12 Maggio 2013

La politica del desiderio, oggi


Intervento di Sara Gandini a Spinea per un incontro sul tema “LA POLITICA DEL DESIDERIO” organizzato dall’Associazione culturale Identità e Differenza il 6 aprile 2013

«Al mercato della felicità. La forza irrinunciabile del desiderio», è  il titolo di un libro di Luisa Muraro che inizia con un’enigmatica storia. Si tratta di un racconto riportato in un antico testo persiano di un mistico islamico, contemporaneo a San Francesco.

Ecco il racconto: Una vecchia va al mercato per comprarsi l’ebreo Giuseppe, lo schiavo più bello di tutti, offrendo alcuni gomitoli di lana da lei stessa filati. “Anima semplice” le disse il sensale “come puoi comprare un simile gioiello di schiavo con i tuoi gomitoli?”, “Lo so che non potrò comprarlo” rispose la vecchia “mi sono messa in fila perché amici e nemici possano dire: anche lei ci ha provato”.

Cosa ci dice questa storia? Ciò che muove la vecchia è poter mostrare pubblicamente il suo desiderio, anche lei è lì. Sono infatti i desideri che danno senso alla vita, anche i desideri lontani, impossibili.

Le potenzialità di un desiderio grande, fuori misura, sono incommensurabili rispetto a quelle di un bisogno appagato. Si tratta della forza irrinunciabile del desiderio, di un desiderio sproporzionato che, anche senza mezzi adeguati, va incontro alla realtà e la mette alla prova, perché “il reale non è indifferente al desiderio, non assiste indifferente alla passione del desiderare”, come scrive Muraro.

L’immagine della vecchia che si mette in fila al mercato per comprare lo schiavo rappresenta la passione politica come contrattazione instancabile, che non si fa vincere da moderazione o rassegnazione, e al mercato ci va lo stesso, ci va in prima persona. Va al mercato della felicità, un mercato elementare che viene prima del mercato del profitto e che è molto più grande. E questo accade sempre, a tutti noi. Quando andiamo in un mercato crediamo di comprare qualcosa, ma in realtà andiamo a cercare la felicità.

Sentendo questo racconto molti penseranno che si tratti di delirio di onnipotenza. In realtà questa storia suggerisce che è molto più pericoloso buttare via le aspirazioni più alte, piegarsi al realismo, al conformismo e alla paura.

Noi che ci definiamo femministe andiamo al mercato con gomitoli fatti di storie, narrazioni. Si tratta di raccontare pratiche, sfide politiche e come sanno cambiare il mondo intorno a noi, come sanno mostrare un diverso ordine di rapporti.

Ci sono molti esempi interessanti che mostrano modalità creative, in cui le donne, ma non solo, fanno invenzioni sulle pratiche per non rinunciare ai loro desideri e mettendo alla prova la realtà.

Il mio primo racconto mette al centro il movimento NOTAV. Si tratta di un movimento che coinvolge uomini e donne dei monti e delle valli attorno alla Val di Susa, ma non solo. Molte sono le donne anziane, che hanno sempre vissuto nei paesini della valle e delle montagne, che non hanno mai fatto politica prima ma che sono uscite dalle case in questa occasione per lottare per la loro terra. Molte di loro leggono la TAV come un atto di violenza dello Stato e delle mafie nei confronti della loro terra, l’ennesimo atto di violenza maschile. Un atto di violenza che vuole imporre la devastazione del territorio con un’opera inutile e dannosa, e a cui oppongono un atto d’amore, fatto di fatica, solidarietà e responsabilità collettiva.

Un’incredibile forza simbolica l’ha mostrata per esempio il video che si è diffuso in rete alla velocità della luce: nel filmato si vede una donna che si piazza davanti a un plotone di polizia in tenuta anti-sommossa e fa un lungo discorso alle forze di polizia: parla agli agenti, richiamandoli alla loro comune umanità, racconta la storia della TAV, spiega loro le ragioni della lotta. Una modalità imprevista, quasi insensata secondo l’ordine precostituito, che mostra la possibilità di permettersi sogni che non stanno nella misura dell’ordine corrente. Questa donna ci mostra che cercare modalità per non cedere rispetto alle proprie ambizioni, ai propri desideri, permette di non cadere nell’impotenza e non consegnarsi al gioco del potere. Il video ha avuto così tanto successo perché racconta di pratiche che entrano nell’immaginario e restituiscono alle persone la loro capacità creativa e la riattivazione del loro potenziale di intervento sul mondo. Si tratta di un video, girato in internet, che sposta rispetto alla rappresentazione del movimento NOTAV dato dai media mainstream. che mostrano solo ciò che sta nel copione dello scontro e del potere-contro-potere.

