13 Maggio 2016

La premio Nobel Svetlana Aleksiévich alla Libreria delle donne di Milano

di Laura Minguzzi

Care tutte,

ho letto su Metro la notizia che in Ucraina sono stati aperti gli archivi, coperti finora dal segreto di Stato, a proposito del disastro nucleare di Chérnobyl’ del 30 aprile 1986 ed ho ripensato all’incontro che ha avuto luogo al Circolo della rosa l’8 ottobre 2002 con la scrittrice e giornalista Svetlana Aleksiévich, insignita del Premio Nobel per la letteratura nell’ottobre 2015. All’epoca ricordo che in italia Svetlana Aleksiévich era conosciuta solo dalle, dagli addetti al lavori e pochi altri, fra cui io stessa appassionata di letteratura russa e dintorni e di politica delle donne. L’incontro promosso dalla Libreria delle donne e da Maria Nadotti riguardava il suo saggio-romanzo corale “Preghiera per Chernobyl” (edizioni e/o 2002). Dopo avere ricevuto il riconoscimento mondiale del Nobel sono state tradotte e pubblicate tutte le opere della scrittrice e giornalista di origine bielorussa. Le più recenti sono “Tempo di seconda mano” (Bompiani 2014), “La guerra non ha un volto di donne”,(Bompiani 2015) e “Gli ultimi testimoni” (Bompiani 2016). Ripropongo di seguito la prima parte del report dell’incontro tratta dall’Archivio del sito della Libreria.

LauraMing.

 

Svetlana Aleksiévich – UNA PREGHIERA PER CHERNOBYL’

Circolo della Rosa, 8 ottobre 2002

UNA PREGHIERA PER CHERNOBYL’
INTERVISTA ALL’AUTRICE E PRESENTAZIONE DEL LIBRO
(a cura di Serena Fuart e Laura Minguzzi)

Martedì 8 ottobre 2002, La Libreria delle donne- Circolo della Rosa ha ospitato Svetlana Aleksievich autrice del libro Preghiera per Chénobyl’

L’incontro si è svolto in due parti.
Inizialmente la scrittrice è stata intervistata da un cronista di Rai Tre, inviato per conto della trasmissione “Le oche di Lorenz”, un programma di cultura scientifica. Le domande poste dal cronista a Svetlana Aleksievich hanno tratto spunto da alcuni passi del suo libro, per poi incentrarsi principalmente sull’argomento dell’esplosione del reattore.
Durante la seconda parte dell’incontro la scrittrice si è dedicata ai presenti, tra i quali Maria Nadotti, e ha raccontato il percorso personale e culturale che l’ha spinta a scrivere Preghiera per Chérnobyl’, quinto lavoro di una serie di libri riguardanti la cultura e la politica russa.

Una catastrofe senza precedenti, senza nessun escluso

I temi emersi dall’intervista, riguardante il disastro di Chérnobyl’, fanno riflettere sul fatto che siamo in presenza di una tragedia che si può definire come una nuova forma di guerra mondiale. E’ una sorta di morte invisibile che è ovunque, è pervasiva, e porta ogni giorno nuove vittime.
La scrittrice esordisce paragonando questa tragedia alla guerra in Afghanistan. Nel caso della guerra in Medio Oriente, le persone che riuscivano a scamparvi potevano considerarsi sopravvissute, quindi salve. Nel caso di Chernobyl’ non si può certo dire la stessa cosa: le tragiche conseguenze arrivano solo in seguito, mentre si ignorano il momento e la forma in cui si manifesteranno. 
La gente, riferisce l’autrice, vive aspettandosi di venir colpita da forme tumorali e leucemiche d’ogni tipo, oppure da diverse affezioni più o meno conosciute che colpiscono polmoni, fegato, reni, per non parlare delle malformazioni genetiche.
Si può ormai dire che lo scoppio del reattore ha determinato lo sconvolgimento della realtà e il rivoluzionamento delle vecchie concezioni.
A questo evento nessuno era preparato, le conoscenze scientifiche e mediche offerte dalle autorità governative alla popolazioni non erano sufficientemente esaustive per fornire risorse con le quali si sarebbe potuto fronteggiare il fenomeno.
Sul governo grava la colpa d’aver lasciato tutti all’oscuro sulle potenzialità e pericolosità dei reattori nucleari, macchiandosi inoltre di comportamenti irresponsabili nei riguardi di tutti gli uomini che furono incaricati di arginare le radiazioni dopo l’esplosione, creando il cosiddetto sarcofago (l’involucro che ha racchiuso il reattore costituito da sabbia e cemento).
La scrittrice dice di aver incontrato molte di queste persone segnate da un destino che non li avrebbe risparmiati dalla morte imminente.
Ognuna di esse, riferisce Svetlana Aleksievich, pur nella consapevolezza delle loro malattie mortali, le ha riferito di non essere affatto pentita d’aver partecipato a quella missione suicida, con la quale l’Europa ha avuto salvezza. Il sottotitolo del libro è “Cronaca del futuro”.
L’autrice usa questa frase per esprimere quanto questa catastrofe abbia sconvolto irreversibilmente la realtà russa, portando nuovi modi di concepire il bene e il male e provocando un danno che non ha ancora finito di produrre le sue conseguenze, tanto che ancora si deve capire come arginarlo e contenerlo. Questo è un lavoro che verrà portato a compimento solo in futuro essendo tuttora in corso indagini volte a cercare di sanare il sanabile, ed evitare che si ripetano tragedie simili.
Svetlana Aleksievic racconta di come la popolazione sia stata colta alla sprovvista, e di come questa abbia reagito d’istinto non trovando, nelle sue conoscenze, repertori comportamentali adatti a fronteggiare la situazione.
Le donne narrano d’aver visto nei loro orti corpi luminescenti di colore rosso che sparivano il giorno successivo.
L’atmosfera di quei mesi sembrava quasi surreale: mentre si disponeva l’evacuazione di intere città, oppure quando si lavavano le strade e le case, quando si rimuoveva lo strato superficiale del terreno contaminato per seppellirlo poi nella profondità dello stesso suolo.
Atroce e disumano è stato il provvedimento (proprio inevitabile?) preso per gli animali, per i quali è stato previsto lo sterminio; si è trattato di una decisione che ha scosso la coscienza di tutti, che in quel momento hanno potuto sentire tutta l’inimicizia dell’essere umano nei confronti della natura.
Dolorosi i racconti dei bambini che, dovendo scappare dalle proprie case, soffrivano per l’abbandono dei loro amici animali che non potevano seguirli…Sono il frutto dell’illusione di un infantile pensiero occidentale le opinioni, oggi diffuse, per cui l’esplosione del reattore riguarda esclusivamente il popolo sovietico, e comunque si tratta di qualcosa che ormai riguarda il passato. 
Abbiamo invece a che fare con una catastrofe che riguarda proprio tutti: non si può ignorare infatti che la nube radioattiva arrivò in fondo all’Africa dopo solo quattro giorni. E’ chiaro che tale illusione è un modo per sfuggire ad una nuova realtà che tutti noi, purtroppo, non siamo ancora in grado di affrontare.

 

(www.libreriadelledonne.it, 13 maggio 2016)

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