidianamente ci narrano.
L’importanza dell’esperienza di Maschile Plurale sta nell’aver affermato che, come uomini, la violenza li riguarda e questo ha consentito un lavoro sulla miseria maschile, a partire da sé, che si è nutrito del femminismo e che ha avuto il riconoscimento politico di molte donne. Ora, se vogliamo stare a questa scommessa (che riguarda uomini e donne), dobbiamo cominciare a raccontare come usiamo e dove ci porta questa consapevolezza proprio quando la violenza ci tocca da vicino e ci riguarda, letteralmente.

 

Il rischio che la presa di parola soggettiva maschile, a partire dalla violenza, diventi un esercizio di narcisismo o un nuovo protagonismo maschile autosufficiente è sempre grande. Come è grande il rischio che l’esplorazione della miseria maschile finisca, paradossalmente, per alimentare l’ego di uomini tentati di presentarsi, al pari delle donne, come vittime del patriarcato e dei suoi colpi di coda e insieme consapevoli, anche più delle donne, delle proprie fatiche. Un asso piglia tutto, buono per ogni mano. Consapevoli esperti di sofferenza femminile e maschile.

La riflessione sulla miseria maschile, diventata la faccia presentabile al femminismo, quella per cui chiedere riconoscimento, può mostrare un lato nascosto: il narcisismo e l’autosufficienza.
Anche le donne hanno dovuto affrontare l’immaginario della miseria femminile, prodotta dallo sguardo degli uomini, ma se ne sono liberate grazie alla relazione con le altre donne, che ha messo le basi per una nuova occasione di scambio e di relazione anche con gli uomini. Alcune di queste donne vedono ora risorse e spostamenti, desiderati e in atto, e giocano libertà e autorità femminile nelle relazioni con uomini. Questo è il punto politico che non si può mancare: anche dalla miseria maschile si esce stando in relazione con le donne.

L’11 aprile alla Libreria delle donne di Milano si svolge l’incontro dal titolo
La politica è la politica delle donne. E gli uomini?, a partire dall’ultimo numero di Via Dogana (n. 111): La politica che non c’era. L’incontro è proposto da Sara Gandini e Alberto Leiss.

(uscito su il manifesto in versione ridotta il 10 Aprile 2015)

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