Un secondo esempio è quello che ci viene dalle storie di Macao a Milano. Si tratta di un collettivo di artisti che hanno acquistato un enorme consenso presso la cittadinanza milanese quando hanno occupato spazi di Milano, privati e pubblici, abbandonati a se stessi. Con le loro occupazioni hanno denunciato, e portato all’attenzione dei media e della cittadinanza, la storia trentennale di speculazioni che hanno segnato la vita dei palazzi occupati, mostrando anche come alcuni palazzi pubblici di inestimabile valore vengono lasciati andare per anni. Ma non si sono limitati alla denuncia. Hanno occupato degli spazi abbandonati riqualificandoli, rendendoli vivi, prendendosene cura, fuori da logiche di mercato. Ma la sfida che li muove è la creazione dal basso di un laboratorio di idee e pratiche, uno spazio dove gli artisti e i cittadini possono riunirsi per inventare un nuovo sistema di regole e sperimentare nuovi linguaggi comuni, per favorire la partecipazione attiva della cittadinanza alla vita della città. Si tratta di un laboratorio politico-culturale che vuole attivare nuove forme di democrazia reale.

Hanno mostrato una capacità di auto-organizzazione e auto-definizione, strutturando il lavoro interno a Macao tramite una coordinazione composta da “tavoli di lavoro”, puntando sulla pratica di relazione e sul conflitto relazionale, rifuggendo le regole della rappresentanza. I tavoli sono stati organizzati secondo le affinità culturali e personali, e l’ordine che si disegna si fonda su autorità riconosciute sulla base di competenze, impegno, ma soprattutto disparità di desideri.

Questa «politica della differenza” – che è sottrazione (dal potere) e allo stesso tempo creazione di nuovi luoghi – ha il suo fondamento nella politica delle donne, ed è il frutto del lavoro sulle pratiche di relazione dei movimenti femministi. È stata proprio la forte presenza delle donne nella costruzione di Macao a influenzare le pratiche del movimento, ponendo come valore centrale la qualità dello scambio più che il risultato da raggiungere, come riconosce anche Paolo Caffoni su uninomade.org e Via Dogana.

Il sito della Libreria delle donne di Milano è al centro del mio terzo racconto ed è il luogo in cui spendo la mia passione politica. Tutte le settimane si riunisce presso la libreria una redazione composta da donne di diverse generazioni, e qualche uomo, per discutere di politica e quale taglio dare ai contributi politici e culturali che vogliamo pubblicare sul sito. Ci riuniamo ogni giovedì alle 19.00 per valutare e decidere cosa pubblicare tra i contributi, articoli, video, eventi ecc. che ci inviano o che scriviamo. Ogni proposta di pubblicazione viene sostenuta e discussa e poi accettata o respinta, in un confronto anche duro, in cui i conflitti ogni volta mettono a prova il desiderio di ognuna e ognuno. Si tratta di un progetto politico in cui non c’è nessun meccanismo esterno che garantisce la tenuta della cosa, come contratti, regole, ruoli istituzionali, diritti garantiti. Si tratta di ritrovare ogni giorno dentro di sé il senso di ciò che si sta facendo, ponendo in primo piano la soggettività e le relazioni. Si tratta di una politica che non dà garanzie rispetto al futuro, ma è in grado di restituire entusiasmo e passione. Si tratta della politica delle donne.

La nostra sfida è di riuscire a fare politica in rete puntando al sapere che viene dalle relazioni in presenza. Chiara Zamboni nel suo libro Pensare in presenza, sottolinea che nella politica delle donne il piacere della presenza ha avuto effetti sulle pratiche e nomina l’importanza del godimento, dell’eros, anche in politica. “Godere della presenza” lei dice ”accompagna un’apertura involontaria agli altri, a cui partecipiamo con tutti i nostri sensi. Ed è data dal fatto che il lato inconscio del corpo ha con le persone e le cose legami molteplici, pulsionali, di affettività corporea.”

Si tratta di caratteristiche e pratiche di un movimento che ha messo in atto la più importante rivoluzione del ‘900, l’unica che abbia avuto continuità in una vasta proliferazione di gruppi, associazioni, centri culturali e politici. Un movimento che ha portato cambiamenti radicali in molti e decisivi livelli dell’esistenza di tutti, uomini e donne.

Ma in che modo c’entrano il desiderio e l’eros con la politica? E hanno davvero a che fare con l’amore? Proviamo a dire di più, e a raccontare qualche altra storia.

Aleksandra Kollontaj, rivoluzionaria russa, e prima donna nella storia che abbia avuto l’incarico di ministro e di ambasciatrice, agli inizi degli anni ‘20, in una fase di aspri dibattiti nella Russia post-rivoluzionaria, ha intitolato una delle lettere alla gioventù “Largo all’Eros alato”. Partendo dalla constatazione che l’amore entra ad ordinare la società, il lavoro, l’arte, che le relazioni tra i sessi sono parte integrante di questo ordine simbolico, arriva a parlare dell’incredibile forza dell’amore passionale, dell’Eros alato. E aggiunge: “L’amore non è affatto un fenomeno «privato», una semplice storia tra due «cuori» che si amano, ma racchiude in sé un “principio di coesione” prezioso per la collettività, infatti l’umanità, in tutte le tappe del suo sviluppo storico, ha dettato delle norme per determinare «come» e «quando» l’amore doveva considerarsi «legittimo»  e quando invece doveva considerarsi «colpevole» (cioè in conflitto con gli obiettivi posti dalla società).” Scrisse queste parole per rispondere alle preoccupazioni di chi era turbato dal fatto che i giovani lavoratori fossero «più occupati dall’amore che dai grandi compiti con i quali la repubblica dei lavoratori doveva misurarsi». Questa donna mi ha stupito per il coraggio di parlare di ‘relazioni tra i sessi’, ‘sentimenti’ e ‘amore’ in un contesto in cui i suoi compagni marxisti erano mossi solo da ideologie astratte, escludendo qualsiasi valore alle relazioni e alla soggettività. Infatti suscitò polemiche e dissensi ufficiali, al punto che queste lettere non furono mai più ripubblicate e restarono praticamente sconosciute fino a pochi anni fa.

Maria Zambrano, filosofa spagnola e grande figura della scena intellettuale del Novecento, spiega che se l’uomo crea obiettivamente, andando oltre se stesso e il suo particolare modo di sentire, ossia universalizzando le proprie sensazioni, la creazione femminile si muove all’opposto, non annienta il sentimento, ma lo mette al centro.

E’ interessante infatti come Zambrano legge la storia. Questa grande filosofa ci fa notare che quando in una certa epoca storica eros tende a inabissarsi è perché hanno la precedenza le parole d’ordine libertà e i diritti, che sostituiscono l’amore nel regolare le relazioni umane. E penso al partito della libertà di cui si fa paladino Berlusconi e alla politica dei diritti della sinistra. Ma Eros è un mediatore politico, innanzitutto, capace di umanizzare e di accompagnare le trasformazioni, insofferente a essere chiuso nelle sole vicende amorose individuali, potenza ordinatrice che crea i passaggi tra le contraddizioni e i conflitti. Eros, grazie alla politica delle donne, è infatti in grado di trasformare la libertà di Berlusconi nella libertà relazionale, quella forma di libertà civilizzatrice di cui parla il femminismo della differenza.

Annarosa  Buttarelli, studiosa di Maria Zambrano, intitola il suo libro, a lei dedicato, “la filosofa innamorata” perché questa pensatrice insegna a mettere in campo un pensare che ha fondamento nel sentire, a mantenere legato il pensiero all’esperienza e a fidarsi dell’intelligenza che c’è nell’amore.

L’amore secondo alcuni può addirittura portarci fuori da questa crisi economica. Un pensatore arabo, Reiham Salam, viene ripreso sempre da Buttarelli sulla rivista online di Diotima perché con lucidità racconta come l’attuale crisi finanziaria abbia segnato la fine simbolica del “club dei machi”, il capitalismo finanziario. Più in generale, la crisi ha aperto, secondo Salam, “l’agonia del macho” come “stato mentale” e, contestualmente, ha avviato una grande trasformazione del mondo dovuta alla prossima estinzione di questo “macho” sepolto dalle sue ceneri. Raiham Salam scrive che le donne usciranno da questa crisi nella forma migliore: “D’ora in poi il conflitto (tra uomini e donne) avrà una forma più sottile e il suo campo di battaglia principale saranno le menti e i cuori”. Pensiero e amore, competenze nuove che Salam riconosce alle donne e che saranno la chiave per uscire dalla crisi, anche se non sarà facile.

La violenza sulle donne, oramai diventata quotidiana, può essere vista come la reazione che tipicamente viene messa in campo quando si profilano rivoluzioni di questa portata. Un colpo di coda di un sistema maschile oramai in crisi, perché sempre più uomini si rendono conto che il simbolico del potere e del denaro, non fa più ordine come una volta. Quello che desidero io, e che vedo configurarsi all’orizzonte, è che le pratiche politiche amorose saranno il nuovo orizzonte di contesa. Un orizzonte non lontano se sappiamo vedere il nuovo scenario che si apre grazie al gesto della vecchia con i suoi gomitoli. Si tratta di un gesto così radicale da mostrarci che un altro modo di scambiare è possibile, con amore e non con denaro. Il senso di grandezza che ci pervade quando concepiamo un grandissimo desiderio, quando non lo commisuriamo con la realtà, ma ci sentiamo così protagoniste e realizzatrici potenziali di grandi cose, fa capitare delle cose, ci cambia profondamente. Ci permette di guadagnare essere e non ricadere nella miseria. E non si può più tornare indietro.

Print Friendly, PDF & Email